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MI CHIAMO SERGEJ: LETTERA ALLE AUTORITà ITALIANE

di ALESSANDRO MANFRIDI

Diamo voce ad una storia vera che condensa tutti i sentimenti e gli interrogativi relativi ai progetti di cura dei minori in Italia e alla loro sospensione.7 ottobre 2021

pubblicato in Mi chiamo Sergej: lettera alle autorità italiane – VinoNuovo.it

Se a Natale 2021 i viaggi di assistenza e cura dei minori bielorussi verranno disattesi sarà negato ancora una volta il principio che tutela il bene supremo dei minori contemplato nella Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Dopo due anni, essi attendono di ritornare in Italia presso le famiglie che li accolgono. Lo scritto che segue raccoglie e riassume, nella forma di “lettera alle autorità”, tutti i sentimenti e gli interrogativi espressi da Sergej (nome di fantasia):

Ciao, mi chiamo Sergej.

La vita è stata buona con me.

Anche se non ho mai conosciuto mio padre. Anche se mia madre non è stata in grado di accudirmi. Anche se io, i miei fratelli e le mie sorelle siamo stati affidati, in tenera età, ad una casa-famiglia in Minsk.

Ho trovato altri ragazze ed altri ragazzi in questa realtà.

Cresciamo in maniera semplice e spartana, con regole precise e spazi condivisi.

La casa-famiglia che ci ospita non ci fa mancare niente.

Tutti NOI bambini chiamiamo la famiglia della tutrice “la nostra mamma e il nostro papà bielorussi”, perché alcuni di noi conoscono a mala pena la propria madre e forse affatto il loro padre.

Ma non sono solo “nostri”. Loro hanno i loro figli e i loro nipoti.

Noi vediamo il loro esempio genitoriale come un riferimento.

Ma cerchiamo in fondo al cuore una “nostra” famiglia.

Avevo da qualche giorno compiuto sette anni. L’età necessaria per

poter viaggiare all’estero.

Sono salito con coraggio su un aereo della compagnia Belavia. Viaggio Minsk-Fiumicino.

Con me tanti altri bambini, bambine, ragazzi e ragazze provenienti da case-famiglia e orfanotrofi di Minsk e altre città bielorusse. L’areo era pieno.

Ci accompagnavano delle giovani interpreti bielorusse, incaricate di custodirci nel viaggio ed affidarci alle associazioni delle famiglie accoglienti in Italia.

Finalmente siamo arrivati. A Fiumicino sono stato accolto ed affidato ad una famiglia italiana.

Era dicembre 2018. Ho trascorso Natale e le festività con loro.

Poi il viaggio nell’estate 2019 e un ultimo, indimenticabile, soggiorno in Italia nel dicembre 2019.

Durante questi soggiorni sono passato dalla iniziale nostalgia per la mia casa-famiglia e per il mio fratellino minore lasciato a Minsk, alla gioia per questo soggiorno italiano, per una “nuova” vita, per il calore della famiglia italiana che mi ha accolto, per questi due coniugi che hanno imparato a vivere con me bambino, così come io ho iniziato a vivere con una famiglia che ho imparato a conoscere, ad apprezzare e ad amare.

Sapevo bene che dovevo tornare a Minsk, perché in Italia non potevo adottato. Ma voi avete mai provato a sentirvi in un luogo come fosse casa vostra?  in una famiglia come fosse la vostra famiglia? Pur sapendo che al momento non è la vostra famiglia ma che forse un domani nel futuro potrebbe diventarlo? Io sì. Il mio cuore si è gonfiato di gioia.

In un anno avevo già iniziato a parlare l’italiano e comunque a capirlo senza difficoltà, anche se non avevo ancora iniziato il mio percorso scolastico in Bielorussia.

Da allora gli eventi si sono susseguiti.

Prima il COVID, la Pandemia, le chiusure delle frontiere. Così sono saltate le accoglienze dell’estate 2020 e del dicembre 2020.

Per un anno e mezzo, dal dicembre 2019 al giugno 2021, la relazione con la famiglia italiana è andata avanti con le videochiamate a cadenza quindicinale.

Ma io non capivo perché non potessimo più vederci, perché non potessi più avere la gioia di vivere i miei mesi di vita italiana, forse questa coppia non mi voleva più, forse si era stancata di me? Anche la lingua italiana me la sono dimenticata, quando parliamo io ricordo solo alcune parole, le altre me le traduce la mia sorella maggiore che è stata in Italia prima di me negli anni scorsi.

La scorsa estate pareva che le frontiere si dovessero aprire.

Poi ci sono state le sanzioni verso la Bielorussia e si è tutto interrotto.

A dicembre 2021 saranno due anni che non torno in Italia, dopo l’esperienza di un anno e mezzo precedentemente vissuta con tanta gioia, attesa e amore ricevuto e dato.

