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QUALE SANTITÀ?

Thomas Sankara e Giovanni Paolo II

Per completezza riporto una intervista al Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinal Marcello Semeraro, riportata da vaticannews

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-05/dicasteri-vaticano-congregazione-cause-santi-intervista-semeraro.html

Pubblicato su https://www.vinonuovo.it/teologia/etica/quale-santita/

di Alessandro Manfridi

La domanda di Livatino: “Credenti o credibili?” ci aiuta a riconoscere come testimoni donne e uomini al di là di ogni appartenenza religiosa

In queste ultime due settimane di scuola sto facendo vedere ai ragazzi il servizio “e quel giorno uccisero la felicità”[1]. Con questa lezione concludo un percorso di riflessione da me proposto, partito dall’opera di Silvestro Montanaro[2] e ampliato con il magistero di don Tonino Bello[3], le denunce di padre Alex Zanotelli[4], i materiali del Centro Nuovo Modello di Sviluppo[5] per arrivare alle iniziative della Laudato Si’ week[6].

Condividendo ad un caro amico i ritorni che sto avendo dai ragazzi, egli si è lasciato sfuggire un’affermazione: “Sankara è un santo!”

“Un santo!”

Mi viene d’obbligo mettere nero su bianco qualche riflessione.

Parto dalla recente considerazione di don Luigi Ciotti a proposito della beatificazione del giudice Rosario Livatino: “non facciamone ora un santino!”[7]

So che alcune grandi figure, cito tra tutti Daniele Comboni[8], sono state “elevate agli onori degli altari” con il timore che tale evento potesse “snaturarne” la profondità del messaggio, come spiego in queste riflessioni.

Interessante notare come alcuni personaggi che hanno segnato con il loro passaggio la storia del cattolicesimo contemporaneo, ancora oggi vengano ricordati dalla gente senza i loro titoli dovuti alla canonizzazione: dunque non “santo”, “santa” o “san” ma “Padre Pio”, “Madre Teresa” e “Don Bosco”.

Peraltro, altre figure il cui messaggio e la cui testimonianza sono sotto gli occhi del mondo hanno dovuto attendere decenni e, nel caso, un Papa sudamericano, per essere riconosciute nella loro eroicità della fede: Oscar Arnulfo Romero[9], la cui data del martirio viene celebrato nella Chiesa Cattolica da anni come Giornata Mondiale di preghiera e di digiuno per i missionari martiri.

Quella dei martiri della fede, degli uomini e delle donne uccisi non solo a causa del Vangelo ma della difesa dei diritti umani dei poveri e degli ultimi è una delle pagine più preziose di quel capitolo denominato “Ecumenismo spirituale[10]” da Giovanni Paolo II e che ha visto una significativa finestra durante il Grande Giubileo del 2000[11].

Proprio il Pontefice polacco è stato il promotore di una attività esponenziale della Congregazione delle Cause dei Santi che, sotto il suo pontificato, si è proposta come una vera e propria “fabbrica dei santi”, producendo numeri mai realizzati nei secoli precedenti[12].

L’opportunità di riconoscere queste figure e proporle al culto della gente è legata a una politica di promozione della fede che la Chiesa Cattolica ha voluto indicare come sempre più internazionale e presente sui cinque continenti.

Così, insieme con i viaggi apostolici che hanno caratterizzato il secondo pontificato più lungo della Storia della Chiesa[13], la proposta di figure di beati e di santi locali, presenti nelle varie nazioni, ha voluto indicare come “l’azione dello Spirito” si sia fatta presente ovunque in storie, vicende umane e opere promosse ed attuate non solo da personaggi europei, possibilmente consacrati e magari uomini, ma anche da donne, laici, cittadini indigeni presenti in ogni angolo dell’Orbe.

Le motivazioni sono dunque legate ai fini stessi dettati dall’evangelizzazione: proporre esempi mirabili di credenti che ci hanno preceduto nel cammino di vita cristiana, le cui storie e le cui opere sono davanti ai nostri occhi.

Dov’è il limite di questa politica? Dove i suoi punti deboli?

Il primo può essere quello rilevato da don Ciotti o su (San) Daniele Comboni: elevare una figura “agli onori degli altari” comporta il rischio di “angelicarla”, di “sublimarla”, di sottrarla, dunque, a quei risvolti di umanità (anche quelli legati ai propri limiti, ai propri difetti, agli errori personali comunque vissuti durante la propria vicenda umana) che le sono propri, o alle conseguenze di scelte sbagliate che questa stessa persona abbia comunque compiuto in vita; riconoscere, dopo l’articolato percorso che la Congregazione delle Cause dei Santi compie, la “santità” di un individuo, significa affermare che questa persona si trova ora “a destinazione”, in quella visione beatifica che nella teologia cristiano-cattolica è realizzata con l’incontro con Dio nell’Aldilà.

Riconoscere, ad esempio, che un Pontefice sia in Cielo, non sottrae il suo pontificato dai giudizi della storia e dalle conseguenze legate alle sue scelte.

L’ultimo Vescovo di Roma canonizzato prima dei suoi successori dell’ultimo secolo, Pio V, ha il “merito” di essere ricordato grazie alla vittoria di Lepanto.

La lettura storica sul lungo pontificato di San Giovanni Paolo II non può ignorare scelte politiche precise che ne fecero uno dei protagonisti della fine del “Comunismo reale” e al tempo stesso colui che chiuse le possibilità di sviluppo evangelico della Teologia della Liberazione e delle CEB nel continente sudamericano, proprio avverso a qualsiasi rischio di orientamento “a sinistra” ritenuto da evitare. Oggi il Cattolicesimo in questo continente è numericamente in crollo nei confronti di una espansione esponenziale delle chiese evangeliche e pentecostali.

Secondo “limite” della politica delle canonizzazioni: l’indebolimento delle potenzialità del dialogo interreligioso e del dialogo ecumenico, lì dove la focalizzazione dell’attenzione sui “santi” di parte cattolica distoglie lo sguardo dalla considerazione che la difesa dei valori non solo della fede ma anche della giustizia e dei diritti ha portato a pagare con il sangue personaggi accomunati dall’unico spessore morale e impegno civile, pur nella diversità delle fedi professate.

Non posso dimenticare la riflessione di un mio professore di teologia che, in un seminario di studi sulla figura di Simone Weil, affermava che la Chiesa Cattolica non avrebbe esitato a canonizzarla, se solo fosse stato possibile dimostrare che ella aveva ricevuto il battesimo; cosa di cui non abbiamo testimonianze documentali certe[14].

Ricordo anche una significativa testimonianza che registrai anni fa durante alcuni giorni di visita alla Comunità di Bose.

Rimasi colpito dal fatto che nella liturgia della comunità monastica erano ricordate anche figure di testimoni non cattolici: Dietrich Bonhoeffer ad esempio[15].

Ecco, dunque, l’ultimo grande “limite” di ogni “culto dei santi”: esso è – e non può che essere – “di parte”.

Esistono così santi “cattolici”, santi “ortodossi”, “profeti” dell’Islam, personaggi “deificati” nella Storia di tutte le varie Religioni.

Credo che un criterio unificante sia da ritrovare nell’invito del pontefice (San) Paolo VI: il mondo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri[16].

Se dunque il “culto dei santi” non può che essere legato ad ogni singola (e separata) confessione religiosa, il riconoscimento tributato dai popoli, dalle nazioni, da ognuno di noi verso figure di donne e di uomini che siano unanimemente riconosciuti come testimoni di un messaggio e di una passione per la promozione dei valori più condivisi faccia la differenza.

