La scorsa settimana a Ladispoli si è svolto un convegno sulle dipendenze e il disagio giovanile organizzato dalle diocesi di Porto-Santa Rufina e Civitavecchia-Tarquinia.
In apertura dell’incontro l’assessore Margherita Frappa ha ricordato quanto fino a poco tempo fa si ritenesse che le agenzie educative protagoniste della formazione dei giovani fossero fondamentalmente la scuola e la famiglia. Uno studioso diceva: “Per educare i ragazzi ci vuole un villaggio”. È così. Ci vuole una rete di realtà: famiglia, scuola, istituzioni, associazioni che devono intercettare i giovani e prendersi cura di loro. Ogni anno muoiono suicidi 400 giovani, i media non ne parlano per evitare emulazione. Eppure oggi c’è una forma di nichilismo giovanile in coloro che disperatamente sentono di non avere un futuro.
Perciò, per il vescovo Gianrico Ruzza, ascoltare il grido dei giovani significa assumere un compito preciso che come Chiesa e come società dobbiamo svolgere. Purtroppo non ci sono ancora le risposte. Oggi di fatto i giovani sono davvero pochi nelle nostre comunità. Ma di sicuro questo ascolto fa emergere un elemento ricorrente: la tristezza. Molte volte i giovani sono tristi, non hanno la passione per la vita.
Secondo Don Giovanni Carpentieri, prete della diocesi di Roma ed educatore professionale impegnato nell’educativa di strada con l’associazione “Fuori Della Porta Odv”, ne consegue che siamo ad un punto di non ritorno. Abbiamo una fascia di giovani dai 12 ai 22 anni che non arriva da nessuna parte, non arriva alle scuole, ai servizi sociali, al lavoro; arriva o al pronto soccorso o al penale; i centri di giustizia non sanno più dove collocarli. C’è un problema fondamentale che è quello della salute mentale. Risultano diffuse e devastanti problematiche comportamentali e dipendenza dalle sostanze: “noi andiamo ad incontrare le comitive pomeridiane di giovani per le strade una volta a settimana. Andiamo allo stesso muretto, stesso gruppo, per due mesi. Quello che siamo stati capaci di intercettare è veramente allucinante. Questo approccio non è evangelizzazione di strada, non è missione, non è: – ti porto il vangelo -. Se ti metti in questo range di comunicazione dopo tre incontri ti mollano. Per ogni location c’è un approccio diverso: andiamo nelle strade, nelle discoteche. SE NON VAI A CERCARLI NON ARRIVANO DA NESSUMA PARTE E SI PERDONO, MUOIONO. È facile agganciarli. Le cose più difficile vengono dopo. Tu porti delle cose, una merenda, si fermano a mangiare e li agganci, poi ci stanno le carte. Dopo l’incontro, viene il secondo momento, la presa in carico, quando i ragazzi si aprono e ci espongono i loro bisogni, ad esempio quello di fare ripetizioni scolastiche. Il terzo momento è l’accoglienza. Io in casa famiglia non ho nessun profilo istituzionale, sono l’ultimo dei volontari. Il problema è che molti di questi ragazzi non vengono indirizzati alle comunità perché molte volte i SERT per questione di badget non refertano l’uso di quelle che definiscono “droghe leggere”. In casa famiglia non entrano, in comunità non li fanno entrare, dove posso metterli questi ragazzi? Basterebbero 2-3 ore a settimana. I corsi di formazione sono importanti. I professori possono istradare sia gli adolescenti ma anche quei genitori che si fanno le canne con i figli. Andate a consultare le statistiche del Ministero degli Interni. Consultando i dati sugli accessi ai SERT degli adolescenti, è impressionante l’uso e l’abuso che fanno delle sostanze. Nei cannabis shop la grammatura che si vende diventa effetto stupefacente. Le lobby sabotano ogni intervento giudiziario svolto a impedire la commercializzazione della cannabis”.
Incalza don Giovanni: “Quando andiamo a pescare questi ragazzi? Noi dobbiamo stare nelle periferie esistenziali dove il Signore stava, ci sono argini di azione pastorale infinite, possiamo fare di tutto. Gli interventi possono essere a bassa, media, o alta soglia. Gli interventi a bassa soglia sono quando il disagio è presente nella comitiva ma ancora pascola. Gli interventi a media soglia sono i più difficili. Cominciano quando il disagio è tangente in due punti nella vita del ragazzo, sono interventi i più difficili da inquadrare, possono scendere sulla bassa o salire sull’alta soglia. Gli interventi ad alta soglia sono secanti in due punti, il penale e la sanità, il disagio non è più latente ma diffuso in vera e propria deviazione. I fallimenti sono stati tanti, i successi altrettanti. L’itinerario è quello di saper riprendere, come dice Charles Peguy, di iniziare sempre da capo”.
Dopo l’invito finale alla lettura del libro Il funambolo di Jean Genet – per trovare spunti di una pastorale nuova – don Giovanni lancia l’idea di “inventare” nella formazione accademica universitaria una figura professionale di “incontratore sociale”, un lavoro sociale. E propone di istituire un bando. Seconda proposta, secca, per questi ragazzi coinvolti in dipendenze ed evasione da ogni contesto sociale che hanno bisogno di un riordino nei loro bioritmi: servirebbe una ASL che vada un po’ più sul sociale. C’è bisogno di percorsi di educazione alla salute e bisogna farli. Altrimenti i funerali si moltiplicheranno. Serve un villaggio per educare un ragazzo ma il villaggio non funziona, qui dobbiamo cambiare la situazione. I tentativi sempre migliorabili. Dobbiamo fare delle cose nuove. Qual è la speranza l’orizzonte che noi diamo a questi ragazzi?
Non a caso l’auspicio finale del vescovo Ruzza è che possano crearsi vari gruppi di volontari adulti che raccolgano questo invito andando ad incontrare i giovani sulle strade, avendo come riferimento formativo e di coordinamento le Caritas delle diocesi di Porto Santa Rufina e Civitavecchia-Tarquinia. La messe è molta, servono gli operai…
La guerra è sempre una sconfitta, per tutti. Ma chi la conduce ritiene sia un “male necessario”
di Alessandro Manfridi
Che cosa accomuna il magistero sociale di Papa Francesco, il segretario dell’ONU Antonio Guterres e gli interventi che si sono succeduti sul palco di piazza San Giovanni nella manifestazione “La via Maestra” , tenuta con un richiamo alla Costituzione il 7 ottobre?
Durante l’incontro del Consiglio di sicurezza del 31 ottobre l’ambasciatore israeliano, Gilad Erdan, si è appuntato sulla giacca blu una stella di gialla sul petto come azione dimostrativa contro il Consiglio stesso che non ha ancora apertamente condannato Hamas.
il segretario generale, Antonio Guterres, pur ribadendo che non si possono giustificare gli orribili e inauditi atti di terrore compiuti da Hamas il 7 ottobre e la priorità del rilascio degli ostaggi, invita a considerare come
“gli attacchi di Hamas non sono avvenuti nel vuoto, perché il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione […]Dobbiamo chiedere a tutte le parti in causa di sostenere e rispettare gli obblighi derivanti dal diritto umanitario internazionale; di prestare costante attenzione, nella conduzione delle operazioni militari, a risparmiare i civili; di rispettare e proteggere gli ospedali e di rispettare l’inviolabilità delle strutture delle Nazioni Unite che oggi ospitano più di 600.000 palestinesi. L’incessante bombardamento di Gaza da parte delle forze israeliane, il livello di vittime civili e la distruzione di quartieri continuano a crescere e sono profondamente allarmanti. Piango e onoro le decine di colleghi dell’ONU che lavorano per l’UNRWA – purtroppo almeno 35 – uccisi nei bombardamenti su Gaza nelle ultime due settimane. Proteggere i civili non significa ordinare a più di un milione di persone di evacuare a sud, dove non ci sono ripari, cibo, acqua, medicine e carburante, e poi continuare a bombardare il sud stesso. Sono profondamente preoccupato per le chiare violazioni del diritto umanitario internazionale a cui stiamo assistendo a Gaza. Voglio essere chiaro: nessuna parte di un conflitto armato è al di sopra del diritto internazionale umanitario.”
Secondo alcuni analisti, purtroppo, Israele avrebbe violato oltre settanta risoluzioni delle Nazioni Unite dal 1951 ad oggi. Certo, secondo il diritto internazionale, quel che propone l’ONU non è vincolante se non ratificato dalle nazioni interessate.
Le reazioni da parte di Israele non si sono fatte attendere: il ministro degli Esteri Eli Cohen, presente a New York, ha rifiutato di incontrare Guterres dopo il suo discorso, mentre l’ambasciatore israeliano Gilad Erdan ne ha invocato le dimissioni immediate. Lo stesso ha poi affermato che il suo Paese negherà il visto di ingresso ai funzionari delle Nazioni Unite dopo l’intervento al Palazzo di Vetro.
Pare che l’intervento del Segretario Generale, critico verso tutte le parti in campo e preoccupato di ulteriori funesti sviluppi della crisi in Medio Oriente, abbiano avuto come effetto l’accusa mossa verso di lui quasi quale un simpatizzante delle posizioni palestinesi, fin a giustificare in qualche maniera il terrorismo.
Lo stesso può dirsi per tutti coloro che sono critici verso la gestione bellica del conflitto in Ucraina, che si sono riuniti a giugno alla conferenza internazionale a Vienna e poi in oltre 200mila a Roma e in altre capitali europee il 7 ottobre. Dal palco di piazza San Giovanni tutti hanno condannato unanimemente l’azione di Hamas, le cui notizie arrivavano in tempo reale ai relatori; al tempo stesso, hanno ribadito come sia necessario promuovere un negoziato per la cessazione del conflitto anche in Ucraina e che la via del delle armi ad oltranza non solo non risolve le varie crisi ma può solo peggiorarne le conseguenze.
Il 26 ottobre, poi, visti i quattro incontri non efficaci tenuti nel Consiglio di sicurezza, è stata votata all’Assemblea Generale dell’ONU una risoluzione predisposta dalla Giordania e proposta da 47 Stati che chiedono il cessate il fuoco a Gaza https://www.youtube.com/live/W9wAZVTlAZM?si=NHXIQ6SsFedkIEZn . Il documento non è vincolante. È stato approvato da 120 paesi, 14 sono stati contrari e 45 si sono astenuti, fra questi l’Italia.
