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La domanda «Se non ora, quando?» posta oggi da una parte significativa dell’orbe cattolico al Vescovo di Roma non è certamente nuova nella Storia del Cristianesimo.
Penso alla stagione e ai fermenti dei moti per l’Indipendenza dell’Italia con le relative attese cariche di speranze – dovute anche ad alcuni atteggiamenti da parte del pontefice neoeletto che pareva le giustificassero – nutrite dai romani nei confronti dell’ultimo Papa-Re, Giovanni Maria Mastai-Ferretti. Il pontificato di Pio IX, ancora oggi il più longevo della storia della Chiesa Cattolica (31 anni), si trovò a vivere il passaggio dalla presa di Roma – con la breccia di porta Pia – alla stagione in cui egli volle proporsi come «prigioniero in Vaticano». Fu anche il Papa del Sillabo e del Concilio Vaticano I.
Nel secolo trascorso si sono succeduti una serie di Pontificati che hanno lasciato il loro segno.
Dopo Leone XIII con la sua prima Enciclica sociale, la RERUM NOVARUM e Pio X con il quale si è inaugurata la prassi della canonizzazione «quasi dovuta» per chi siede sul soglio di Pietro1, troviamo i pontificati di Benedetto XV, testimone della Grande Guerra e di Pio XI.
Con Pio XII abbiamo avuto una figura ieratica e sacrale, grande personalità e pontefice ancora oggi discusso perché decise di non levare la voce della Chiesa di Roma per denunciare la barbarie della vicenda che con il Nazismo portò alla Shoà e alla Seconda Guerra Mondiale. Ancora oggi sono criticati da molti quei Patti Lateranensi che diedero visibilità a Mussolini e vantaggi al Vaticano, risultando comunque un passo avanti rispetto alla Questione Romana.
Impossibile negare la stagione di rinnovamento e di speranze aperta con Giovanni XXIII il cui seppur breve pontificato ci ha consegnato l’enciclica PACEM IN TERRIS e l’apertura del Concilio Vaticano II.
Paolo VI ebbe il gravoso compito di portare avanti e concludere i lavori del Concilio, di vivere la stagione dei moti del ‘68 e quella del terrorismo culminata con l’uccisione dello statista Aldo Moro; lo si ricorda come una grandissima figura nella Chiesa Cattolica anche per il suo storico incontro con Atenagora. Documenti che portano la sua firma e che ancora oggi purtroppo destano sofferenze e sono stati motivo per non poche defezioni, sono la SACERDOTALIS CÆLIBATUS e l’HUMANÆ VITÆ.
Dopo l’alba luminosa e il subitaneo smarrimento per la scomparsa di Giovanni Paolo I, abbiamo avuto con Giovanni Paolo II, il secondo pontificato più lungo della storia (26 anni), che rimarrà nella stessa per gli eventi del Crollo del muro di Berlino e il dissolvimento del «Comunismo reale», per la «fabbrica industriale» dei Santi, per i viaggi apostolici nei cinque Continenti, per la stagione delle GMG, per l’incontro delle Religioni ad Assisi, per la sovraesposizione mediatica e infine per l’atroce malattia che lo ha consumato.
«Santo subito»: e così è stato.
Eppure su questo pontificato pesa la scelta di una lotta personale e motivata contro il Comunismo e al contempo un’alleanza con l’amministrazione Reagan che portò al finanziamento di Solidarnosc e, soprattutto, alla scelta drammatica di smantellare tutti i fermenti della Teologia della Liberazione e delle CEB in America Latina, al punto che oggi in Brasile e nelle altre nazioni sudamericane il Cattolicesimo vive un’emorragia, esponenziale e inarrestabile, di cattolici che passano ad altre Chiese.
Anche il pontificato di Benedetto XVI, inscindibilmente collegato a quello del suo predecessore, ha vissuto non poche traversie, culminate con la scelta storica delle dimissioni.
Agli occhi di diversi teologi gli ultimi due pontificati si sono posti in maniera «frenante» rispetto alle proposte e ai possibili sviluppi che il Concilio Vaticano II stesso prospettava.
Ora la gestione di Roma è nelle mani del «Papa venuto dall’altra parte del mondo».
Premessa l’esistenza di una considerevole parte del mondo cattolico che rema contro l’attuale Pontefice e vistosamente muove contro di lui una guerra spietata, dipingendolo come un massone, un idolatra, un eretico, un papa illegittimo e infine come il precursore stesso dell’Anticristo, che viene definita fazione dei «tradizionalisti», pronta a di esprimersi contro ogni sua uscita, la nostra attenzione è rivolta invece verso quei cattolici che si pongono da una prospettiva diametralmente opposta a quella dei nostalgici di un “Papa-re”.