Così non ci sarà alcuna differenza tra Thomas Sankara, Teresa di Calcutta, Ikbal Masih[17], l’Abbè Pierre[18], Ezechiele Ramin[19], Emmeline Pankhurst[20]  e, insieme con loro, tutte quelle vittime senza volto né nome a cui essi hanno provato a dar loro voce.

La quarta, la settima e l’ottava beatitudine evangelica ci consegnato tutte queste persone come quei testimoni dei quali il mondo ha bisogno[21]. Oggi non meno di ieri.


[1] https://www.youtube.com/watch?v=GPCNq-T7yDY

[2] https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/leredita-di-silvestro-montanaro/

[3] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/don-tonino-bello-e-lo-sguardo-dellanima/

[4] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/giubileo-degli-oppressi-unesperienza-da-attuare/

[5] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/da-barbiana-al-mondo-intero/

[6] https://laudatosiweek.org/it/home-it/

[7]Luigi Ciotti sulla beatificazione del giudice Rosario Livatino https://www.youtube.com/watch?v=5RGc1FXnflc

[8] https://www.comboni.org/contenuti/100059

[9] https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/14-ottobre-romero-paolo-santi

[10] Giovanni Paolo II Lettera Enciclica UT UNUM SINT https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25051995_ut-unum-sint.html

[11] https://www.agensir.it/quotidiano/2000/4/28/giubileo-dei-nuovi-martiri-il-7-maggio-al-colosseo/

[12] https://www.vatican.va/news_services/liturgy/saints/index_saints_it.html

https://www.vatican.va/news_services/press/documentazione/documents/pontificato_gpii/pontificato_dati-statistici_it.html

[13] https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/travels.index.html

[14] https://27esimaora.corriere.it/19_febbraio_03/simone-weil-110-anni-nascita-cosi-moderna-essere-giudicata-folle-f747857c-279d-11e9-84f8-838f47b6747c.shtml?intcmp=googleamp

[15] https://www.monasterodibose.it/preghiera/santorale?start=5

[16] PAOLO PP. VI, Discorso ai Membri del «Consilium de Laicis» (2 ottobre 1974): AAS 66, 1974, p. 568

[17] https://www.youtube.com/watch?v=Kl_JCBnP3OI

[18] http://www.emmaus.it/abbe-pierre/

[19] https://www.youtube.com/watch?v=_78llKU8BwM

[20] https://mondointernazionale.com/domina/emmeline-pankhurst

[21] Cfr Mt 5, 1-12 http://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=Mt5%2C1-12&formato_rif=vp

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DA BARBIANA AL MONDO INTERO

La cascina del Centro Nuovo Modello di Sviluppo a Vecchiano (PI)

Pubblicato su https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/da-barbiana-al-mondo-intero/

L’esperienza di Francesco Gesualdi e del Centro Nuovo Modello di Sviluppo. Analisi documentate e proposte concrete per un mondo che risponda anche all’appello della LAUDATO SI’

di Alessandro Manfridi

Una lezione con le classi prime sul modello educativo di don Milani per me è d’obbligo all’inizio del percorso scolastico con gli studenti.

Mi basta scrivere alla lavagna: “LA SCUOLA SARÀ SEMPRE MEGLIO DELLA MERDA!” e poi chiedere ai ragazzi se questa frase secondo la loro opinione é stata detta da un professore o da uno studente.

L’attenzione è garantita.

Poi inizio a raccontare loro la storia che ha portato don Lorenzo Milani a fondare la sua “Scuola di Barbiana”.

E racconto le motivazioni che hanno condotto i suoi ragazzi a scrivere il testo de la “Lettera ad una professoressa”, divenuto uno dei manifesti del Movimento del ’68.

La frase, come sappiamo, l’ha proposta uno degli studenti della “Scuola di Barbiana” che, se non avesse avuto la possibilità di vivere quelle dieci ore immerso con i compagni nello studio, nella ricerca, nella fatica, nel confronto, avrebbe dovuto impiegarle a spalare letame nelle stalle insieme con suo padre.

Se in Italia il diritto all’istruzione, attraverso il ciclo della scuola dell’obbligo scolastico, è garantito a livello istituzionale, ciò non è ugualmente previsto ne garantito ai ragazzi di ogni età in tanti altri Paesi; ciò per svariati motivi: povertà, lavoro minorile, mancanza delle scuole o distanza dei plessi più vicini ad ore di cammino, guerre civili, bambini-soldato.

La cosa che mi ha sempre colpito, nella essenziale produzione bibliografica di don Milani, è l’uso delle statistiche illustrate da tabelle e grafici.

Esperienze pastorali[1] e Lettera ad una professoressa[2] le adoperano in maniera corrente, illustrando e avvalorando in maniera decisa le questioni esposte e dando peso alle proposte portate.

Leggere Lettera ad un consumatore del Nord[3]è stato per me un piacevole riabbeverarsi al messaggio educativo della Scuola di Barbiana; trasmesso, come patrimonio, non solo alla scuola italiana (ricordiamo che nel nostro paese sono innumerevoli le scuole statali intitolate al prete fiorentino) ma ben oltre i nostri confini[4].  Anche Papa Francesco ne ha riconosciuto il valore e ha voluto recarsi a visitare questo luogo e la tomba del priore[5].

Il testo della Lettera ad un consumatore del Nord , editato trent’anni fa (1990), riprende esattamente lo stile e le provocazioni della Lettera ad una professoressa, con mirato uso di dati, grafici e tabelle.

Uno sguardo all’indice.

Presentazioni di Alexander Langer e Alex Zanotelli. Titoli capitoli: il tuo consumo, la nostra emarginazione; il tuo consumo, il nostro deficit alimentare; il tuo consumo, il nostro ambiente; il tuo consumo, il nostro sfruttamento; il tuo consumo, il loro guadagno; dal consumo alla solidarietà.

Il filo rosso che lega il Centro Nuovo Modello di sviluppo di Vecchiano (PI)[6] alla scuola di Barbiana è  Francesco Gesualdi, fratello di Michele, lo scomparso presidente della Provincia di Firenze[7]; i due fratelli hanno avuto il privilegio di vivere accanto a don Milani, accolti nella canonica della parrocchia e protagonisti della scuola parrocchiale.

Notevole la trasposizione filmica interpretata da Sergio Castellitto[8].

Francesco, chiamato “Francuccio” da don Milani, parte presto oltre confine per iniziare una esperienza come lavoratore che lo plasmerà sotto gli insegnamenti e la passione del priore di Barbiana.

Da oltre trent’anni le proposte del Centro Nuovo Modello di Sviluppo hanno offerto non solo una serie di pubblicazioni[9] concepite per la didattica scolastica e la divulgazione ma anche una serie di studi, di dossier[10] e soprattutto di campagne[11] operative per promuovere la conoscenza e la pratica di vari strumenti, nell’ottica, appunto, di un nuovo modello di sviluppo.

Nel testo L’altra via da scaricare in PDF[12], la domanda introduce alle possibili risposte:

Cambio di strategie, cambio culturale, cambio organizzativo, trasformazioni possibili solo se ricominciamo da capo, se ripartiamo da alcune domande di fondo: per chi e per che cosa deve essere organizzata l’economia? per i mercanti o per la gente? per l’avere o per l’essere? per il privilegio di pochi o i diritti per tutti? nel rispetto del pianeta o in un’ottica di saccheggio? Se la risposta è che l’economia deve essere organizzata per la gente, allora dobbiamo ripensare l’assetto economico a partire dai bisogni.

Guida al consumo critico[13] è il testo maggiormente promosso del Centro, ed è una delle sue proposte-chiave. Varie campagne sono state lucidamente proposte dal Centro in questi anni, alcune concluse con successo, altre ancora in corso.

Insieme con Alex Zanotelli, Francuccio Gesualdi è fondatore della Rete di Lilliput[14].