La risoluzione A/ES-10/L.25 https://digitallibrary.un.org/record/4025113?ln=en , dopo aver richiamato tredici risoluzioni prodotte dal Consiglio di Sicurezza dal 1967 al 2016 sulla questione palestinese, condanna “tutti gli atti di violenza contro i civili palestinesi e israeliani, compresi tutti gli atti di terrorismo e gli attacchi indiscriminati, nonché tutti gli atti di provocazione, incitamento e distruzione […] Chiede il rilascio immediato e incondizionato di tutti i civili tenuti illegalmente prigionieri, chiedendone la sicurezza, il benessere e un trattamento umano nel rispetto del diritto internazionale”, chiede una tregua immeditata e duratura delle ostilità, “Richiede inoltre la fornitura immediata, continua, sufficiente e senza ostacoli di beni e servizi essenziali ai civili in tutta la Striscia di Gaza, inclusi ma non limitati a acqua, cibo, forniture mediche, carburante ed elettricità, sottolineando l’imperativo, ai sensi del diritto umanitario internazionale, di garantire che i civili non siano privati dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza […]Riafferma che una soluzione giusta e duratura al conflitto israelo-palestinese può essere raggiunta solo con mezzi pacifici, sulla base delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite e in conformità con il diritto internazionale, e sulla base della soluzione a due Stati”.
Particolarmente, la risoluzione si oppone fermamente alle indicazioni di Israele che chiede ai palestinesi di spostarsi nella zona Sud di Gaza.
È evidente la contrapposizione tra Israele e l’ONU.
E il magistero del vescovo di Roma? Oramai da tempo egli parla di “terza guerra mondiale a pezzi”, di diritti umani per gli immigrati, di globalizzazione dell’indifferenza, di attenzione alla “casa comune”.
Perché il suo magistero, considerato autorevole e corrispondente a problemi reali, è generalmente rispettato ma di fatto non accolto da scelte concrete dalle Nazioni?
Forse il suo “essere innocuo” è dovuto alla scelta precisa di denunciare i mali che opprimono le odierne società, senza spingersi a “fare nomi e cognomi” di chi ha responsabilità precise di fronte a questi mali stessi.
Può tornare prezioso riascoltare quell’intervento di don Tonino Bello alla assemblea dei “Beati i costruttori di pace” a Verona nel 1989 https://youtu.be/jHHPNE7WG5I?si=7V89ONwExPpWvz5- . Oggi tutti sono concordi nel ritenere che la pace sia un bene a cui aspirare. Ma se iniziamo a capire che per costruire la pace è necessario, come ci chiede il profeta Isaia, per il quale giustizia e pace sono un binomio inscindibile, combattere tutte le dinamiche di ingiustizia sociale, a livello nazionale e internazionale, questo ci costringerà a analizzare e dire la verità sulle cause di guerre, fame, sfruttamento delle risorse, violazione sistematica su scala mondiale dei diritti umani.
Purtroppo la mancanza di pace e di giustizia miete vittime innocenti a più riprese. La crisi in Terra Santa ne è solo un ulteriore e drammatico capitolo.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha prodotto il 26 ottobre 2023 la risoluzione A/ES-10/L.25.
Il documento, non vincolante, è stato approvato da 120 paesi; 14 contrari e 45 astenuti, tra i quali l’Italia.
Le motivazioni italiane sono dovute alla mancanza, nel documento, di una condanna esplicita di Hamas, della legittimazione di Israele all’autodifesa e del rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi.
Abbiamo tradotto in italiano il documento.
Alla lettura del documento risulta presente sia la condanna dell’atto terroristico, come la richiesta di rilascio degli ostaggi.
L’ONU chiede alla popolazione di non spostarsi a Sud, come indicato dalle autorità israeliane, a motivo della precarietà dell’intera situazione.
Nel penultimo punto si richiama alle precedenti soluzioni ONU, tredici delle quale sono richiamate esplicitamente nel documento.
La sera del 1 novembre 2023 è andata in onda su RAI UNO in prima serata il programma “Intervista con Papa Francesco”. (1)
Il direttore del TG1, Gian Marco Chiocci, ha rivolto a Papa Francesco un’insieme di domande su svariati temi: la crisi in Israele, le armi, le guerre, l’antisemitismo, la guerra russo-ucraina, gli immigrati e le immigrazioni, le donne nella Chiesa, il Sinodo, il celibato dei preti, l’accoglienza degli omosessuali, gli abusi e la pedofilia, i momenti difficili, il futuro della Chiesa tra conservatorismo e Tradizione, la paura del dolore, un Papato innovatore, il magistero sul clima, finendo con una serie di domande “personali”.
Cos’ha provato con gli eventi del 7 ottobre, il terrorismo di Hamas e i bombardamenti su Gaza?
Ogni guerra è una sconfitta, non si guadagna nulla con la guerra. Questi sono due popoli che dovrebbero vivere insieme con due Stati e Gerusalemme con uno statuto speciale.
Questa è l’ora più buia ed una sconfitta in più, dalla Seconda Guerra Mondiale le guerre non si sono mai fermate.
Ma il vero problema è che oggi gli investimenti che danno più rendita sono quelli sull’industria delle armi.
Io telefono tutti i giorni al viceparroco egiziano nella parrocchia cattolica di Gaza, Padre Youssef, che in parrocchia ospitano 563 persone, cristiani e musulmani, bambini ammalati curati dalle suore di Madre Teresa.
Sembra che la guerra non faccia più notizia, come se ci stessimo abituando all’orrore.
Ricordo la preghiera in piazza San Pietro da me voluta allo scoppio della guerra in Siria che oggi è quasi dimenticata.
Potrebbe esserci una ulteriore escalation ma penso che la saggezza umana possa fermare queste cose. Ci sono tante altre guerre che non sentiamo vicine come quelle in Israele ed in Ucraina: Kivu, Yemen, Rohingya in Myanmar.
Lei teme un rigurgito dell’antisemitismo?
Purtroppo rimane nascosto.
Nel conflitto russo-ucraino non sempre gli ucraini sono stati all’altezza delle vostre iniziative.
Gli ucraini sono stati un popolo martire, fin con Stalin e adesso qualsiasi cosa fa rivivere loro questo. Io li capisco ma devono fermarsi, ci vuole la pace.
Io il secondo giorno della guerra ho sentito di andare e sono andato nell’Ambasciata russa, dando la mia disponibilità ad incontrare Putin. L’ambasciata si è comportata molto bene nel liberare le persone che potevano essere liberate. Il dialogo si è fermato là. Lavròv mi ha scritto ringraziandomi e dicendomi che per adesso non era necessario. Io volevo visitare entrambe le parti.
A proposito dell’indifferenza, c’è quella per gli immigranti. L’Europa ha lasciato sola l’Italia?
Io sono figlio di migranti. In argentina siamo 46 milioni, 6 nativi e gli altri tutti figli di immigranti.
Oggi è drammatica. Cipro, Grecia, Malta, Italia e Spagna sono i paesi interessati dall’arrivo dei migranti.
Vediamo la crudeltà dei lager libici.
Raccomando di leggere un libro “Hermanito” il libro-testimonianza in spagnolo di un immigrato del Ghana sulle crudeltà dell’immigrazione.
È vero che l’Europa deve essere solidale con questi cinque paesi.
Un’altra cosa: noi abbiamo bisogno di immigranti perché non facciamo figli.
Io penso alla Svezia che ha fatto un buon lavoro integrando i migranti che venivano dalle dittature sudamericane.
I ragazzi dell’attacco terroristico dell’aeroporto in Belgio erano migranti non inseriti.
Abbiamo bisogno di una politica paneuropea per gli immigrati.
L’apertura alle donne nella Chiesa, con le “madri sinodali”: che futuro nella Chiesa per le donne?
Al momento ci sono più donne che lavorano ai vertici dei dicasteri vaticani: la vicegovernatrice dello Stato del Vaticano è una donna, una suora, è lei che comanda; nel Consiglio per gli Affari Economici che sono sei cardinali e sei laici, cinque tra i laici sono donne; la segretaria del Dicastero per la Vita Consacrata è una donna, dello Sviluppo Umano è una donna, nella commissione per scegliere i vescovi ci sono tre donne. Le donne capiscono cose che noi non capiamo, credo che vanno inserite nel lavoro normale della Chiesa.
Per quel che riguarda le Ordinazioni, lì c’è un problema teologico, non amministrativo. Il principio petrino è quello della giurisdizione; il principio mariano invece è più importante, perché la Chiesa è donna.
Che bilancio dà sul Sinodo?
Un bilancio positivo. Si è parlato di tutto in tutta libertà. Si è fatto un documento che va studiato per la seconda sessione, quella di settembre. San Paolo VI si era accorto che la Chiesa d’Occidente aveva perso il senso della sinodalità, che invece è vissuto dalle Chiese Orientali e ha voluto reintrodurla.
Per quel che riguarda il celibato dei preti: la sua abolizione potrebbe favorire un aumento delle vocazioni?
È una legge positiva, non naturale, i preti nelle Chiese Cattoliche Orientali si possono sposare mentre nella Chiesa Cattolica Occidentale è una legge che risale al XII Secolo. Potrebbe essere abolita questa legge ma non credo che questo aiuti; c’è un altro problema. Una cosa molto brutta che hanno alcuni preti: sono “zitelli” invece che padri, a volte si rivestono di sacralità e perdono il contatto con la gente. Una volta ho trovato un prete di 65 anni, parroco in tre paesini di montagna con 500 abitanti a parrocchia che mi ha detto che conosceva uno per uno i suoi parrocchiani, fino al nome dei loro cani. Questi preti inseriti sono veri padri di comunità.
Nel Sinodo si è toccato anche il tema dell’omosessualità. Lei è soddisfatto del dibattito?
Quando io dico che la Chiesa deve accogliere tutti, questa è una grande verità. La Chiesa non si deve domandare come sei e deve accogliere tutti; poi dentro la Chiesa ognuno cresce nella sua appartenenza cristiana. Il principio è questo: la Chiesa riceve tutti coloro che possono essere battezzati, quindi le persone; non è invece tenuta ad accogliere al suo interno alcune organizzazioni che chiedono di entrarvi a far parte, perché non ha il dovere di accoglierle con il battesimo come figlie di Dio.
Nel nostro ultimo incontro lei ricordò come Papa Ratzinger le ha consegnato due scatoloni di documenti dicendole che lei doveva proseguire il lavoro iniziato dal suo predecessore. A che punto siamo?
Ho continuato. C’è da fare tanta pulizia, erano tutti casi di abusi, alcuni della curia sono stati mandati via. È stato coraggioso Papa Ratzinger, ha affrontato il problema, ha fatto tanti passi e poi ha consegnato i lavori a me e la cosa va avanti. L’abuso, sia di coscienza, sia sessuale, sia di qualsiasi cosa, non va tollerato, è il contrario del Vangelo, che è servizio, non abuso. Ci sono tanti episcopati che hanno lavorato molto bene. Noi non abbiamo la cultura. Una statistica: dal 42 al 46% degli abusi sono nelle famiglie e la gente ha l’abitudine di coprire tutto.