Ed è da questi che sale la domanda, che riassumo nel titolo di questa riflessione: «Se non ora, quando?».
Quando la Chiesa cattolica, dopo aver individuato la diagnosi di uno dei mali più radicati da cui si riconosce affetta, quello del clericalismo2 con le sue nefaste conseguenze, si impegnerà a predisporre una cura adeguata, riconoscendo che non si può curare un tumore con l’aspirina e, evangelicamente parlando, ammettendo che potrebbe essere necessario effettuare potature e tagli (cfr. Gv 15, 1-8; Mc 9, 43-49) che la stessa forse non dovrebbe più procrastinare e rimandare? Quando realizzerà che queste sono operazioni necessarie che, se negate, la condurrebbero alla morte?
Quando riconoscerà che il clericalismo non si esaurisce in semplice tentazione e deviazione di soggetti corrotti ma si rivela meccanismo connaturato e favorito dalla impostazione della struttura gerarchica stessa (monarchica-piramidale-clericocentrica)? In essa la componente del clero è l’unica investita del munus gubernandi, mentre alla componente laicale è assegnata una funzione meramente consultiva (purtroppo, non poche volte, neanche considerata).
Solo il riconoscimento di simile realtà potrà considerare come la «separazione»3 del clero dal resto dei battezzati di fatto non si realizza in un totalizzante servizio di minorità (ministero← minus stare) (cfr. Lc 17, 7-10) ma purtroppo spesso si trasforma, rivestendosi, secondo l’osservazione del Popolo di Dio, dei contorni antievangelici del potere, del dominio (la signoria propria del dominus) e, nel peggio, della prevaricazione, dell’autoreferenzialità, del narcisimo, dell’individualismo e della vanagloria.
Un Papa che, come detto, davanti al dramma degli scandali già violentemente emersi durante il pontificato del predecessore, quelli della pedofilia e di quanti altri abusi registrati e riferiti ad una parte del clero, si è rivolto con un accorato appello al Popolo di Dio con la sua Lettera il 20.08.2020 denunciando i danni del clericalismo viene atteso alla prova dei fatti.
Se non ora, quando?
Quando la Chiesa Cattolica considererà la necessità di una radicale riforma teologica e strutturale che riveda il bilanciamento dei poteri decisionali, ridistribuendoli alla componente laicale rispetto a quella clericale e, in particolare, dando nuovo e significativo spazio alla presenza e al ministero delle donne? Quando si potrà dare spazio all’ordinazione dei viri probati e all’accesso al diaconato per le donne? Quando i massimi organismi della vita partecipativa ecclesiali, quelli dei Sinodi, potranno riconoscere diritto di voto oltre che di partecipazione ai massimi livelli alla componente laicale e alla componente femminile (sia in quota laicale che in quota di vita consacrata)?
Al momento sembra di poter registrare due linee direttrici nella strategia e nelle intenzioni del Vescovo di Roma.
La prima è quella che, de facto, si pone come non ricettiva di questi imput provenienti da una base composita di movimenti che chiedono una riforma radicale dell’istituzione, fondata sulla esigenza di trovare una soluzione al male, denunciato da Francesco, che è definito con il termine di clericalismo.
La seconda, quella che definirei significativa e al tempo stesso necessaria da cogliere, è quella che, fin dai primi passi del suo ministero, pare indicare e voler condurre la Chiesa oltre se stessa e i credenti fuori dal recinto dei luoghi deputati alla vita intraecclesiale.
Veniamo alla prima linea direttrice.
Il Vescovo di Roma, fin dai suoi primi passi, si sta sforzando di correggere la direzione della gestione della Santa Sede secondo un intento riformatore e, allo stesso tempo, in qualche maniera collegiale. Tale significato avrebbe nelle sue intenzioni il lavoro di un gruppo ristretto di nove cardinali chiamati a collaborare con lui per affrontare in agenda tutte le questioni che riguardano la gestione della Chiesa Cattolica.
Pare che egli ritenga che sia importante che le indicazioni ecclesiali siano gestite e disciplinate da ciascuna Conferenza Episcopale nazionale e regionale con un’autonomia decisionale maggiore di quella che al momento viene loro riconosciuta.
Egli poi sta cercando di incaricare vari laici nella gestione di alcuni uffici nelle varie Congregazioni vaticane.
Al di là dei tentativi e degli ostacoli registrati nella proposta di qualsiasi novità, e considerando naturalmente che il ruolo dei laici e delle donne nella Chiesa cattolica è ancora lontano dall’aver ricevuto un riconoscimento che non sia di facciata ma si traduca in gestione partecipata della funzione di governo, pare evidente che Francesco non intenda causare un qualche strappo con la componente più refrattaria e reazionaria, prediligendo l’auspicio per una maturazione diffusa da parte dei singoli vescovi e delle varie Conferenze Episcopali (in ordine alla sua proposta per una “Chiesa in uscita”), piuttosto che una qualche radicale riforma calata dall’alto da Pietro.