I contenuti ai quali Gesualdi e il Centro si sono dedicati da oltre trent’anni, sono gli stessi che vengono  richiamati dalla Enciclica di Papa Francesco Laudato Si’[15] su un’ecologia integrale e nuovi percorsi di giustizia.

Quando io penso agli strumenti che abbiamo li divido in due: azioni di resistenza, sono tutte quelle che puntano a creare un danno al sistema e togliergli il consenso, sapendo che il sistema si regge sul consenso. L’altro tipo di azioni sono quelle che io chiamo di desistenza, vale a dire che ci sono momenti in cui ci rendiamo conto che diamo un servizio molto più grande se abbiamo la capacità di scendere dal treno e cominciare a mettere in pratica ora e subito delle iniziative che vanno in una direzione contraria rispetto a quelle dominanti. Fra le azioni di resistenza abbiamo la possibilità di poterle dividere in quelle di carattere personale e in quelle di carattere collettivo. Fra le personali la prima è il cosiddetto consumo critico. Noi abbiamo capito che il consumo vissuto in maniera acritica diventa uno strumento di sostegno alle imprese, comprese quelle che si comportano malissimo, ma che se abbiamo la capacità di utilizzare il consumo in maniera critica riusciamo a orientare il comportamento delle imprese, perché lanciamo di continuo il messaggio delle azioni che approviamo e quelle che condanniamo. Ricordatevi che le imprese sono sensibilissime a questo tipo di messaggi che arrivano dai consumatori e loro sanno molto bene che la loro sopravvivenza dipende dalle scelte che fanno i consumatori. Ogni volta che entriamo in un supermercato diciamoci che siamo persone molto potenti, noi abbiamo la possibilità di mettere in ginocchio anche le multinazionali più potenti. Però bisogna crederci e dopo averci creduto bisogna fare i passi necessari. Dal punto di vista collettivo le azioni che abbiamo a disposizione sono molto più vaste e vanno dal boicottaggio alle manifestazioni. Poi abbiamo le scelte di desistenza, vale a dire tentare di attuare delle scelte che sono ispirate a principi diversi e ancora una volta possiamo dividerle in azioni personali e collettive. Fra le azioni personali c’è un nuovo stile di vita che si concretizza anche con la finanza etica con la Banca Etica costituita di recente e l’esperienza delle reti di economia locale[16].

Ricordando la sua relazione al “Giubileo degli oppressi”[17], dobbiamo convenire che un mondo più giusto e un futuro possibile passano solo attraverso l’impegno preciso di ciascuno di noi.

 Non dobbiamo attendere l’overshoot day[18] per svegliarci.


[1] https://www.lef.firenze.it/it/libro/esperienze-pastorali

[2] https://www.lef.firenze.it/it/libro/lettera-a-una-professoressa

[3] Lettera ad un consumatore del Nord (cnms.it)

[4] https://www.avvenire.it/europa/pagine/von-der-leyen-ue-discorso-sullo-stato-dell-unione

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/i-care-faro-per-tutti-una-scelta-da-onorare
[5] Discorso di Papa Francesco a Barbiana – Pellegrinaggio sulla tomba di don Lorenzo Milani

[6] http://www.cnms.it/chi-siamo

[7] https://www.avvenire.it/attualita/pagine/morto-michele-gesualdi

[8] https://www.comingsoon.it/film/don-milani-il-priore-di-barbiana/43125/scheda/

[9] http://www.cnms.it/pubblicazioni-menu

[10] http://www.cnms.it/i-nostri-dossier

[11] Le Campagne per cambiare (cnms.it)

[12] http://www.cnms.it/images/documenti/altravia_0.pdf

[13] Guida al consumo critico – nuova edizione (cnms.it)

[14] Dalla Parte Sbagliata del Mondo – Da Barbiana al consumo critico: storia e opinioni di un militante (cnms.it)

[15] http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

[16] http://www.giovaniemissione.it/mondo/gesualdi.htm

[17] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/giubileo-degli-oppressi-unesperienza-da-attuare/

[18] L’impronta mal distribuita

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DON TONINO BELLO E LO SGUARDO DELL’ANIMA

Pubblicato su https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/don-tonino-bello-e-lo-sguardo-dellanima/

http://www.parrocchiemarrubiu.it/modules.php?modulo=mkNews&idcontent=1869

Gli occhi sono lo specchio dell’anima”.

Citando la famosa frase di Platone nel Fedro, non posso negare, a ventotto anni dalla nascita al Cielo del vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi don Tonino Bello (1) che questo sia valso senz’altro per lui.

Ho avuto il privilegio di conoscerlo di persona e, dato che gli amici mi hanno invitato più volte a tramettere i miei ricordi, provo a condividerli con voi.

Ricordo ancora la prima volta che lo conobbi, anche se non di persona.

Ero appena sceso dalla corriera nella cittadina barese, alla ricerca di un sacerdote che avrei dovuto incontrare. Senza che ne fossi a conoscenza, mi trovai con una scena alquanto singolare: una processione solenne cittadina d’ingresso nella cattedrale, giacché quel giorno si celebrava il patrono san Corrado. Mi ritrovai, senza averlo programmato, ad entrare e a partecipare con gli altri fedeli, chiesa gremita, alla celebrazione.

Ricordo ancora la passione che questo vescovo trasmetteva nella sua omelia, parlava davvero “dall’anima”: si trattava del brano evangelico che parla dell’incapacità per un ricco di entrare nel regno dei Cieli, “sarebbe più facile per un cammello entrare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei Cieli” (2).

Don Tonino era francescano come terziario e profondamente attento “al potere dei segni”, più che “ai segni del potere” e le sue catechesi sulla lavanda dei piedi da parte di Gesù, con quell’unico paramento che si sia concesso, il grembiule del servizio, sono una meravigliosa esternazione, dal cuore, delle sue scelte (3).

Come vescovo, aveva scelto il motto da un versetto del Salmo 34: “Ascoltino gli umili e si rallegrino” (4); la croce pettorale non in oro ma in legno di ulivo della sua terra, l’amato Salento; l’anello episcopale ottenuto dalle fedi dei genitori. Girava con una vecchia cinquecento gialla. Sempre disponibile e alla mano, al punto di scendere ad aprire il portone di persona quando qualcuno citofonava in episcopio.

Questa abitudine non la perse fino a quando le forze glielo permisero.

Il primo incontro personale con lui: mi trovai a partecipare a una cena, suoi ospiti in episcopio, quaranta giovani, e lì non mancava chi prendeva la parola, lo riempiva di domande e tutti ascoltavamo ammirati le sue risposte, un vescovo così “alla mano” era insolito trovarlo.

Personalmente, non mi andava di intervenire, erano tutti entusiasti e molti lo facevano, io rimasi in silenzio, in ascolto, un po’ defilato, gioioso come tutti di questa accoglienza e di questo clima di fraternità.

Al temine della cena don Tonino ci volle accompagnare non all’uscio ma giù per le scalinate dell’episcopio fin sulla strada. Ancora una volta, eravamo in gruppo e continuavano gli interventi, non avremmo voluto lasciarlo, avviene come quando con un caro amico il tempo vola velocemente. A un certo punto, senza che me ne rendessi conto, mi si avvicina, mi fissa negli occhi e mi chiede: “Come ti chiami?” Io rimango incredulo: “Alessandro!”. Non ricordo cosa abbia aggiunto, qualche parola affettuosa, quale quella di un buon padre. Mi colpì il suo gesto. Don Tonino si era accorto della mia silenziosità, della decisione di rimanere quasi nascosto, per lasciare spazio ad altri, visto che tutti erano entusiasti di riempirlo di domande.

Era un pastore attento alle persone, entusiasta ed appassionato, con una parola che toccava il cuore.