C’è ancora da fare, noi non dobbiamo fermarci.
Quel’è stato il momento più difficile del suo pontificato?
Forse con la guerra siriana. Non ero abituato. Il Signore ha sempre aiutato a risolvere o almeno ad avere pazienza.
Dopo di lei che Chiesa sarà? Una Chiesa che torna al passato o guarda al futuro?
C’è sempre la malinconia del passato, portata avanti dagli “indietristi”. La Chiesa è sempre in cammino e deve crescere con i tre principio di Vincenzo di Lerins: deve crescere dalla radice. Una Chiesa che si stacca dalla radice va indietro, questo non è conservatorismo ma sana tradizione. Oggi ad esempio si dice che la pena di morte non è un bene, ma nel passato la pena di morte, la schiavitù, erano considerate normali, anche la coscienza morale cresce, il possesso delle armi atomiche speriamo nel futuro siano riconosciute come un male…
Lei una volta ha detto che non ha paura della morte ma del dolore. Di che cosa altro ha paura un Papa?
Le piccole paure vengono. In questo momento la guerra in Terra Santa mi fa un po’ di paura. Ma poi si risolve tutto davanti al Signore. Non che le paure se ne vanno ma rimangono in modo umano. È buono avere delle paure.
Secondo alcuni il suo è un pontificato per certi versi innovatore, sono arrivati a definirla un “Papa di sinistra”. Lei si sente tale?
A me non piace, sono qualifiche che non sono reali. Non significa niente dire: “ di destra, è di sinistra?”. Le vere qualifiche sono: “è coerente? Non è coerente?”. “Le cose che propone sono coerenti con le radici o sono cose strane?”. Penso a san Paolo VI, lui era un innovatore e gli hanno dato del sinistrorso, del comunista. Sono qualifiche non esatte.
La Santa Sede ha sottoscritto gli accordi sul clima. Lei teme che l Cop 28 finirà in un nulla di fatto?
Andrò il 1 dicembre a Dubai, sarò tre giorni al Cop 28. Ricordo quando sono andato a Stasburgo, il presidente Hollande ha inviato il Ministro dell’Ambiente Ségolène Royal al Parlamento Europeo e parlando mi ha chiesto di far uscire prima di Parigi la mia Enciclica sull’ambiente ed io ho fatto uscire la Laudato Si’. L’incontro di Parigi è stato il più bello, quelli seguenti sono tornati indietro. Ci vuole coraggio. Dopo cinque funzionari importanti di aziende petrolifere hanno chiesto appuntamento con me, tutti per giustificarsi. Ci vuole coraggio. Un paese che è un’isola del Pacifico sta comprando terre in Samoa per trasferirsi, perché tra vent’anni sarà completamente sommerso dalle acque. Siamo ancora in tempo per fermarci e dare un futuro ai nostri nipoti. Io cito sempre i pescatori di San Benedetto del Tronto che puliscono tonnellate di plastica dal mare.
Le faccio delle domande non usuali. Quand’è stata l’ultima volta che è stato al mare?
A me piace il mare. Nel 1975. Nel 1976 c’è stato il colpo di Stato in Argentina e non son tornato più.
Prima di prendere i voti si era mai fidanzato?
Si, una ragazza molto buona, lavorava nel cinema, poi si è sposata e ha avuto i suoi figli.
Cosa le manca della vita di prima?
L avita di prima sono bei ricordi. La mamma ci insegnava le opere liriche, ogni sabato la radio di Stato ne trasmetteva una.
La sua fede ha mai vacillato?
Nel senso di perderla: no. Ma nel senso di non sentirla, si. Di camminare al buio e di chiedersi: “Dove sta il Signore?” Si sente che il Signore si nasconde, ti lascia da solo; oppure a volte siamo noi che ci allontaniamo da lui. Quando noi ci rivolgiamo al Signore e gli diciamo<<. “Perché non risolvi questa situazione?” Lui ci risponde: “Non ho la bacchetta magica!” Il Signore non è Mandrake! È un’altra cosa!
Questi ultimi tempi lei ci ha fatto un po’ preoccupare per la sua salute. Come sta?
Vivo ancora, sai? Ho il problema del ginocchio che sta migliorando e posso camminare bene; poi mi sono operato alla pancia, prima per dei diverticoli e mi hanno tolto un pezzo di colon trasversale, poi per le aderenze, adesso posso mangiare di tutto.
L’ultima domanda: tra Messi e Maradona chi preferisce?
Pelé. Un uomo di un cuore, ho parlato con lui una volta su un aereo, un uomo di un’umanità così grande. I tre sono grandi, ognuno con la sua specialità.
Il capo dei rifugiati delle Nazioni Unite, informando il Consiglio di Sicurezza, lancia un appello per il cessate il fuoco per fermare la “spirale di morte” mentre la crisi umanitaria attanaglia Gaza
Il capo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha lanciato oggi un appello al Consiglio di Sicurezza per chiedere un cessate il fuoco umanitario a Gaza, sottolineando l’urgente necessità che i suoi 15 membri superino le loro differenze, si uniscano e risolvano una serie di conflitti che hanno provocato l’incredibile numero di 114 milioni di sfollati in tutto il mondo.
“Il conflitto a Gaza è l’ultimo – e forse il più grande – tassello di un pericoloso puzzle di guerra che si sta rapidamente chiudendo intorno a noi”, ha detto al Consiglio Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, sottolineando che più di 2 milioni di abitanti di Gaza, metà dei quali bambini, stanno attraversando un inferno sulla Terra.
“Un cessate il fuoco umanitario, abbinato ovviamente ad una sostanziale fornitura di aiuti umanitari all’interno di Gaza, può almeno fermare questa spirale di morte”, ha detto al Consiglio, “e spero che supererete le vostre divisioni ed eserciterete la vostra autorità nel richiederne uno. Il mondo sta aspettando che lo facciate.
Questo è un momento grave a livello globale e le scelte attuali del Consiglio avranno ripercussioni per le generazioni a venire, ha avvertito. “Continuerete a permettere che questo puzzle di guerra venga completato da atti aggressivi, dalla vostra disunione o da pura negligenza? Oppure farete i passi coraggiosi e necessari per uscire dall’abisso?”
Analizzando le crisi in molte altre parti del mondo, tra cui Siria e Ucraina, ha affermato che l’UNHCR e altre organizzazioni umanitarie stanno lottando con carenze di finanziamenti mentre devono far fronte a 114 milioni di rifugiati e sfollati. L’UNHCR stesso ha bisogno di 600 milioni di dollari entro la fine di quest’anno e “le prospettive per il prossimo anno sono fosche”. Da parte sua, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) rimane cronicamente sottofinanziata, ha aggiunto.
L’Alto Commissario ha informato il Consiglio sei giorni dopo che questo non era riuscito ad adottare nessuno dei due progetti di risoluzione concorrenti – uno degli Stati Uniti, l’altro della Federazione Russa – che affrontavano la guerra e la crisi umanitaria a Gaza che ha fatto seguito all’attacco del 7 ottobre contro Israele da parte di Hamas. (Vedi comunicato stampa SC/15464.)
Durante il dibattito che è seguito, i delegati hanno chiesto che gli aiuti umanitari siano garantiti insieme alla risoluzione dei conflitti, e a chiesto processi per il ritorno dignitoso dei rifugiati e modi alternativi per affrontare le carenze di finanziamenti.
Il rappresentante del Ghana ha affermato che, nonostante gli encomiabili sforzi dell’UNHCR, la situazione non sta migliorando a causa dell’escalation dei conflitti e degli effetti dei disastri naturali e causati dall’uomo. Nel Sahel e nel Corno d’Africa, più di 20,5 milioni di persone sono sfollate, ha affermato, chiedendo un maggiore impegno nei confronti dei meccanismi multilaterali per affrontare la situazione.
Il rappresentante del Giappone ha affermato che, con il numero degli sfollati globali in aumento, la comunità internazionale deve pensare oltre l’assistenza immediata. Dovrebbero essere elaborate soluzioni durevoli per garantire stabilità a lungo termine, combinando strategie di sviluppo con sforzi di costruzione della pace.
Il portavoce degli Emirati Arabi Uniti ha affermato che affrontare le cause profonde degli sfollamenti si dimostrerebbe più efficiente ed economico per la comunità internazionale, mentre il rappresentante dell’Ecuador ha chiesto azioni coordinate rafforzate per combattere le reti criminali transnazionali organizzate e la tratta di esseri umani.
Il rappresentante della Federazione Russa ha affermato che la creazione di condizioni favorevoli per il ritorno dei rifugiati è fondamentale per raggiungere la stabilizzazione a lungo termine in Siria. Il delegato cinese ha affermato che i paesi che hanno le principali responsabilità per il problema dei rifugiati dovrebbero intensificare la loro assistenza ai rifugiati e ai paesi che li ospitano.
Il rappresentante degli Stati Uniti ha affermato che il suo Paese, durante il Forum Globale sui Rifugiati che si terrà a Ginevra dal 13 al 15 dicembre, inviterà la comunità internazionale a guardare oltre i tradizionali donatori e organizzazioni umanitarie verso una più ampia coalizione di agenzie di sviluppo, nonché del settore privato e gli attori della società civile. Non si può più fare affidamento sulle soluzioni del XX secolo per i problemi del XXI secolo, ha affermato.
BRIEFING
FILIPPO GRANDI, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha affermato che i 114 milioni di rifugiati e sfollati a livello globale sono un sintomo tangibile ma talvolta trascurato dell’attuale disordine estremo del mondo. Lo sfollamento forzato è una conseguenza dell’incapacità di sostenere la pace e la sicurezza, e il conflitto brutale è il suo principale motore. Il disprezzo del diritto internazionale sta diventando la norma, come si è visto negli attacchi di Hamas contro i civili israeliani e nell’uccisione di civili palestinesi nell’operazione militare israeliana in corso. Più di 2 milioni di abitanti di Gaza, metà dei quali bambini, stanno attraversando l’inferno sulla Terra. “Un cessate il fuoco umanitario, abbinato ovviamente ad una sostanziale fornitura di aiuti umanitari all’interno di Gaza, può almeno fermare questa spirale di morte”, ha detto al Consiglio, “e spero che supererete le vostre divisioni ed eserciterete la vostra autorità nel richiederne uno. Il mondo sta aspettando che lo facciate.