Due eventi tra tutti: le premesse della esortazione apostolica post-sinodale QUERIDA AMAZONIA, dove il vescovo di Roma, pur non presentando riforme auspicate e richieste dai padri sinodali (fra queste l’apertura ai viri probati), afferma che il suo documento non vuole chiudere a possibili riforme ma deve essere considerato solo come una proposta, rimandando al Documento conclusivo sinodale che egli non vuole né sostituire né ripetere4.
Altro passaggio significativo, come ho rilevato nel mio articolo sulle omelie di Francesco a Santa Marta durante il lockdown5, a mio modo di vedere è stata l’immagine iconica della “Chiesa come un fiume”6 in cui ogni corrente avrebbe diritto di cittadinanza. Francesco si è espresso altre volte a sfavore di qualsiasi processo che sia generativo di esperienze scismatiche che portano ancora oggi alla divisione. Dunque, egli preferisce non rispondere agli appelli molteplici che gli vengono mossi in ordine ad una riforma radicale e strutturale della Chiesa Cattolica, laddove ritenga che i tempi non siano maturi (ma qui è lecito domandarsi: “se non ora quando?” ossia: quando lo saranno?) o, più semplicemente, se questo dovesse comportare il rischio di un qualche scisma, paventato dalla componente più oltranzista della Chiesa Cattolica.
Veniamo ora alla seconda direttrice, quella che mi sembra caratterizzare questo ministero petrino fin dai suoi esordi e che, indubbiamente, miete consensi e plausi in gran parte del mondo extra-ecclesiale.
Francesco pone l’accento su questioni e su argomenti che vanno oltre le tematiche esclusivamente proprie alle coordinate del credente, rivolgendosi a tutti e confidando, naturalmente, in uno “passaggio di prospettiva” da parte dei credenti stessi.
Con le due ultime encicliche, la LAUDATO SI’ e la FRATRES OMNES, insieme all’esortazione apostolica post-sinodale QUERIDA AMAZONIA, egli sposta l’orizzonte dalle dinamiche ecclesiali ed intra ecclesiali per allargarlo alle questioni che riguardano l’intero globo terrestre, richiamando l’attenzione propria dei grandi documenti del Magistero Sociale della Chiesa.
E spazia in temi non nuovi a tale Magistero: i diritti dei popoli a partire dalla denuncia dello sfruttamento degli ultimi e dei poveri della Terra, dagli indios amazzonici agli abitanti di qualsiasi periferia della storia, lo scandalo globale costituito dai meccanismi dello scarto e dai disastri provocati da una globalizzazione che si fa promotrice di pochi e aguzzina per molti, l’appello alla promozione di una fraternità sociale da riscoprire, la questione ecologica con il dramma della casa comune che stiamo distruggendo; questi sono solo alcuni tra i temi che ci indirizzano verso la condivisione di un appello che il Vescovo di Roma rivolge a tutti in maniera insistente.
In gioco non c’è il futuro della Chiesa di Roma. C’è il futuro dell’umanità e della vivibilità dello stesso pianeta Terra.
Cogliere queste indicazioni non significherebbe rinunciare alla contemporanea richiesta rivolta da molti a Francesco, inerente una riforma radicale in seno alla Chiesa di Roma; significherebbe realizzare una ulteriorità di prospettive che il Signore stesso presentò ai suoi seguaci prima di consegnarli alla loro missione.
Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele? ”. Ma egli rispose: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”. (At 1, 1-11)
Se non ora quando?
Continuiamo a lavorare e pregare per necessarie riforme interne alla Chiesa Cattolica.
Al tempo stesso, non lasciamoci sfuggire le indicazioni e i continui appelli che il Vescovo di Roma rivolge a tutti noi con il suo Magistero.
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1 RUSCONI R., Santo Padre. La santità del papa da san Pietro a Giovanni Paolo II, Viella, 2010
2 Lettera del Santo Padre Francesco al Popolo di Dio (20 agosto 2018) http://w2.vatican.va/content/ francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20180820_lettera-popolo-didio.html
3 CONCILIO VATICANO II, Decreto Presbyterorum Ordinis, http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19651207-presbyterorum-ordinis_it.html
4 FRANCESCO, Esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia http://www.vatican.va/content/ francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_ esortazione-ap_20200202_querida-amazonia.html
5 Alessandro Manfridi, Due mesi a Santa Marta, https://www.alessandromanfridicostruttoridiponti.com/2020/09/04/due-mesi-a-santa-marta/
6 FRANCESCO, Tutti abbiamo un unico Pastore: Gesù, 4 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200504_cristo-unicopastore.html