Oltre al suo ministero episcopale, alla sua attenzione per tutti e per gli ultimi, altra grande testimonianza fu quella del suo impegno per la pace.

Come vescovo presidente nazionale dell’associazione Pax Christi furono memorabili tanti suoi interventi, tra i quali quel discorso appassionato, “In piedi costruttori di pace” (5).

Un magistero deciso. Non posso dimenticare una intervista che lo vide in trasmissione in Rai, erano i giorni del primo conflitto contro l’Iraq, quello dovuto all’invasione del Kuwait. Tutti giustificavano l’intervento armato, dovuto alla violazione di ogni diritto internazionale. Egli, voce nel deserto, si pronunciava con passione contro l’embargo, misura che si sarebbe abbattuta contro le popolazioni civili, citando con piglio quasi profetico la visione di Isaia che contempla le spade trasformarsi in vomeri e le lance in falci (6). Sembrava uscito da un altro mondo, una voce che parla a chi non la può capire, come quello che è toccato a tutti i profeti biblici (7).

La passione di don Tonino per la causa della pace vide la sua pagina più alta quando il vescovo, ormai minato dalla malattia, non volle mancare nel partecipare alla “spedizione” organizzata da “Beati i costruttori di pace” che portò 500 persone, partite con la nave da Ancona a Split, a portare solidarietà, speranza e un annuncio per la pace al centro di Sarajevo, durante il conflitto Serbo-Croato-Bosniaco, a rischio della vita per la presenza di cecchini. Fu un avvenimento completamente taciuto dai media, e don Tonino pubblicò il suo diario di quei giorni, con ricordi memorabili, sulle pagine de Il Manifesto (8).

Il male lo aveva consumato e costretto a letto. Fu detto che don Tonino non poteva più ricevere visite, come era uso fare, ad ogni ora del giorno, quando alcuni andavano a trovarlo. La malattia non permetteva di decidere e programmare quando egli fosse stato in grado di ricevere, ricordo che qualcuno informò che se fosse stato possibile chi lo desiderava poteva essere chiamato per andare a salutarlo. Così mi ritrovai nella sua stanza.  Quel pomeriggio saremmo stati 40 o 50 persone, tra laici, seminaristi del corso, preti celebranti; tante persone riunite in piedi in quella stanza da letto. Don Tonino partecipava alla celebrazione della Messa allettato, rivestito della stola al collo, la celebrazione veniva portata avanti dagli altri celebranti. Ma al momento dell’omelia volle prendere la parola e riprese quell’episodio da lui raccontato, che è diventato celeberrimo, della “Croce come sistemazione provvisoria”. Nel racconto egli narrò di essersi recato in visita pastorale da un suo parroco. Durante la visita aveva notato che in un angolo della sacrestia si trovava un antico crocifisso ligneo, rimosso dal suo posto a causa di alcuni lavori in corso. Accanto al crocifisso un cartello con una scritta: “Sistemazione provvisoria”. Don Tonino ebbe un sussulto, si rivolse deciso al parroco: “Quella scritta non la devi togliere, anzi, me la devi incorniciare!”

E da questo episodio costruì il suo annuncio che quel pomeriggio attualizzava con noi.

“Ragazzi, non vi preoccupate! La croce? È una sistemazione provvisoria! Quanto si sta in croce? Qualche ora? Ma, dopo, tutto cambia! Le cose si trasformano!”

Parlava con un filo di voce. Il corpo ischeletrito. Il volto scavato, divorato dalla malattia. Ma gli occhi. Gli occhi vivi, penetranti, pieni d’amore. Fissava ciascuno di noi, ci parlava con determinazione, con certezza, con parresia evangelica. Lui, un uomo ormai sulla soglia. Lui, crocifisso da dolori lancinanti e spazzato via da una malattia inesorabile. Parlava a noi. Ci rincuorava. Ci incoraggiava. Ci spronava. Ci invitava a guardare alla vita con gli occhi della speranza, con la certezza della fede, con la gioia nel cuore. “Coraggio, ragazzi! Non temete! Non abbiate paura! La croce? È una sistemazione provvisoria!”

Ancora adesso, scrivendo, non posso evitare di commuovermi.

L’ultimo saluto, il giorno del funerale. La celebrazione fu organizzata all’aperto, sul porto.

Presiedette la funzione Mons. Mariano Magrassi OSB, Arcivescovo di Bari-Bitonto e presidente della CEP, concelebranti tutti i vescovi pugliesi ed altri vescovi, decine e decine di sacerdoti e circa cinquantamila persone. Nel video che riproduco veniva trasmessa la famosa preghiera di don Tonino “Dammi, Signore, un’ala di riserva” che fu musicata e cantata per la prima volta durante questa celebrazione (9). Ricordo la processione finale, il canto toccava l’anima. Io mi ero riproposto di trattenere le emozioni e cercavo di farlo. Ma quando proseguimmo, alzai lo sguardo: donne, uomini, giovani, bambini, anziani, gente semplice e persone distinte, tutti, senza eccezione, erano rotti in pianto. Un popolo che piangeva il suo pastore, il suo padre, il suo amico, il suo fratello. Anch’io non potevo trattenermi. Davanti a questa scena la commozione mi prese da dentro e scoppiai in pianto, partecipe di questo tributo sincero. Ci aveva lasciato un uomo, un pastore, un vescovo che aveva parlato al cuore della gente, senza distinzioni, con passione, amore, benevolenza e freschezza evangelica. Non è stato solo uno scrittore ma un grande oratore e i suoi scritti e i suoi interventi, trascritti, occupano otto volumi (10).

Negli anni che sono seguiti ho avuto occasione di incontrare ed ascoltare le testimonianze preziose di altri che lo hanno incontrato di persona e conosciuto.

È veramente una scoperta sempre nuova e continua.

Lo stesso Papa Francesco ha voluto ricordarlo con la sua visita (11).

Sono certo che la sua testimonianza continuerà a far innamorare tante persone, credenti e non credenti, perché un uomo vero, un uomo che ha dedicato e donato la sua vita, donando un senso profondo di gratitudine e di speranza, parlando ai cuori e proponendosi, anche dopo l’elezione episcopale, come faceva: “non chiamatemi Eccellenza, Monsignor Antonio Bello. Sarò sempre per tutti don Tonino”. E i suoi occhi parlavano. Gli bastava uno sguardo.

(1) Fondazione don Tonino https://www.fondazionedontonino.it/

(2) Cfr. Mt 19, 23-30.

(3) Gli uni i piedi degli altri https://www.dontoninobello.info/as2-356/

(4) Audiant et laetentur https://www.conoscidontonino.it/audiant-et-laetentur/

(5) Assemblea dei “Beati i costruttori di Pace”, Arena di Verona, 20-22.02.1986 https://www.youtube.com/watch?v=8ZQ24suxmuU

(6) Cfr Is 2, 1-5

(7) Don Tonino, le parole “scomode” di un uomo libero – Vatican News https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-04/tonino-bello-papa-francesco-alessano-molfetta-visita-parole.html

(8) Colloquio con il fratello Trifone Bello https://www.youtube.com/watch?v=UkDdTnzKflA

(9) Molfetta-funerali di Don Tonino Bello

(10) https://www.dontoninobello.info/

(11) https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-molfetta-don-tonino-belloIl Papa: don Tonino ci aiuti a essere «Chiesa del grembiule» (avvenire.it)

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Costruttori di ponti Giustizia e solidarietà Il mondo al tempo del COVID-19

SE NON ORA QUANDO?

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La domanda «Se non ora, quando?» posta oggi da una parte significativa dell’orbe cattolico al Vescovo di Roma non è certamente nuova nella Storia del Cristianesimo.