Si spera che il cessate il fuoco possa essere il primo passo verso la ripresa del cammino verso la soluzione del conflitto israelo-palestinese, ha proseguito. Nel corso degli anni, compresi quelli in cui era a capo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), una soluzione è sempre stata descritta come sfuggente, quando in realtà è stata deliberatamente trascurata, messa da parte perché non più necessaria e perfino ridicolizzata. Affrontare la violenza, seguita dal cessate il fuoco, è stato ritenuto più opportuno che concentrarsi su una pace reale. “Spero che ora, in mezzo agli orrori della guerra, possiamo almeno vedere quanto sia stato grave l’errore di calcolo”, ha detto, sottolineando che non può esserci pace senza una giusta soluzione al conflitto, compresa l’impegno per una fine del conflitto israeliano.
“Il conflitto a Gaza è l’ultimo – e forse il più grande – pezzo di un pericoloso puzzle di guerra che si sta rapidamente chiudendo intorno a noi”, ha detto. In Sudan, dove quasi 6 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case, la violenza sta peggiorando, ma il mondo è scandalosamente in silenzio. In Libano una persona su quattro è un rifugiato palestinese o siriano. Nel Sahel centrale, l’instabilità politica e l’emergenza climatica stanno causando il caos, mentre nella Repubblica Democratica del Congo una violenza spaventosa e diffusa costringe ogni giorno le persone ad abbandonare le proprie case. I 100.000 rifugiati fuggiti dal Nagorno-Karabakh nel giro di pochi giorni sono stati il risultato di un altro conflitto irrisolto lasciato cuocere a fuoco lento per decenni.
“Ogni nuova crisi sembra spingere quelle precedenti in un pericoloso oblio, ma restano con noi”, ha detto, ricordando che 11 milioni di persone sono state sfollate in Ucraina in seguito all’invasione russa. “La loro sofferenza non deve essere dimenticata e anche questo conflitto deve essere risolto”. Il Consiglio deve affrontare tutte queste crisi con una voce forte e unita, “portando con sé l’autorità che la Carta […] ma che il mondo non sente più, affogato com’è nelle rivalità e nelle divisioni”.
Mentre agli operatori umanitari viene chiesto di raccogliere i cocci, di aiutare più persone in più luoghi e di cercare di tenere insieme più cose, viene speso poco capitale politico per fare la pace, ha detto, sottolineando gli sforzi in Siria per creare condizioni per i rifugiati di ritornare volontariamente, così come le situazioni in Burundi, Myanmar e Afghanistan. Tuttavia, gli operatori umanitari hanno bisogno di risorse e l’UNHCR ha urgente bisogno di 600 milioni di dollari entro la fine dell’anno. Le prospettive per il 2024 sono fosche poiché i grandi donatori stanno tagliando gli aiuti e altri non si impegnano nel sostegno multilaterale. L’UNRWA è stata cronicamente sottofinanziata, mentre altri – tra cui il Programma alimentare mondiale (WFP), il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) e il Comitato internazionale della Croce Rossa (ICRC) – si trovano ad affrontare la stessa crisi finanziaria. “La gravità del momento non può essere sopravvalutata […] Continuerete a permettere che questo puzzle della guerra venga completato da atti aggressivi, dalla vostra disunione o da pura negligenza? Oppure farete i passi coraggiosi e necessari per uscire dall’abisso?”
DICHIARAZIONI
FRANCESCA MARIA GATT (Malta) ha affermato che, nel contesto della crisi a Gaza, il Consiglio ha la responsabilità collettiva di rispettare il diritto internazionale umanitario e garantire la consegna di aiuti vitali. I civili devono essere tutelati, gli spostamenti forzati prevenuti e i bisogni primari soddisfatti. Ha fatto eco alle richieste del Segretario Generale e di centinaia di organizzazioni umanitarie per un cessate il fuoco per consentire la consegna di aiuti a tutti coloro che ne hanno bisogno. Ha inoltre espresso preoccupazione per i 42 milioni di bambini sfollati a livello globale, molti dei quali sono soli e a rischio di reclutamento da parte di gruppi armati. Passando al Mediterraneo centrale, ha affermato che i paesi in prima linea come Malta hanno bisogno di sostegno, oltre a partenariati per gestire i flussi di rifugiati. La guerra della Federazione Russa in Ucraina sta portando sofferenze oltre i confini europei, esacerbando l’insicurezza alimentare e causando ulteriori sfollamenti, ha aggiunto.
HAROLD ADLAI AGYEMAN (Ghana) ha affermato che, nonostante gli encomiabili sforzi dell’UNHCR, la situazione non sta migliorando a causa dell’escalation dei conflitti e degli effetti combinati dei disastri naturali e causati dall’uomo. Nel Sahel e nel Corno d’Africa sono oltre 20,5 milioni le persone sfollate, ha affermato, chiedendo un maggiore impegno nei meccanismi multilaterali per affrontare la situazione. Inoltre, gli Stati membri devono rispettare gli obblighi derivanti dal Global Compact per i rifugiati e dal Global Compact per la migrazione. Ha inoltre incoraggiato la cooperazione tra quadri multilaterali e meccanismi regionali, aggiungendo che si dovrebbe prestare maggiore attenzione al rafforzamento dei meccanismi regionali di allarme rapido. “Sottolineiamo l’importanza di mobilitare il sostegno per affrontare i deficit di governance e di sviluppo che sono alla radice di molti conflitti e instabilità politica”. Occorre prestare maggiore attenzione anche ad altri fattori aggravanti, come il cambiamento climatico e dare priorità alla resilienza climatica nei paesi colpiti.
ADRIAN DOMINIK HAURI (Svizzera) ha affermato che gli aiuti umanitari devono andare di pari passo con gli sforzi di risoluzione e prevenzione dei conflitti. “Chiediamo a tutte le parti di garantire un accesso umanitario rapido, sicuro e senza ostacoli in conformità con il diritto umanitario internazionale”. Una migliore prevenzione dei conflitti richiede che il Consiglio e le missioni di mantenimento della pace intraprendano maggiori azioni sul legame tra cambiamento climatico, pace e sicurezza, ha affermato, citando la Missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan (UNMISS) come un buon esempio di come le operazioni di mantenimento della pace possano essere potenziate per rispondere meglio ai rischi climatici. È inoltre fondamentale garantire la protezione degli sfollati, il 40% dei quali sono bambini, particolarmente vulnerabili ai rapimenti, allo sfruttamento sessuale e al reclutamento da parte di gruppi terroristici. Osservando che la Svizzera, in collaborazione con il CICR, ha istituito l’Alleanza globale per i dispersi in seguito all’adozione da parte del Consiglio della risoluzione 2474 (2019) sulle persone scomparse nei conflitti armati, ha affermato che gli Stati membri devono attuare tale risoluzione attraverso azioni concrete.
MARIA ZABOLOTSKAYA (Federazione Russa), sottolineando che più di 50.000 siriani sono tornati nel loro Paese nel 2022, ha affermato che la creazione di condizioni favorevoli per il ritorno dei rifugiati e degli sfollati interni è un passo importante per raggiungere la stabilizzazione a lungo termine in Siria. “Notiamo gli sforzi dell’Ufficio [UNCHR] per risolvere i problemi degli sfollati interni e dei rifugiati ucraini”, ha aggiunto, ricordando che dopo il colpo di stato incostituzionale di Kiev del 2014, centinaia di migliaia di russi e residenti di lingua russa in Ucraina sono venuti in Russia. Dal febbraio 2022, più di 5 milioni di persone hanno lasciato le regioni della Repubblica popolare di Donetsk, della Repubblica popolare di Luhansk, di Kherson e di Zaporizhzhia e si sono trasferite in varie regioni della Russia. Ha inoltre richiamato l’attenzione sulla tragica situazione dei rifugiati provenienti dall’Africa. “Per molti di coloro che cercano di raggiungere l’Europa, il Mar Mediterraneo è diventato una fossa comune”, ha detto, accusando i paesi europei di proteggere il loro “giardino fiorente” dagli ospiti provenienti dalla giungla. Ha chiesto all’Alto Commissario di mantenere l’attenzione sulla regione del Mediterraneo e di esercitare un’influenza sull’Unione Europea per garantire il suo rispetto degli obblighi internazionali.
YAMANAKA OSAMU (Giappone) ha promesso il fermo sostegno del suo Paese all’UNHCR, di cui è uno dei principali contribuenti. Condannando il brutale attacco terroristico di Hamas contro Israele, ha chiesto il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi. “Allo stesso tempo, la situazione umanitaria a Gaza è catastrofica”, ha affermato, sottolineando la necessità di aumentare l’assistenza per soddisfare i bisogni urgenti del popolo palestinese di cibo, acqua, carburante e medicine. “È importante per noi raddoppiare i nostri sforzi diplomatici affinché la situazione si calmi e non si estenda a tutta la regione”. Con il numero degli sfollati globali che supera i 110 milioni, la comunità internazionale deve pensare oltre l’assistenza immediata che, sebbene essenziale, è solo una parte della soluzione. Dovrebbero essere elaborate soluzioni durevoli per garantire stabilità a lungo termine, combinando strategie di sviluppo con sforzi di costruzione della pace. In tale contesto, ha messo in luce l’impegno multilaterale del suo Paese, sottolineando il nesso umanitario sviluppo-pace, in previsione del secondo Forum globale sui rifugiati di dicembre.
NICOLAS DE RIVIÉRE (Francia) ha parlato di una catastrofe umanitaria a Gaza, dove gli aiuti stanno solo arrivando, aggiungendo che gli effetti si stanno già facendo sentire in Libano, che già ospita centinaia di migliaia di rifugiati. Con il crescente numero di conflitti, la crescente insicurezza alimentare e le conseguenze del cambiamento climatico, l’UNHCR sta assistendo le persone più vulnerabili che mai. Le nuove sfide includono il Sudan, dove quasi 6 milioni di persone hanno abbandonato le proprie case, e lo sfollamento di oltre 100.000 persone nel Nagorno-Karabakh. Inoltre, dopo la guerra di aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina, l’Europa ha visto il più grande spostamento di popolazione dalla Seconda Guerra Mondiale, ha affermato. La Francia, che ospita più di 115.000 rifugiati ucraini, resterà mobilitata per rispondere alle emergenze e aumenterà significativamente il suo contributo all’UNHCR nel 2022 e nel 2023. Spetta al Consiglio di Sicurezza creare le condizioni per una soluzione duratura delle crisi in modo da affrontare le cause profonde dello sfollamento, ha aggiunto.