Penso alla stagione e ai fermenti dei moti per l’Indipendenza dell’Italia con le relative attese cariche di speranze – dovute anche ad alcuni atteggiamenti da parte del pontefice neoeletto che pareva le giustificassero – nutrite dai romani nei confronti dell’ultimo Papa-Re, Giovanni Maria Mastai-Ferretti. Il pontificato di Pio IX, ancora oggi il più longevo della storia della Chiesa Cattolica (31 anni), si trovò a vivere il passaggio dalla presa di Roma – con la breccia di porta Pia – alla stagione in cui egli volle proporsi come «prigioniero in Vaticano». Fu anche il Papa del Sillabo e del Concilio Vaticano I.

Nel secolo trascorso si sono succeduti una serie di Pontificati che hanno lasciato il loro segno.

Dopo Leone XIII con la sua prima Enciclica sociale, la RERUM NOVARUM e Pio X con il quale si è inaugurata la prassi della canonizzazione «quasi dovuta» per chi siede sul soglio di Pietro1, troviamo i pontificati di Benedetto XV, testimone della Grande Guerra e di Pio XI.

Con Pio XII abbiamo avuto una figura ieratica e sacrale, grande personalità e pontefice ancora oggi discusso perché decise di non levare la voce della Chiesa di Roma per denunciare la barbarie della vicenda che con il Nazismo portò alla Shoà e alla Seconda Guerra Mondiale. Ancora oggi sono criticati da molti quei Patti Lateranensi che diedero visibilità a Mussolini e vantaggi al Vaticano, risultando comunque un passo avanti rispetto alla Questione Romana.

Impossibile negare la stagione di rinnovamento e di speranze aperta con Giovanni XXIII il cui seppur breve pontificato ci ha consegnato l’enciclica PACEM IN TERRIS e l’apertura del Concilio Vaticano II.

Paolo VI ebbe il gravoso compito di portare avanti e concludere i lavori del Concilio, di vivere la stagione dei moti del ‘68 e quella del terrorismo culminata con l’uccisione dello statista Aldo Moro; lo si ricorda come una grandissima figura nella Chiesa Cattolica anche per il suo storico incontro con Atenagora. Documenti che portano la sua firma e che ancora oggi purtroppo destano sofferenze e sono stati motivo per non poche defezioni, sono la SACERDOTALIS CÆLIBATUS e l’HUMANÆ VITÆ.

Dopo l’alba luminosa e il subitaneo smarrimento per la scomparsa di Giovanni Paolo I, abbiamo avuto con Giovanni Paolo II, il secondo pontificato più lungo della storia (26 anni), che rimarrà nella stessa per gli eventi del Crollo del muro di Berlino e il dissolvimento del «Comunismo reale», per la «fabbrica industriale» dei Santi, per i viaggi apostolici nei cinque Continenti, per la stagione delle GMG, per l’incontro delle Religioni ad Assisi, per la sovraesposizione mediatica e infine per l’atroce malattia che lo ha consumato.

«Santo subito»: e così è stato.

Eppure su questo pontificato pesa la scelta di una lotta personale e motivata contro il Comunismo e al contempo un’alleanza con l’amministrazione Reagan che portò al finanziamento di Solidarnosc e, soprattutto, alla scelta drammatica di smantellare tutti i fermenti della Teologia della Liberazione e delle CEB in America Latina, al punto che oggi in Brasile e nelle altre nazioni sudamericane il Cattolicesimo vive un’emorragia, esponenziale e inarrestabile, di cattolici che passano ad altre Chiese.

Anche il pontificato di Benedetto XVI, inscindibilmente collegato a quello del suo predecessore, ha vissuto non poche traversie, culminate con la scelta storica delle dimissioni.

Agli occhi di diversi teologi gli ultimi due pontificati si sono posti in maniera «frenante» rispetto alle proposte e ai possibili sviluppi che il Concilio Vaticano II stesso prospettava.

Ora la gestione di Roma è nelle mani del «Papa venuto dall’altra parte del mondo».

Premessa l’esistenza di una considerevole parte del mondo cattolico che rema contro l’attuale Pontefice e vistosamente muove contro di lui una guerra spietata, dipingendolo come un massone, un idolatra, un eretico, un papa illegittimo e infine come il precursore stesso dell’Anticristo, che viene definita fazione dei «tradizionalisti», pronta a di esprimersi contro ogni sua uscita, la nostra attenzione è rivolta invece verso quei cattolici che si pongono da una prospettiva diametralmente opposta a quella dei nostalgici di un “Papa-re”.

Ed è da questi che sale la domanda, che riassumo nel titolo di questa riflessione: «Se non ora, quando?».

Quando la Chiesa cattolica, dopo aver individuato la diagnosi di uno dei mali più radicati da cui si riconosce affetta, quello del clericalismo2 con le sue nefaste conseguenze, si impegnerà a predisporre una cura adeguata, riconoscendo che non si può curare un tumore con l’aspirina e, evangelicamente parlando, ammettendo che potrebbe essere necessario effettuare potature e tagli (cfr. Gv 15, 1-8; Mc 9, 43-49) che la stessa forse non dovrebbe più procrastinare e rimandare? Quando realizzerà che queste sono operazioni necessarie che, se negate, la condurrebbero alla morte?

Quando riconoscerà che il clericalismo non si esaurisce in semplice tentazione e deviazione di soggetti corrotti ma si rivela meccanismo connaturato e favorito dalla impostazione della struttura gerarchica stessa (monarchica-piramidale-clericocentrica)? In essa la componente del clero è l’unica investita del munus gubernandi, mentre alla componente laicale è assegnata una funzione meramente consultiva (purtroppo, non poche volte, neanche considerata).

Solo il riconoscimento di simile realtà potrà considerare come la «separazione»3 del clero dal resto dei battezzati di fatto non si realizza in un totalizzante servizio di minorità (ministero← minus stare) (cfr. Lc 17, 7-10) ma purtroppo spesso si trasforma, rivestendosi, secondo l’osservazione del Popolo di Dio, dei contorni antievangelici del potere, del dominio (la signoria propria del dominus) e, nel peggio, della prevaricazione, dell’autoreferenzialità, del narcisimo, dell’individualismo e della vanagloria.

Un Papa che, come detto, davanti al dramma degli scandali già violentemente emersi durante il pontificato del predecessore, quelli della pedofilia e di quanti altri abusi registrati e riferiti ad una parte del clero, si è rivolto con un accorato appello al Popolo di Dio con la sua Lettera il 20.08.2020 denunciando i danni del clericalismo viene atteso alla prova dei fatti.

Se non ora, quando?

Quando la Chiesa Cattolica considererà la necessità di una radicale riforma teologica e strutturale che riveda il bilanciamento dei poteri decisionali, ridistribuendoli alla componente laicale rispetto a quella clericale e, in particolare, dando nuovo e significativo spazio alla presenza e al ministero delle donne? Quando si potrà dare spazio all’ordinazione dei viri probati e all’accesso al diaconato per le donne? Quando i massimi organismi della vita partecipativa ecclesiali, quelli dei Sinodi, potranno riconoscere diritto di voto oltre che di partecipazione ai massimi livelli alla componente laicale e alla componente femminile (sia in quota laicale che in quota di vita consacrata)?

Al momento sembra di poter registrare due linee direttrici nella strategia e nelle intenzioni del Vescovo di Roma.

La prima è quella che, de facto, si pone come non ricettiva di questi imput provenienti da una base composita di movimenti che chiedono una riforma radicale dell’istituzione, fondata sulla esigenza di trovare una soluzione al male, denunciato da Francesco, che è definito con il termine di clericalismo.

La seconda, quella che definirei significativa e al tempo stesso necessaria da cogliere, è quella che, fin dai primi passi del suo ministero, pare indicare e voler condurre la Chiesa oltre se stessa e i credenti fuori dal recinto dei luoghi deputati alla vita intraecclesiale.