ROBERT A. WOOD (Stati Uniti) ha affermato che tutti i civili devono essere protetti in tutti i conflitti, compreso quello tra Israele e Hamas. Ha osservato che i funzionari delle Nazioni Unite descrivono la situazione in Sudan come una crisi di sfollati in più rapida crescita, mentre i rifugiati nel vicino Ciad hanno un disperato bisogno di sostegno internazionale. Gli ucraini in fuga dall’invasione della Federazione Russa, i Rohingya nei campi in Bangladesh e le persone a Gaza hanno tutti bisogno di aiuto. Dal 2021, gli Stati Uniti hanno contribuito con più di 1 miliardo di dollari all’UNRWA, ma è necessario molto più aiuto. Sottolineando la necessità di dare priorità all’azione e di impegnarsi in nuovi modi di lavorare, ha affermato che gli Stati Uniti inviteranno il prossimo Forum Globale sui Rifugiati a guardare oltre i donatori e le organizzazioni umanitarie tradizionali verso una più ampia coalizione di agenzie di sviluppo, nonché del settore privato e delle organizzazioni umanitarie, gli attori della società civile, affinché possa esserci una risposta più sostenibile. Non si può più fare affidamento sulle soluzioni del XX secolo per i problemi del XXI secolo, ha aggiunto.
ARIAN SPASSE (Albania) ha affermato che le situazioni di conflitto nel mondo, tra cui Ucraina, Myanmar, Somalia, Afghanistan e Medio Oriente, offrono poche speranze che l’elevato numero di sfollati diminuisca. La situazione impone un’azione immediata ai massimi livelli. Il Consiglio può contribuire ad assistere le popolazioni vulnerabili, anche attraverso soluzioni sostenibili che affrontino le cause profonde degli sfollamenti, nonché ad adoperarsi per prevenire e risolvere i conflitti. La portata e la complessità della situazione che coinvolge gli sfollati richiedono una maggiore cooperazione e sostegno a livello internazionale, ha affermato, aggiungendo che assistenza e condivisione degli oneri devono essere forniti ai paesi a basso e medio reddito che ospitano la maggior parte dei rifugiati. Ha anche messo in luce l’Alleanza umanitaria del settore privato del suo paese, avviata a settembre, che aiuta a mobilitare le risorse nei giorni di crisi, in aderenza ai principi degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite.
EUFRÁSIO JOSÉ MARIA IRACHANDE GOUVEIA (Mozambico) ha affermato che i rifugiati sono spesso vulnerabili e bisognosi di protezione, ma la loro dura prova è spesso aggravata da un’accoglienza ostile e da pregiudizi amplificati dalla loro demonizzazione. Ancora più preoccupante, ha aggiunto, il trattamento selettivo dei rifugiati in base ai loro luoghi di origine, oltre a intere piattaforme elettorali costruite sulla politica della paura, del nativismo e dell’identità che hanno acquisito legittimità – qualcosa che era impensabile qualche anno fa. Il Mozambico ospita oggi più di 28.000 rifugiati e richiedenti asilo, oltre a 700.000 sfollati interni. La maggior parte dei paesi come il Mozambico che ospitano i rifugiati sono quelli che non si sottraggono ai propri obblighi internazionali, ma allo stesso tempo sono quelli che si trovano ad affrontare molteplici sfide. Il Mozambico sostiene pienamente il nobile lavoro dell’UNHCR volto a proteggere e salvare vite umane e a costruire futuri migliori per i rifugiati, gli sfollati interni e gli apolidi del mondo, ha affermato.
JAMES KARIUKI (Regno Unito), rilevando che il numero di persone costrette ad abbandonare le proprie case ha raggiunto un livello record, ha affermato che questa tendenza è purtroppo destinata a continuare poiché nuove emergenze, anche a Gaza, spingono i limiti di un sistema umanitario già messo a dura prova. Il Consiglio ha un ruolo nell’affrontare l’aumento degli sfollati, ha affermato, sottolineando la necessità di far luce sulle crisi trascurate. A tal fine, ha messo in luce i 5,5 milioni di dollari aggiuntivi di sostegno umanitario forniti dal Regno Unito ai Rohingya fuggiti dalla pulizia etnica in Myanmar e che hanno cercato rifugio in Bangladesh nel 2017. Il Consiglio, e coloro che hanno influenza, devono insistere affinché esistano le condizioni che consentano ai rifugiati di ritornare in modo sicuro, volontario e dignitoso. Al prossimo Forum Globale sui Rifugiati di dicembre, il Regno Unito si impegnerà a promuovere iniziative in materia di istruzione, inclusione e protezione per i rifugiati e i paesi ospitanti.
GHASAQ YOUSIF ABDALLA SHAHEEN (Emirati Arabi Uniti) ha affermato che gli Stati devono garantire che tutti gli sfollati interni e i rifugiati abbiano accesso ai servizi di base. Ciò richiede un rafforzamento del coordinamento con le organizzazioni umanitarie competenti e le agenzie delle Nazioni Unite, nonché una maggiore cooperazione con i governi ospitanti. Ha detto che quasi 2 milioni di persone nella Striscia di Gaza sono state sottoposte a continui bombardamenti israeliani per tre settimane. Di conseguenza, due terzi della popolazione di Gaza vivono in condizioni difficili. Ha aggiunto che la prolungata crisi dei rifugiati Rohingya non sta ricevendo sufficiente attenzione da parte della comunità internazionale e ha sollecitato l’intensificazione degli sforzi diplomatici per trovare una soluzione. È necessario affrontare il deterioramento delle condizioni umanitarie che i Rohingya devono affrontare e creare condizioni adeguate per il loro ritorno volontario, sicuro, sostenibile e dignitoso in una patria stabile. È inoltre necessario compiere sforzi per affrontare le cause profonde degli sfollamenti, ha affermato, sottolineando che un simile approccio sarebbe efficiente ed economicamente vantaggioso per la comunità internazionale.
GENG SHUANG (Cina), sottolineando che il deficit di finanziamenti umanitari continua ad ampliarsi e ora ammonta al 40%, ha affermato che molte agenzie umanitarie sono costrette ad abbassare il loro livello di assistenza e che innumerevoli famiglie sono costrette a soffrire il freddo e la fame nelle
più dure condizioni. Con gli sforzi di soccorso e protezione dei rifugiati che si trovano ad affrontare enormi difficoltà, la comunità internazionale deve mobilitare risorse e creare la massima sinergia nel sostenere istituzioni multilaterali come l’UNHCR. I paesi sviluppati devono rispettare i loro impegni di assistenza, ha affermato, aggiungendo che i paesi che hanno le principali responsabilità per il problema dei rifugiati dovrebbero intensificare il loro aiuto ai rifugiati e ai paesi che li ospitano. Ha chiesto a Israele di dare ascolto alle richieste di cessate il fuoco e di fermare il trasferimento forzato dei rifugiati palestinesi, aggiungendo che sono necessari anche corridoi umanitari e sostegno costante all’UNRWA. Ha continuato affermando che l’UNHCR dovrebbe continuare a dare priorità all’Africa nel suo lavoro.
HERNÁN PÉREZ LOOSE (Ecuador) ha riconosciuto le cause politiche, economiche e climatiche dello sfollamento, aggiungendo però di essere particolarmente preoccupato per coloro che sono sfollati a causa della violenza. Nel 2022, più della metà di tutti i richiedenti rifugio provenivano da Siria, Ucraina e Afghanistan, ha affermato, sottolineando: “Questa tendenza continuerà sicuramente quest’anno”. Ricordando che l’Ecuador ha il maggior numero di rifugiati ufficialmente riconosciuti in America Latina e nei Caraibi, ha affermato che è essenziale consolidare i partenariati a livello nazionale, regionale e globale per promuovere una migrazione sicura, ordinata, regolare e responsabile, e garantire i diritti delle persone in situazione di mobilità umana. Ha chiesto il rafforzamento delle azioni coordinate per combattere le reti criminali organizzate transnazionali e la tratta di esseri umani, e ha anche chiesto ai donatori di contribuire a superare il deficit finanziario dell’UNHCR.
CHRISTOPHE NANGA (Gabon), sottolineando che gli ultimi dati dell’UNHCR non includono le disastrose conseguenze della situazione a Gaza dal 7 ottobre, ha affermato che i conflitti armati rimangono la principale causa del fenomeno dei rifugiati, insieme agli effetti corrosivi del cambiamento climatico e della degradazione ambientale. Lo sfollamento di massa è indissolubilmente legato alla negazione dei diritti ed espone gli sfollati a ulteriori violazioni dei loro diritti una volta che sono in movimento. Il fatto che il 90% dei nuovi rifugiati nella prima metà di quest’anno provenisse dalla Repubblica Democratica del Congo, dall’Afghanistan, dal Myanmar, dall’Ucraina, dalla Somalia e dalla regione dell’America Latina e dei Caraibi giustifica la grande attenzione delle Nazioni Unite verso quelle popolazioni e le loro circostanze angoscianti. Ha attirato l’attenzione sul contributo di 2 milioni di dollari del Gabon all’UNHCR per aiutare ad affrontare gli effetti a catena della crisi in Sudan sui paesi vicini come il Ciad e la Repubblica Centrafricana.
MAURO VIEIRA, Ministro degli Affari Esteri del Brasile e Presidente del Consiglio per il mese di ottobre, è intervenuto a titolo nazionale, affermando che i paesi a basso e medio reddito hanno generosamente mantenuto aperti i loro confini e ospitano circa il 90% di tutti gli sfollati. Sottolineando che gli sfollati forzati stanno pagando un prezzo elevato per l’incapacità della comunità internazionale, in particolare del Consiglio di Sicurezza, di garantire la pace, ha affermato che le misure di governance delle frontiere devono essere conformi al diritto internazionale umanitario, compreso il divieto di espulsioni collettive, il principio di uguaglianza e non discriminazione, il diritto di chiedere asilo e i diritti dei bambini. Il sistema di protezione dei rifugiati del Brasile si basa sul rispetto della dignità umana, ha affermato, sottolineando che il Brasile ha concesso visti umanitari alle persone colpite dalle crisi in Afghanistan, Siria, Haiti e Ucraina, accogliendo e integrando anche i venezuelani arrivati nel paese dal 2017. Qualsiasi misura relativa allo spostamento forzato della popolazione civile o di singoli civili da Gaza che non sia coerente con il diritto internazionale deve essere revocata, ha aggiunto.
Il Sig. GRANDI, rispondendo ai commenti e alle osservazioni sollevate, ha sottolineato che l’UNHCR non ha il mandato di operare nei Territori Palestinesi Occupati, che è di responsabilità dell’UNRWA. In questo contesto, ha chiesto un forte sostegno a quell’agenzia “poco finanziata”, che conosce fin troppo bene, avendola diretta lui stesso. Ha sottolineato la necessità di consentire più forniture attraverso i confini di Gaza il più presto possibile prima che la crisi umanitaria diventi insostenibile, e per la quale un cessate il fuoco umanitario – menzionato da diversi oratori – è una priorità. Ha ribadito la sua preoccupazione per l’impatto della crisi nella regione e oltre, compreso il rischio che si sovrapponga ad altre situazioni, come in Libano, che ospita 1 milione di siriani e rifugiati palestinesi. Ha chiesto la fine della guerra e la ricerca di una soluzione politica.
Sui punti sollevati dal rappresentante della Federazione Russa riguardo al ritorno dei rifugiati siriani, lui ha dichiarato di essere impegnato nel dialogo con il governo siriano sulla creazione delle condizioni per il loro ritorno. Queste includono l’azione di Damasco sui loro diritti e tutele, così come il loro accesso ai servizi e alle case, e il sostegno internazionale. Sulla situazione nel Mediterraneo centrale, ha sottolineato l’arrivo di persone dalle recenti aree di conflitto, comprese quelle dal Sudan e dalla Siria, e ha elogiato gli sforzi per affrontare questi flussi complessi. Tuttavia, se non si affrontano le cause profonde, il rischio che i flussi migratori aumentino è elevato. Per quanto riguarda gli sfollati interni, che rappresentano due terzi dei 114 milioni di sfollati forzati nel mondo, ha sottolineato l’incontro tenutosi oggi per cercare soluzioni con gli Stati membri interessati. Ha ringraziato il portavoce del Mozambico per la sua dichiarazione, aggiungendo che spera di visitare presto quel paese.
Per quanto riguarda il cambiamento climatico e il suo legame con sfollamenti e conflitti, come dimostrato nel Sahel e nel Corno d’Africa, ha affermato che tali collegamenti saranno discussi alla prossima Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, comprese le risorse per affrontare questo aspetto della crisi climatica. Ha continuato sottolineando il “drammatico” deficit finanziario affrontato dalle organizzazioni umanitarie, con l’UNCHR che ha ancora bisogno di 600 milioni di dollari “per fare semplicemente il lavoro che dobbiamo fare”. Inoltre, ha auspicato che il Consiglio si impegni a trovare soluzioni al conflitto, fornendo così le basi necessarie affinché la sua organizzazione possa affrontare la difficile situazione delle persone sfollate a causa del conflitto.
Per i credenti, dietro quel che il senso comune definisce “qualcosa di casuale” non è errato il tentativo di leggere un “segno”, con la conseguente riflessione sul significato che lo stesso “segno” presenta.
Il 7 ottobre le Reti, le Associazioni, i Circoli, i Comitati locali, le e i singole/i cittadine/i che hanno aderito, sostenuto e partecipato alla mobilitazione del 5 novembre 2022 per il cessate il fuoco e per il negoziato per porre fine all’aggressione russa ed alla guerra in Ucraina si sono riuniti a Roma, sotto il coordinamento della CGIL, per rispondere alla conferenza di Vienna che ha lanciato la mobilitazione internazionale dei movimenti per la pace, la nonviolenza ed il disarmo per chiedere il cessate il fuoco ed il negoziato, confluendo nella grande manifestazione nazionale “La Via Maestra. Insieme per la costituzione”. Temi: diritti, istruzione, salari, ambiente, democrazia, salute, pace, lavoro. https://www.youtube.com/watch?v=ugjJT8JG5Fw
È interessante accostare la figura di San Pio V, l’ultimo Papa canonizzato prima dei Papi del XX secolo (San Pio X, San Giovanni XXIII, San Paolo VI e San Giovanni Paolo II) la cui vicenda si lega proprio alla data in cui quest’anno si è svolta questa manifestazione.
Pio V, uno dei Pontefici che ha attuato la Controriforma, ha legato in modo indelebile il suo nome alla costituzione della Lega Santa con la scesa in campo delle potenze cattoliche, Spagna e Serenissima Repubblica di Venezia in testa, aggregatisi sotto minaccia di scomunica, per contrastare la minaccia dell’impero Ottomano.
Minaccia politica ed economica, “geostrategica” direbbero oggi gli analisti.
In gioco il controllo del Mediterraneo, a partire dal controllo dell’isola di Cipro, dominazione veneziana attaccata dai turchi.
Ma, nell’appello papale, scontro tra due civiltà, quella cristiana e quella musulmana.
Il Pontefice il 7 ottobre del 1571, giorno della vittoria della Lega Santa a Lepanto sulla flotta ottomana, fece suonare le campane alle 12:00, istituì la festa della “Madonna della Vittoria” (poi rinominata “Madonna del Rosario” dal successore papa Gregorio XIII) alla cui intercessione era attribuito il trionfo della flotta cristiana, aggiunse il titolo “Auxilium Christianorum” (Aiuto dei cristiani) alle Litanie Lauretane, mentre già nel Breviario romano da lui promulgato nel 1568, ci aveva consegnato la terza parte dell’«Ave Maria», come la conosciamo oggi.
7 ottobre 2023. La coscienza dei cittadini che si mobilitano non è più quella di chi auspica una vittoria “militare” per ricacciare le “oscure forze del male” ma quella di un popolo che ritiene questa opzione assolutamente inadeguata.
Due cortei confluiscono in piazza San Giovanni. Oltre 200mila partecipanti ed oltre 200 associazione, laiche e cattoliche. È la più grande manifestazione degli ultimi 10 anni. Presenta Raffaella Bollini (ARCI), Giulio Marcon (Sbilanciamoci), Andrea Morniroli (Forum Diseguaglianze Diversità).
Il primo intervento è quello di Stefania Brogini, delegata FP dell’ospedale di Camposteggia (SI) che ci parla della situazione della Sanità, infermiera che lavora in emergenza/urgenza dal 1993. Negli ultimi anni i ritmi di lavoro sono diventati assurdi, i turni massacranti. “Noi vogliamo prenderci cura delle persone ma non abbiamo più il tempo materiale di scambiare con loro una parola”.
Intervento per la campagna “Ci vuole un reddito” di Ilaria Manti: otto milioni le persone in povertà relativa, cinque milioni e mezzo le persone in povertà assoluta, eppure viene abolito il reddito di cittadinanza. Nel mondo reale non si riesce a fare la spesa e ad arrivare alla fine del mese. Il libero mercato è escludente. Il governo dovrebbe fare non i condoni mentre fa la guerra ai poveri.
Unanime la condanna alla escalation degli attentati in Palestina.
Michela Paschetto, per Europe for Peace, infermiera di Emergency. La guerra è negazione del diritto, della sicurezza, della salute, della casa, dell’istruzione. Le vittime della guerra non sono solo le persone uccise ma tutte quelle che non possono raggiungere un ospedale in sicurezza e, ad esempio, le donne rinunciano a venire in ospedale per partorire o altri rinunciano a farsi curare.
Tra gli interventi sul palco quelli di Olga Karash, pacifista bielorussa, che invita l’Europa a sostenere gli obiettori di coscienza russi, bielorussi ed ucraini, perché questo costa meno di qualsiasi missile e visto che questa non viene permessa nei tre Stati si ingrossano le fila di chi viene chiamato alle armi.
Poi Gustavo Zagrebelsky che ricorda, uno dei primi firmatari 10 anni fa della prima manifestazione “La via maestra”. Qui si manifesta per l’Italia, non “per la sinistra”. “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. È “una Repubblica”, dunque: “è una cosa di tutti noi”. Dunque: è contro le privatizzazioni. È “democratica”: ma oggi vota una minoranza; la nostra è una democrazia fragile, a rischio; a tutti devono essere riconosciuti i diritti fondamentali; le differenze di ricchezze sono così abnormi, tanti hanno sperimentato cosa vuol dire non godere dei diritti fondamentali in uguaglianza tra tutti noi. “Fondata sul lavoro”. Siamo lontani dall’articolo della Costituzione. Siamo qui per manifestare per l’Italia e per quel che dice la sua Costituzione.
Giuseppe De Marzo (Rete Numeri Pari) autonomia presidenziale e presidenzialismo sono punti dell’agenda da rigettare; siamo passati da: “prima gli italiani” a: “prima i veneti, i lombardi, gli emiliano romagnoli”. Passeremmo da un regionalismo solidale ad uno competitivo che aumenterà le differenze tra Nord e Sud.
Alessandra Esposito (delegata Flai pastificio Garofalo, Gragnano) interviene per la questione di genere e delle pari opportunità sul lavoro.
Gianfranco Pagliarulo (ANPI) condanna l’escalation di Hamas. Urge una immediata soluzione politica. Anche in Ucraina è fondamentale un negoziato. Necessario un antifascismo che sciolga le organizzazioni naziste e fasciste.
Sonny Olumati (Italiani senza cittadinanza) ci parla dei figli degli emigrati stranieri. “Il lavoro povero lo hanno inventato gli imprenditori ricchi”. Se si chiudono tutte le porte per entrare in Italia si fanno prosperare i trafficanti; se si nega la realtà, la realtà presenta sempre il conto. Attualmente nel mondo ci sono 108 milioni di profughi. Esternalizzare le frontiere e pagare i dittatori di altri paesi per fermare i migranti non solo è una cosa sbagliata ma non sta dando frutti.
Oggi presidi di solidarietà si svolgono anche a Bruxelles, Francoforte, Parigi, Berlino, Londra e altre città. Un messaggio per video da Esther Linch, segretaria generale CES.
Per i sindaci parla Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e presidente di ALI (Lega Autonomie Locali) che meno di 9 euro l’ora il lavoro è sfruttamento.
Lavorare è diventato sempre più rischioso. Ne parla Salvatore Guastella, delegato Fillea, Travaglini Costruzioni, ricordando la tragedia di Brandizzo. Ogni giorno sono tanti i morti sul lavoro, specialmente nei cantieri. L’inserimento dei subappalti a cascata portano a risparmiare sulla qualità dei materiali e sulla sicurezza. Sette infortuni su dieci avvengono nel subappalto. I nostri salari sono fermi, chi fa profitto sono solo alcuni.