Veniamo alla prima linea direttrice.

Il Vescovo di Roma, fin dai suoi primi passi, si sta sforzando di correggere la direzione della gestione della Santa Sede secondo un intento riformatore e, allo stesso tempo, in qualche maniera collegiale. Tale significato avrebbe nelle sue intenzioni il lavoro di un gruppo ristretto di nove cardinali chiamati a collaborare con lui per affrontare in agenda tutte le questioni che riguardano la gestione della Chiesa Cattolica.

Pare che egli ritenga che sia importante che le indicazioni ecclesiali siano gestite e disciplinate da ciascuna Conferenza Episcopale nazionale e regionale con un’autonomia decisionale maggiore di quella che al momento viene loro riconosciuta.

Egli poi sta cercando di incaricare vari laici nella gestione di alcuni uffici nelle varie Congregazioni vaticane.

Al di là dei tentativi e degli ostacoli registrati nella proposta di qualsiasi novità, e considerando naturalmente che il ruolo dei laici e delle donne nella Chiesa cattolica è ancora lontano dall’aver ricevuto un riconoscimento che non sia di facciata ma si traduca in gestione partecipata della funzione di governo, pare evidente che Francesco non intenda causare un qualche strappo con la componente più refrattaria e reazionaria, prediligendo l’auspicio per una maturazione diffusa da parte dei singoli vescovi e delle varie Conferenze Episcopali (in ordine alla sua proposta per una “Chiesa in uscita”), piuttosto che una qualche radicale riforma calata dall’alto da Pietro.

Due eventi tra tutti: le premesse della esortazione apostolica post-sinodale QUERIDA AMAZONIA, dove il vescovo di Roma, pur non presentando riforme auspicate e richieste dai padri sinodali (fra queste l’apertura ai viri probati), afferma che il suo documento non vuole chiudere a possibili riforme ma deve essere considerato solo come una proposta, rimandando al Documento conclusivo sinodale che egli non vuole né sostituire né ripetere4.

Altro passaggio significativo, come ho rilevato nel mio articolo sulle omelie di Francesco a Santa Marta durante il lockdown5, a mio modo di vedere è stata l’immagine iconica della “Chiesa come un fiume”6 in cui ogni corrente avrebbe diritto di cittadinanza. Francesco si è espresso altre volte a sfavore di qualsiasi processo che sia generativo di esperienze scismatiche che portano ancora oggi alla divisione. Dunque, egli preferisce non rispondere agli appelli molteplici che gli vengono mossi in ordine ad una riforma radicale e strutturale della Chiesa Cattolica, laddove ritenga che i tempi non siano maturi (ma qui è lecito domandarsi: “se non ora quando?” ossia: quando lo saranno?) o, più semplicemente, se questo dovesse comportare il rischio di un qualche scisma, paventato dalla componente più oltranzista della Chiesa Cattolica.

Veniamo ora alla seconda direttrice, quella che mi sembra caratterizzare questo ministero petrino fin dai suoi esordi e che, indubbiamente, miete consensi e plausi in gran parte del mondo extra-ecclesiale.

Francesco pone l’accento su questioni e su argomenti che vanno oltre le tematiche esclusivamente proprie alle coordinate del credente, rivolgendosi a tutti e confidando, naturalmente, in uno “passaggio di prospettiva” da parte dei credenti stessi.

Con le due ultime encicliche, la LAUDATO SI’ e la FRATRES OMNES, insieme all’esortazione apostolica post-sinodale QUERIDA AMAZONIA, egli sposta l’orizzonte dalle dinamiche ecclesiali ed intra ecclesiali per allargarlo alle questioni che riguardano l’intero globo terrestre, richiamando l’attenzione propria dei grandi documenti del Magistero Sociale della Chiesa.

E spazia in temi non nuovi a tale Magistero: i diritti dei popoli a partire dalla denuncia dello sfruttamento degli ultimi e dei poveri della Terra, dagli indios amazzonici agli abitanti di qualsiasi periferia della storia, lo scandalo globale costituito dai meccanismi dello scarto e dai disastri provocati da una globalizzazione che si fa promotrice di pochi e aguzzina per molti, l’appello alla promozione di una fraternità sociale da riscoprire, la questione ecologica con il dramma della casa comune che stiamo distruggendo; questi sono solo alcuni tra i temi che ci indirizzano verso la condivisione di un appello che il Vescovo di Roma rivolge a tutti in maniera insistente.

In gioco non c’è il futuro della Chiesa di Roma. C’è il futuro dell’umanità e della vivibilità dello stesso pianeta Terra.

Cogliere queste indicazioni non significherebbe rinunciare alla contemporanea richiesta rivolta da molti a Francesco, inerente una riforma radicale in seno alla Chiesa di Roma; significherebbe realizzare una ulteriorità di prospettive che il Signore stesso presentò ai suoi seguaci prima di consegnarli alla loro missione.

Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele? ”. Ma egli rispose: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”. (At 1, 1-11)

Se non ora quando?

Continuiamo a lavorare e pregare per necessarie riforme interne alla Chiesa Cattolica.

Al tempo stesso, non lasciamoci sfuggire le indicazioni e i continui appelli che il Vescovo di Roma rivolge a tutti noi con il suo Magistero.

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1 RUSCONI R., Santo Padre. La santità del papa da san Pietro a Giovanni Paolo II, Viella, 2010

2 Lettera del Santo Padre Francesco al Popolo di Dio (20 agosto 2018) http://w2.vatican.va/content/ francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20180820_lettera-popolo-didio.html

3 CONCILIO VATICANO II, Decreto Presbyterorum Ordinis, http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19651207-presbyterorum-ordinis_it.html

4 FRANCESCO, Esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia http://www.vatican.va/content/ francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_ esortazione-ap_20200202_querida-amazonia.html

5 Alessandro Manfridi, Due mesi a Santa Marta, https://www.alessandromanfridicostruttoridiponti.com/2020/09/04/due-mesi-a-santa-marta/

6 FRANCESCO, Tutti abbiamo un unico Pastore: Gesù, 4 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200504_cristo-unicopastore.html

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DUE MESI A SANTA MARTA

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http://www.settimananews.it/papa/celebrare-con-francesco/

Sono state 64 le celebrazioni eucaristiche del Vescovo di Roma trasmesse in diretta dalla cappella di Santa Marta, dal 9 marzo al 17 maggio 2020.

Per sua esplicita volontà, queste celebrazioni che dall’inizio del suo ministero hanno realizzato un incontro di carattere familiare con un numero ristretto di fedeli che vi hanno preso parte (migliaia in questi anni) e che non aveva mai voluto rendere pubbliche in maniera integrale e diretta, sono state invece in questo periodo aperte a tutti coloro che volessero prenderne parte attraverso il collegamento streaming trasmesso dai Media vaticani alle varie reti con esse collegate.

In tal modo il Papa ha inteso manifestare la sua vicinanza «agli ammalati di questa epidemia di coronavirus, per i medici, gli infermieri, i volontari che aiutano tanto, i familiari, per gli anziani che stanno nelle case di riposo, per i carcerati che sono rinchiusi»1.

Questo appuntamento, coinciso con un tempo significativo quale quello che ogni anno la liturgia propone con il cammino quaresimale prima e con il tempo pasquale poi, è stato condiviso in un contesto tanto critico quanto inaspettato quale quello della pandemia e del conseguente isolamento forzato dovuto al lockdown.