Don Luigi Ciotti: C’è stata una vera e propria “prostituzione morale” che ha violato i principi della Costituzione. Anche la Resistenza è stata negli ultimi anni svuotata di contenuto fino a diventare adattamento, non cambiamento. Non possiamo tacere. Il Vangelo sta innanzitutto dalla parte degli umiliati, degli esclusi, dei poveri, dei migranti, dei lavoratori. La Costituzione è stata scritta per dire: mai più povertà, discriminazioni, diseguaglianze, mai più guerre; per affermare il diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione. Il tradimento della Costituzione viene da anni in cui le forze politiche non hanno affrontato questi nodi. Quando il valore del denaro è superiore al valore della vita si è già in conflitto; dobbiamo opporci a questo furto di speranza. La giustizia sociale ed ambientale non sono solo dei costi ma degli investimenti fondamentali e una politica che non le garantisce tradisce la Costituzione ma prima ancora tradisce se stessa. La solidarietà non può sostituirsi alla politica e colmare i suoi vuoti.
Simona Abate parla per le associazioni ambientaliste (WWF, Legambiente, Greenpeace, Kyoto Club Transport & Environment) sulla questione delle scelte ecologiche.
Emiliano Manfredonia (ACLI) ricorda che L’Italia è nata dalle ceneri del Fascismo. Oggi ci sono ancora tanti ostacoli non rimossi con gravi problemi sociali.
Camilla Piredda (associazioni studentesche) ricorda come siano passati 158 giorni da quando hanno piantato le prime tende a Milano e in tutta Italia e che ancora attendono risposte.
Due anni fa la Sede Nazionale della CGIL fu assaltata.
Maurizio Landini (CGIL): Noi siamo quelli che vogliono unire il nostro Paese, non dividerlo e che lo tiene in piedi col nostro lavoro. Le diversità ci uniscono. Qui ci sono due fatti nuovi che parlano al paese: oggi noi non siamo qui come singoli ma come persone, siamo persone che credono nella giustizia sociale e nella solidarietà; noi non pensiamo solo di avere dei diritti ma sentiamo il dovere di trasformare questa società che attraverso leggi sbagliate in questi anni hanno aumentato le diseguaglianze sociali. Ciò che ci unisce è proprio la via maestra della Costituzione. Chi produce la ricchezza di un Paese è chi lavora, non la finanza. Noi vogliamo risolvere i problemi delle persone, pur facendo i conti con le situazioni difficili e complicate. C’è bisogno di lavorare assieme con intelligenza. Due date da ricordare: il 16 ottobre di due anni fa, quando abbiamo manifestato dopo l’assalto alla sede della CGIL; il 5 novembre dell’anno scorso abbiamo chiesto che la guerra non sia più lo strumento di regolazione tra gli Stati; come in Ucraina, condanniamo anche l’attacco di Hamas. C’è bisogno che la Comunità internazionale si smuova su questo. Dopo 18 mesi sono oltre 500mila vittime in Ucraina, un terzo degli ucraini sono rifugiati all’estero, una recessione economica ha preso tutti noi; non può essere solo il Papa l’unico ad esprimersi per la pace.
Sta aumentando la spesa militare in tutto il mondo. Noi stiamo correndo verso il pericolo nucleare.
Senza la pace non ci sono diritti per chi lavora e la guerra la pagano coloro che lavorano.
Una società che guarda solo al mercato e al profitto spacca, divide, genera odio, alimenta il conflitto. Negli ultimi vent’anni questo indirizzo ha determinato un arretramento dei diritti e un aumento delle diseguaglianze senza precedenti.
I temi più importanti: salario, pensioni, difesa del reddito. C’è un calo del potere d’acquisto che supera il 20%. Non sono mai aumentati tanto i profitti, come di aziende che li hanno aumentati all’’80% e viene tassato il lavoro e non questi profitti. Bisogna cambiare le leggi che favoriscono la precarietà; la legalizzazione dei subappalti, le persone non hanno gli stesi diritti e le stesse tutele. È necessario approvare il salario minimo; paghe a 5-6 euro l’ora sono paghe da fame, inaccettabili. Il governo, anziché convocare le parti sociali ha “subappaltato” il suo ruolo al CNEL che sta teorizzando che non c’è bisogno di fare una legge sulla rappresentanza né un salario minimo.
In questo contesto il tema della crisi climatica non può essere negato; ringraziamo i cittadini dell’Emilia Romagna che non ha ancora visto un euro se non quelli dei Comuni e delle Regioni ma nulla ancora dallo Stato. Le cose più lucide anche su questa materia sono quelle che dice il papa. la questione ecologica non è una questione ambientale ma una questione sociale che richiama al modello di sviluppo.
Altri due temi fondamentali: salute e istruzione, oggi messi in discussione; 4 milioni sono i cittadini che non hanno i soldi per potersi curare; 40 miliardi sono i soldi che i cittadini hanno speso per doversi curare. Con la contraddizione chiara che paghiamo la spesa pubblica che però è stata tagliata di 40 miliardi; non possiamo accettare i tagli prossimi sulla spesa sanitaria. Abbiamo bisogno di fare assunzioni e investire anche per combattere le morti sul lavoro: 80 morti al mese! Il diritto all’istruzione, alla cultura, deve essere garantito a tutti e per tutta la vita lavorativa delle persone. I soldi bisogna andarli a prendere dove sono. Un’impresa paga meno tasse sugli utili che fa sul lavoro delle persone rispetto alle tasse che pagano i lavoratori. Abbiamo giovani nel nostro paese che rischiano di andarsene. Visto la crisi di nascite servono 450-500mila ingressi di lavoratori stranieri ma non parlano mai di un altro dato. SONO DI Più I GIOVANI ITALIANI CHE SE NE VANNO ALL’ESTERO PER NON ESSERE SFUTTATI E SOTTOPAGATI CHE GLI IMMIGRANTI CHE ENTRANO NEL NOSTRO PAESE. Con l’Europa bisogna discutere sulle politiche di austerità. Si è sempre di fronte a due alternative secche: se vuoi la Costituzione hai una idea di democrazia, di partecipazione. L’altro è il modello autoritario che vuole ridurre gli spazi di democrazia e svilire la Costituzione, questo diceva Rodotà e noi oggi vogliamo ribadire da questa piazza: non siamo contro qualcuno ma siamo a favore di una applicazione concreta di quella “Via maestra” che è la Costituzione Italiana.
Se non si sa come accogliere i migranti e i rifugiati non bisognerebbe chiedersi cosa sia necessario fare perché essi non partano?
12 ottobre 2023
Mentre nel briefing sinodale di ieri si parlava (molto) di migranti, io sistemavo alcune foto per ua lezione da tenere nei prossimi giorni a scuola. In uno di questi scatti, del 1905, Lewis Hine immortala una famiglia italiana in ricerca di un bagaglio smarrito dopo la traversata transoceanica, appena arrivati ad Ellis Island, New York. Negli occhi della madre il timore verso un futuro incerto; in quello del ragazzo la fierezza di chi questo futuro ce l’ha davanti e sa che ora starà a lui costruirlo.
Di recente è stato il decennale (3 ottobre 2013) della tragedia al largo dell’isola di Lampedusa, nella quale perdono la vita 368 migranti per il naufragio della loro imbarcazione: l’evento più disastroso nell’elenco delle migliaia di vittime che in questi ultimi anni il Mediterraneo ha inghiottito troncando i loro viaggi di speranza. Nelle sequenze del docufilm TheLetteFilmr.org (2022), Bilal Seck racconta ad Arouna Kandé il dramma vissuto durante il naufragio nella sua traversata dal Senegal verso le coste europee, ed affida ad Allah i suoi giovani amici che ha visto affogare, stremati, uno ad uno, sotto i suoi occhi.
“Liberi di scegliere se migrare o restare”. Questo, non a caso, è stato il tema scelto da Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2023, preceduta da una settimana di grandi fermenti svolti a Marsiglia, dal 17 al 24 settembre, ricapitolati dal titolo “Mosaico di speranza – Med 23” – terza tappa degli “Incontri Mediterranei”, dopo quelle organizzate a Bari (2020) e a Firenze (2022).
Un programma fittissimo che ha coinvolto la città francese in un vero e proprio “festival” di iniziative: conferenze, concerti, banchetti solidali, celebrazioni, assemblee, esposizioni, visite culturali. 70 giovani di ogni origine e religione per rappresentare il Mediterraneo in tutta la sua diversità. 70 vescovi provenienti dalle cinque sponde del Mediterraneo.
Al termine della settimana la visita di Papa Francesco, che continua il suo percorso e le sue indicazioni, raccolte dal processo di comunione delle diocesi che si affacciano su questo mare e che propongono anche in questo terzo Incontro i temi di riflessione su migranti, accesso all’acqua, grandi povertà, pluralità religiosa, dialogo interculturale e interreligioso, integrazione attraverso l’attività economica, preservazione degli equilibri ecologici. Il vescovo di Roma si presenta a Marsiglia continuando un percorso da lui aperto a Lampedusa (2013) e continuato a Tirana, Sarajevo, Lesbo, Il Cairo, Gerusalemme, Cipro, Rabat, Napoli, Malta, perché questo mare possa essere un messaggio di speranza per tutti.
A Marsiglia l’incontro anche con il Presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron. Su tutto, la citazione di Paolo VI che chiedeva con la Popolorum Progressio di seguire tre “doveri” – solidarietà, giustizia sociale, carità universale (n.44) – e l’affermazione del vescovo di roma, secondo la quale “i migranti vanno accolti, protetti o accompagnati, promossi e integrati. La storia ci interpella ad un sussulto di coscienza per prevenire il naufragio di cività… l’integrazione è faticosa ma lungimirante… abbiamo bisogno di fraternità come del pane”.
Nel messaggio per la 109ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, Papa Francesco parla del diritto a non dover emigrare, un diritto che non ha ancora trovato una codificazione. Questa possibilità, dal punto di vista dei Governi europei, risulta un’auspicio che risponda agli sforzi nell’impedire e nel respingere i flussi immigratori che si ritiene non possano ottenere una adeguata accoglienza. Ma Francesco ce la presenta dal punto di vista di chi emigra: il diritto a non uscire dalle proprie terre dovrebbe essere garantito permettendo a chi lo chiede di vivere in pace e con dignità nella propria nazione. Se questo non avviene, le migrazioni diventano inevitabili:
“Persecuzioni, guerre, fenomeni atmosferici e miseria sono tra le cause più visibili delle migrazioni forzate contemporanee. I migranti scappano per povertà, per paura, per disperazione. Al fine di eliminare queste cause e porre così termine alle migrazioni forzate è necessario l’impegno comune di tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Un impegno che comincia col chiederci che cosa possiamo fare, ma anche cosa dobbiamo smettere di fare. Dobbiamo prodigarci per fermare la corsa agli armamenti, il colonialismo economico, la razzia delle risorse altrui, la devastazione della nostra casa comune”.