Partendo da un contesto determinato quale quello delle omelie che spiegano le letture bibliche della liturgia eucaristica, Francesco ha trasmesso tanti contenuti, indicazioni, suggestioni ed esortazioni, che sono stati accolti ed apprezzati non solo da coloro che si sono collegati sulla rete o via TV. In diretta ma anche da chi ne è venuto a conoscenza grazie ai media e ai TG che in quei giorni riportavano alcune riflessioni trasmesse da Santa Marta.

Proviamo a riprendere qualcuno di questi passaggi che crediamo sia importante accogliere e sviluppare.

Quali sono stati gli argomenti più apprezzatati in questi due mesi a Santa Marta?

Scorrendo tutte le omelie abbiamo rilevato i vocaboli che sono apparsi in più di una omelia e abbiamo registrato 106 voci tra queste.

I termini che maggiormente compaiono – prescindendo dai nomi: Figlio, Padre e Spirito Santo – sono le parole diavolo (in nove omelie), Chiesa (10), Legge (10), peccato (12), cuore (16), popolo di Dio (17) ; abbiamo inoltre unito i vocaboli fede, fidarsi, fedeltà, credere, fiducia constatando la loro ricorrenza in 21 omelie.

Quale sono le indicazioni che emergono per chi vive l’impegno della fede?

La fede va trasmessa, va offerta ma senza cadere nella tentazione di alcun proselitismo: le vie sono la testimonianza e il servizio; la veste quella dell’umiltà. Ogni proselitismo sfocia in una corruzione2.

A riguardo dell’attuazione della testimonianza della fede Francesco asserisce:

Tu puoi fare una struttura ospedaliera, educativa di grande perfezione, di grande sviluppo, ma se una struttura è senza testimonianza cristiana, il tuo lavoro lì non sarà un lavoro di testimone, un lavoro di vera predicazione di Gesù: sarà una società di beneficenza, molto buona – molto buona! – ma niente di più 3.

Queste parole paiono una risposta a tutti coloro che accusano il vescovo di Roma di promuovere una visione che trascurerebbe il primato della fede con la proposta della Chiesa come “ospedale da campo”. Francesco invita ad essere guardinghi e a fondare l’impegno della predicazione della fede sul binomio testimonianza e preghiera.

La fede si caratterizza nella concretezza che si delinea nei suoi vari aspetti: la concretezza della verità, la concretezza dell’umiltà, la grazia della semplicità 4.

Il servizio è il tratto peculiare presente nella “carta d’identità” del seguace di Gesù ed è questo stile che porta a costruire ed edificare secondo la chiamata della elezione, come trasmesso nell’omelia del martedì della Settimana Santa. Fondamentale la perseveranza nel servizio5.

I concetti biblici di elezione, promessa e alleanza sono ricordati nell’omelia del 2 aprile.6

Afferma inoltre Francesco: guai invece, agli ipocriti e ai corrotti. Dio infatti

ai corrotti non perdona, semplicemente perché il corrotto è incapace di chiedere perdono, è andato oltre. Si è stancato … no, non si è stancato: non è capace. La corruzione gli ha tolto anche quella capacità che tutti abbiamo di vergognarci, di chiedere perdono. No, il corrotto è sicuro, va avanti, distrugge, sfrutta la gente, come questa donna, tutto, tutto … va avanti. Si è messo al posto di Dio7.

Uno degli atteggiamenti più deleteri e distruttivi, opposti al messaggio evangelico, è quello della mormorazione, della lamentela, del chiacchiericcio, che diviene un vero e proprio linciaggio sociale, arrivando a capovolgere la verità con calunnie e notizie false che, se diffuse, trascinano le masse, sfociando anche in forme di violenza cruenta.

Oltre agli esempi di Gesù e di Stefano e dei martiri cristiani di ogni epoca, abbiamo il dramma contemporaneo della Shoà8.

Davanti a questa situazione letale, che si caratterizza con un accanimento distruttivo, l’esempio trasmesso a noi da Gesù è quello del coraggio di tacere: contrapporre all’accanimento soltanto il silenzio, mai la giustificazione9.

Le prevaricazioni umane non si fermano alla mormorazione e all’accanimento che porta alla violenza fisica ma sono tragicamente attualizzate da ogni forma di ingiustizia che travalica le singole società per assumere dimensioni universali.

Magistrale a riguardo è l’omelia del mercoledì Santo con la lettura del tradimento accostata alla vendita del nostro prossimo.

Quando noi pensiamo al fatto di vendere gente, viene alla mente il commercio fatto con gli schiavi dall’Africa per portarli in America – una cosa vecchia – poi il commercio, per esempio, delle ragazze yazide vendute a Daesh: ma è cosa lontana, è una cosa … Anche oggi si vende gente. Tutti i giorni. Ci sono dei Giuda che vendono i fratelli e le sorelle: sfruttandoli nel lavoro, non pagando il giusto, non riconoscendo i doveri … Anzi, vendono tante volte le cose più care. Io penso che per essere più comodo un uomo è capace di allontanare i genitori e non vederli più; metterli al sicuro in una casa di riposo e non andare a trovarli … vende. C’è un detto molto comune che, parlando di gente così, dice che “questo è capace di vendere la propria madre”: e la vendono. Adesso sono tranquilli, sono allontanati: “Curateli voi …”.

Oggi il commercio umano è come ai primi tempi: si fa. E questo perché? Perché: Gesù lo ha detto. Lui ha dato al denaro una signorìa. Gesù ha detto: “Non si può servire Dio e il denaro” (cf.Lc. 16,13), due signori. È l’unica cosa che Gesù pone all’altezza e ognuno di noi deve scegliere: o servi Dio, e sarai libero nell’adorazione e nel servizio; o servi il denaro, e sarai schiavo del denaro. Questa è l’opzione; e tanta gente vuole servire Dio e il denaro. E questo non si può fare. Alla fine fanno finta di servire Dio per servire il denaro. Sono gli sfruttatori nascosti che sono socialmente impeccabili, ma sotto il tavolo fanno il commercio, anche con la gente: non importa. Lo sfruttamento umano è vendere il prossimo… da rubare a tradire c’è un passo, piccolino. Chi ama troppo i soldi tradisce per averne di più, sempre: è una regola, è un dato di fatto10.

Basti pensare alle ingiustizie che negano la dignità dell’uomo imponendo condizioni di lavoro che sono vere e proprie situazioni di schiavitù11.

Tocca le coscienze l’omelia del 6 aprile:

Questa storia dell’amministratore non fedele è sempre attuale, sempre ce ne sono, anche a un alto livello: pensiamo ad alcune organizzazioni di beneficenza o umanitarie che hanno tanti impiegati, tanti, che hanno una struttura molto ricca di gente e alla fine arriva ai poveri il quaranta percento, perché il sessanta è per pagare lo stipendio a tanta gente. È un modo di prendere i soldi dei poveri. Ma la risposta è Gesù. E qui voglio fermarmi: “I poveri infatti li avete sempre con voi” (Gv. 12,8). Questa è una verità: “I poveri infatti li avete sempre con voi”. I poveri ci sono. Ce ne sono tanti: c’è il povero che noi vediamo, ma questa è la minima parte; la grande quantità dei poveri sono coloro che noi non vediamo: i poveri nascosti. E noi non li vediamo perché entriamo in questa cultura dell’indifferenza che è negazionista e neghiamo: “No, no, non ce ne sono tanti, non si vedono; si, quel caso …”, diminuendo sempre la realtà dei poveri. Ma ce ne sono tanti, tanti.

O anche, se non entriamo in questa cultura dell’indifferenza, c’è un’abitudine di vedere i poveri come ornamenti di una città: sì, ci sono, come le statue; sì, ci sono, si vedono; sì, quella vecchietta che chiede l’elemosina, quell’altro … Ma come se fosse una cosa normale. È parte dell’ornamentazione della città avere dei poveri. Ma la grande maggioranza sono i poveri vittime delle politiche economiche, delle politiche finanziarie. Alcune recenti statistiche fanno il riassunto così: ci sono tanti soldi in mano a pochi e tanta povertà in tanti, in molti. E questa è la povertà di tanta gente vittima dell’ingiustizia strutturale dell’economia mondiale. E ci sono tanti poveri che provano vergogna di far vedere che non arrivano a fine mese; tanti poveri del ceto medio, che vanno di nascosto alla Caritas e di nascosto chiedono e provano vergogna. I poveri sono molto più [numerosi] dei ricchi; molto, molto … E quello che dice Gesù è vero: “I poveri infatti li avete sempre con voi”. Ma io li vedo? Io me ne accorgo di questa realtà? Soprattutto della realtà nascosta, coloro che provano vergogna di dire che non arrivano a fine mese12.

La disponibilità a partecipare alle sofferenze di coloro che sono stati colpiti da questa pandemia13, deve aprire la nostra riflessione sui fratelli sofferenti per tante altre pandemie come quella della fame nel mondo14.

Che questa esperienza di pandemia diventi dunque un’occasione per ridefinire le nostre opzioni e non ricadere in quella che viene definita nostalgia del sepolcro:

Anche oggi, davanti alla prossima – speriamo che sia presto – prossima fine di questa pandemia, c’è la stessa opzione: o la nostra scommessa sarà per la vita, per la resurrezione dei popoli o sarà per il dio denaro: tornare al sepolcro della fame, della schiavitù, delle guerre, delle fabbriche delle armi, dei bambini senza educazione … lì c’è il sepolcro15.

Indubbiamente quella della pandemia è una esperienza di crisi sociale, come tanti altri possono essere i tempi di crisi: matrimoniali, familiari, lavorativi. Come reagire nei momenti di crisi?

Nella mia terra c’è un detto che dice: “Quando tu vai a cavallo e devi attraversare un fiume, per favore, non cambiare cavallo in mezzo al fiume”. [] È il momento della fedeltà, della fedeltà a Dio, della fedeltà alle cose [decisioni] che noi abbiamo preso da prima. È anche il momento della conversione, perché questa fedeltà sì, ci ispirerà qualche cambiamento per il bene, non per allontanarci dal bene16.

Qual’è il ruolo del popolo di Dio, termine più ricorrente, forse non a caso, in queste omelie a Santa Marta?

Il cristianesimo non è solo un’etica, non è solo un’élite di gente scelta per testimoniare la fede.

Il credente deve sperimentare il fiuto e vivere la memoria di appartenere al popolo di Dio. Acquisire una coscienza di popolo:

Quando manca questo vengono i dogmatismi, i moralismi, gli eticismi, i movimenti elitari. Manca il popolo17.

Una delle immagini che rimarrà più impressa in questo ciclo di omelie è quella della Chiesa come un fiume nel quale hanno diritto di presenza tutte le diverse correnti.

Riteniamo sia questa un’asserzione decisa in risposta a tutti coloro che rivendicano pretese ai limiti dello scisma o lamentano l’impossibilità della coabitazione di anime diverse, tradizionaliste o progressiste che siano.

Qui Francesco continua a ricordare che l’opera della divisione, della frammentazione tra partiti (io sono di Paolo, io sono di Apollo…) si presenta come una vera e propria malattia per la Chiesa.

La Chiesa è come un fiume, sai? Alcuni sono più da questa parte, alcuni dall’altra parte, ma l’importante è che tutti siano dentro al fiume”. Questa è l’unità della Chiesa. Nessuno fuori, tutti dentro. Poi, con le peculiarità: questo non divide, non è ideologia, è lecito. Ma perché la Chiesa ha questa ampiezza di fiume? È perché il Signore vuole così18.

Chiudiamo questo ventaglio di citazioni con la significativa omelia del 18 marzo in cui Francesco ci ricorda che

Il nostro Dio è il Dio della vicinanza, è un Dio vicino, che cammina con il suo popolo.[] L’uomo rifiuta la vicinanza di Dio, lui vuole essere padrone dei rapporti e la vicinanza porta sempre con sé qualche debolezza.[] Il “Dio vicino” si fa debole, e quanto più vicino si fa, più debole sembra[]

Il nostro Dio è vicino e chiede a noi di essere vicini, l’uno all’altro, di non allontanarci tra noi. E in questo momento di crisi per la pandemia che stiamo vivendo, questa vicinanza ci chiede di manifestarla di più, di farla vedere di più. Noi non possiamo, forse, avvicinarci fisicamente per la paura del contagio, ma possiamo risvegliare in noi un atteggiamento di vicinanza tra noi: con la preghiera, con l’aiuto, tanti modi di vicinanza. E perché noi dobbiamo essere vicini l’uno all’altro? Perché il nostro Dio è vicino, ha voluto accompagnarci nella vita. È il Dio della prossimità. Per questo, noi non siamo persone isolate: siamo prossimi, perché l’eredità che abbiamo ricevuto dal Signore è la prossimità, cioè il gesto della vicinanza19.

A qualche mese dall’inizio della pandemia rileggere le parole di Francesco risulta una occasione preziosa per dare un senso agli avvenimenti e spronare ciascuno alla costruzione di un mondo migliore.

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1 Vatican News, La vicinanza del Papa: Messa di Santa Marta in diretta ogni giorno, in https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2020-03/coronavirus-papa-francesco-messa-santa-marta-ogni-giorno.html

2 Cfr. FRANCESCO, La fede va trasmessa, va offerta, soprattutto con la testimonianza, 25 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200425_testimoniare-lafede-conlavita.html

3 ID., Senza testimonianza e preghiera non si può fare predicazione apostolica, 30 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200430_testimonianza-e-preghiera.html

4 Cfr. ID., La concretezza e la semplicità dei piccoli, 29 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200429_laconcretezza-dellaverita.html

5 Cfr. ID., Perseverare nel servizio, 7 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200407_perseverare-nelservizio.html

6 Cfr. ID., Le tre dimensioni della vita cristiana: elezione, promessa, alleanza, 2 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200402_letre-dimensioni-dellavita.html

7 ID., Fidarsi della misericordia di Dio, 30 marzo 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200330_pregare-peril-perdono.html

8 Cfr. ID., Il piccolo linciaggio quotidiano del chiacchiericcio, 28 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200428_laverita-dellatestimonianza.html

9 Cfr. ID., Il coraggio di tacere, 27 marzo 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200327_ilcoraggio-ditacere.html

10 ID., Giuda, dove sei?, 8 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200408_tra-lealta-e-interesse.html

11 Cfr. ID., Il lavoro è la vocazione dell’uomo, 1 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200501_illavoro-primavocazione-delluomo.html

12 ID., Cercare Gesù nel povero, 6 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200406_la-poverta-nascosta.html

13 Cfr. ID., La domenica del pianto, 29 marzo 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200329_lagrazia-dipiangere.html

14 Cfr. ID., Giorno di fratellanza, giorno di penitenza e preghiera, 14 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200514_giornodi-fratellanza-penitenza-preghiera.html

15 ID., Scegliere l’annuncio per non cadere nei nostri sepolcri, 13 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200413_annunciare-cristo-vivoerisorto.html

16 ID., Imparare a vivere i momenti di crisi, 2 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200502_lecrisi-occasioni-diconversione.html

17 ID., Essere cristiani è appartenere al popolo di Dio, 7 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200507_consapevoli-diessere-popolodidio.html

18 ID., Tutti abbiamo un unico Pastore: Gesù, 4 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200504_cristo-unicopastore.html

19 ID., Il nostro Dio è vicino e ci chiede di essere vicini l’uno all’altro, 18 marzo 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200318_pergli-operatorisanitari.html