Se sono i Paesi di origine i primi a dover garantire tutto questo, è anche vero che questi devono essere messi nelle condizioni di farlo e ciò non avviene quando essi sono depredati delle proprie risorse naturali e umane e a causa di ingerenze esterne tese a favorire gli interessi di pochi. Il cammino è ancora lungo, ma gli appelli del Magistero del Vescovo di Roma e delle Chiese di tutto il Mediterraneo sono chiari e forti e richiamano a scelte concrete e decise.
Se in Italia si perdono gli studenti in Africa si chiudono le scuole. Cosa fare per questi studenti? Domande aperte all’inizio di un nuovo anno scolastico.
Unicef, UNHCR, Norwegian Refugees Council e Education Cannot Wait hanno pubblicato l’ultimo report nel settembre 2023 dal titolo “Istruzione sotto attacco”.
Lo studio prende in esame la situazione scolastica in 19 nazioni della regione dell’Africa centro occidentale. La situazione è oltremodo critica perché in quest’area sono state chiuse 13.263 scuole per ragioni legate agli sfollamenti interni dovuti ai vari conflitti armati nei primi otto mesi del 2023.
Questo contesto coinvolge il benessere, l’apprendimento e la protezione di circa due milioni e mezzo di bambini in età scolare.
Nel Sahel centrale la situazione è particolarmente grave, con la chiusura tra il 2019 e il 2023 da 1700 a quasi 9000 scuole. Nel solo Burkina Faso sono state chiuse 6149 scuole, un bambino su quattro è rimasto privato dell’istruzione scolastica.
Sono stati registrati 147 incidenti contro l’istruzione.
“L’istruzione è un’ancora di salvezza per i bambini. Ma per milioni di bambini nell’Africa centrale e occidentale l’insicurezza significa che rimarranno bloccati fuori dalla classe nel prossimo anno scolastico, incapaci di apprendere. Molti saranno costretti a lavorare, a unirsi a gruppi armati o a sposarsi, mandando in frantumi il loro futuro”, ha affermato Hassane Hamadou, direttore regionale dell’NRC per l’Africa centrale e occidentale.
Il documento si appella ai governi delle nazioni interessate, a tutte le parti in conflitto, richiamando la Risoluzione 2601 (2021) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla protezione delle scuole nei conflitti armati e chiedendo l’attuazione della Dichiarazione sulla scuola sicura realizzata nel 2015 dall’agenzia GCPEA (Coalizione Globale per la Protezione dell’Istruzione dagli Attacchi durante i conflitti armati) e già sottoscritta da 118 paesi.
Si chiede che i governi negozino con le forze militari impegnate nei conflitti armati la riapertura delle scuole, fermino l’arruolamento dei bambini e prevengano le violenze sessuali (compresi i matrimoni forzati e precoci) prodotte dai combattenti. Importante il monitoraggio e la denuncia delle violazioni dei diritti internazionali. Si chiede anche l’utilizzo delle tecniche di apprendimento a distanza. Purtroppo quello che in Europa è sperimentato dopo gli anni dell’emergenza per il COVID-SARS ed è attuato anche per gli studenti ucraini in questo anno e mezzo di conflitto, è difficilmente realizzabile nelle scuole di questa regione, spesso prive di collegamento elettrico, rete internet ma soprattutto di device da utilizzare. Le ultime raccomandazioni riguardano l’estensione e il miglioramento del supporto psicosociale ai bambini, ai loro insegnanti e a chi si prende cura di loro e l’aumento dei finanziamenti a lungo termine per l’istruzione nelle emergenze.
Propongo una riflessione a partire da alcuni dati statistici.
Il nostro presidente della Repubblica, inaugurando ufficialmente l’anno scolastico 2023/2024 con la cerimonia svoltasi a Forlì presso l’Istituto tecnico “Saffi-Alberti” (XXIII edizione di “Tutti a Scuola”) ha ricordato nel suo discorso l’importanza dell’integrazione nelle nostre scuole degli studenti che provengono da famiglie immigrate, che sono 800mila, un decimo degli studenti italiani.
In Italia, dati del 2022, sono operative 8.136 Istituzioni Scolastiche. Nell’Africa Centro Occidentale secondo i dati del luglio 2023, sono state chiuse 13.263 scuole.
Secondo i dati del settembre 2022, in Italia nel biennio 2020/21- 2022/23 si sono persi 220 mila studenti (da 7.507.000 a 7.286.000) e tremila classi, con conseguenti perdite di posti di lavoro nel comparto scuola.
Nella regione di queste 19 nazioni africane, due milioni e mezzo di studenti sono rimasti fuori delle scuole.
Non potrebbero questi dati essere una indicazione significativa per spingere l’Italia e l’Europa ad una inversione di marcia nei confronti della politica dello sbarramento delle migrazioni?
Invece di respingere queste popolazioni e ricacciarle a morire nel deserto o ad essere seviziate nei lager libici, non dovrebbe essere compito dell’ONU in primis con i goals 4,10 e 16 dell’Agenda 2030 garantire dei corridoi umanitari perché questi studenti arrivino in Europa e al tempo stesso perché si inizi a lavorare seriamente per risolvere i conflitti in questa regione?
Verso la fine di agosto si è svolta un’interessante serata di riflessione sulla pace al Festival de La Versiliana a Marina di Pietrasanta (LU), con la centro l’appello di Raniero La Valle e Michele Santoro per dare una rappresentanza al popolo della Pace.
Ha aperto gli interventi lo storico direttore di Avvenire ai tempi del Concilio Vaticano II, Raniero La Valle, ormai novantenne ma con il suo straordinario sogno: per ottenere la pace, la terra – casa comune che soffre – e la dignità di ogni uomo e donna bisogna uscire da “il sistema di guerra” che pervade l’economia e domina la politica (ragion per cui la guerra in Ucraina non può terminare). L’obiettivo che egli propone è arrivare ad un Appello, per dar vita a una grande Assemblea permanente, che susciti nuove proposte dalle assemblee dei partiti fino alla stessa ONU. Le imminenti elezioni europee potrebbero essere l’occasione per creare delle convergenze su questi comuni obiettivi. Citando Turoldo e Rigoberta Menchú, quindi, ha chiesto a tutti noi di prendere la voce e far sentire il grido dei poveri e degli ultimi, dalle piazze ai palazzi del potere con lo struggente grido che ricorda il piccolo bambino siriano di tre anni con la maglietta rossa morto affogato sulle spiagge di Bodrum in Turchia il 2015: “Io sono Alan Kurdi”.
In tal senso, Ginevra Bompiani ha utilizzato l’immagine del buco nero: “se ti trovi in un buco nero non arrenderti, c’è sempre un modo per uscirne” (Stephen Hawking). Ma per uscire dal buco nero dobbiamo capire cosa intendiamo per pace. Tutti parlano di pace ma con essa intendono la vittoria che si ottiene solo col conflitto. Cosa mettere al posto di morte, della vittoria e del libero mercato? Manutenzione e quindi vita, disarmo, scambio, rispetto dell’ambiente. La questione non è se avanzare da soli o in compagnia ma è avanzare con tutti i compagni possibili e immaginabili.
Luigi De Magistris ha spostato il discorso sulla Costituzione, partendo dall’articolo 11, rivendicando l’obiettivo di dare rappresentanza a chi la pensa in modo diverso rispetto all’invio delle armi sine die. L’articolo 1 ci dice, inoltre, che che “la sovranità appartiene al popolo”: “dobbiamo avere l’impegno di rispondere alla sua volontà come nel caso dell’acqua quale bene pubblico, secondo l’indicazione espressa dal referendum popolare del 2011. Napoli è l’unica istituzione italiana, ad oggi dopo 12 anni, che ha attuato questa volontà popolare, trasformando una Società per Azioni che faceva profitti in un’azienda municipale che fa utili. È stato difficilissimo ma è stato possibile”.
Cosa si può fare allora? De Magistris chiude citando l’art.2, secondo comma, della Costituzione italiana: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che limitando di fatti la libertà e l’uguaglianza impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. I costituenti che hanno visto il fascismo e il nazismo che si proponevano come legalità formale, hanno ritenuto che, se i principi fondamentali dei primi 12 articoli della Costituzione dovessero non venir applicati proprio attraverso la latitanza delle istituzioni, la Repubblica – che non sono solo le istituzioni, ma siamo tutti noi – dovrebbe rimuovere questi ostacoli proprio attraverso la nostra azione.
L’ultimo intervento, accorato, è stato quello di Michele Santoro: “Non possiamo accettare che 500mila vittime non siano ancora considerate un tributo di sangue sufficiente per far finire una guerra. La guerra è continuata perché era necessario creare un muro tra Russia e Ucraina. E come si fa a creare questo muro? Con decine, centinaia di migliaia di morti. Ma cosa sarebbe avvenuto senza la guerra? L’Europa sarebbe diventata la prima potenza economica. Ma, con il Covid, il debito mondiale è cresciuto tre volte e mezza rispetto al PIL mondiale. Ed oggi chi comanda il mercato è proprio il debito (il volume delle azioni finanziarie nel mondo è di gran lunga superiore a quello dei prodotti, i soldi non si fanno realizzando prodotti reali, si fanno emettendo certificati). Ma i Paesi più indebitati non sono quelli più poveri – che, invece, sono quelli ricattati. I paesi più indebitati sono in realtà gli Stati Uniti e la Cina. Il debito, quindi, determina questo scontro tra giganti. Inoltre, durante la pandemia i soldi sono andati ad arricchire la speculazione e sono emersi 700 nuovi miliardari. Il patrimonio dei dieci uomini più ricchi del mondo nei due anni della pandemia è aumentato, mentre 750 milioni di persone sono finite sull’orlo della fame. Solo in Italia il 95% della popolazione si è impoverita e il 5% si è arricchita ulteriormente. Non solo i poveri saranno ancora più poveri, ma tutti noi, il 95% della popolazione italiana, dovremo pagare il conto di questa guerra. I tedeschi, che sono entrati in recessione e non vogliono più pagare il 2% delle spese militari, arriveranno anche loro a presentare il conto a noi italiani, dicendo che nella UE non ci sono più soldi per noi e adesso dobbiamo rientrare dal debito e pagare, ad esempio le tasse ecologiche per il risanamento del pianeta. In realtà, una banca dà 7 euro a chi produce fossile e 3 all’economia green. La prima banca che finanzia il fossile è la statunitense Morgan Stanley. Siamo dunque costretti a procedere molto lentamente con il green perché altrimenti queste banche fallirebbero. È da qui che nasce la crisi ecologica del mondo”.
Confidiamo che queste voci diano sempre più voce a chi cerca un’alternativa alle logiche di morte che ancora non vogliono trovare una soluzione al conflitto ucraino!