Io vorrei tornare in Italia e riabbracciare la famiglia che mi accoglie e mi attende.

Se a Natale i viaggi non si faranno, la mia speranza in una vita diversa, che fin qui mi è stata porta, verrà tradita ancora una volta e mi verrà negato l’affetto che mi è stato donato e mi vuole essere donato qui in Italia.

Per favore, fate tutto ciò che è necessario per non negare tutto questo alle migliaia di bambini bielorussi che, come me, ricevono l’affetto di una famiglia italiana da quando hanno sette anni fino ai diciotto anni.

Negare queste accoglienze, quando Minsk non attende che le firme dei protocolli da parte dei Ministeri italiani, significa anteporre le logiche delle sanzioni alla felicità di bambini, bambine, ragazzi e ragazze presenti negli orfanotrofi e nelle case famiglie di Minsk edelle altre città bielorusse.

Cari signori, vi prego!

Adesso provate ad immaginare come si sentirebbe vostro figlio se non dovesse vedervi per due anni (dicembre 2019-dicembre 2021) e se, nell’attesa di potervi riabbracciare qualcuno dovesse dirgli che non è ancora arrivato il tempo.

Stavolta il CO VID-19 non c’entra niente, so che in Italia i bambinivanno a scuola, giocano, fanno sport e tante altre cose. Mi dite cosa nega il diritto alla mia felicità di bambino? Quale è la mia colpa?

Essere nato in un posto sbagliato?

Vi prego aiutatemi, fatemi tornare in Italia da questo prossimo Natale.

Vi abbraccio

Sergej

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INSEGNANTI DI RELIGIONE: APPELLO AI VESCOVI

Pubblicato in Insegnanti di religione: un appello ai vescovi – SettimanaNews

Il 14 dicembre 2020 la CEI e il Ministero dell’Istruzione hanno stipulato l’Intesa secondo quanto previsto dall’articolo 1/bis della L. 20 dicembre 2019, n. 159 che convertiva, con modificazioni, il DL 29 ottobre 2019, n. 126, per la realizzazione di un bando di concorso per la copertura di posti per l’insegnamento della religione cattolica che si rendono vacanti e disponibili nel triennio scolastico successivo all’emanazione del bando.

Secondo il cardinale Bassetti tale concorso sarebbe un passaggio importante per la stabilizzazione dei docenti di religione verso i quali i vescovi italiani rinnovano la stima e la vicinanza, riconoscendone la passione e la competenza, nell’accompagnamento del cammino di crescita dei ragazzi e delle ragazze di oggi.

L’allora ministro Azzolina affermava che tale concorso aveva come obiettivo la tutela delle aspirazioni degli insegnati di religione cattolica, che lavorano alacremente, in sinergia e in armonia con tutto il personale scolastico e con l’immissione in ruolo avrebbero proseguito il loro percorso professionale con maggior stabilità.

Le parole del presidente della Conferenza episcopale italiana e quelle del ministro dell’Istruzione, sottoscrittori dell’Intesa, dimostravano stima, vicinanza e riconoscimento della professionalità degli insegnanti di religione, riconoscendone il diritto a vedere un percorso di stabilizzazione, a 17 anni di distanza dal concorso bandito nel febbraio 2004 secondo quanto previsto dalla Legge 18 luglio 2003, n. 186.

Accanto a queste dimostrazioni, che presentavano al corpo docente un’“opportunità”, nei mesi scorsi tuttavia abbiamo avuto ennesimi segnali che mettono in dubbio il senso e l’attualità dell’insegnamento e finanche la stessa professionalità dei docenti formati per impartirlo.

Nel maggio scorso abbiamo ascoltato le esternazioni delle senatrici Bianca Laura Granato e Luisa Angrisani di “L’Alternativa c’è” manifestate con una certa confusione, dato che attaccavano i docenti di religione e l’insegnamento in seguito alla proposta di accesso a varie classi di concorso di cui sarebbero titolari non i docenti in oggetto, ma i laureati in possesso della laurea statale LM64 in Scienze delle Religioni.

Due settimane fa è stato pubblicato sul blog de Il Fatto Quotidiano l’articolo del maestro e giornalista Alex Corlazzoli che si domanda se non sia il tempo di sostituire l’insegnamento di religione cattolica con un insegnamento di “Storia delle Religioni” gestito dallo Stato in quanto a formazione e indirizzi.

A queste esternazioni abbiamo puntualmente risposto, con le dovute chiarificazioni nel merito.

Torniamo ora all’Intesa, al DPCM del 20 luglio 2021 che autorizza il Ministero dell’Istruzione ad emettere il bando per la realizzazione del Concorso per l’insegnamento della religione cattolica e alla Nota pubblicata dalla CEI il 18 agosto 2021.

In essa i vescovi, manifestando ancora una volta “profonda stima” nei docenti di religione cattolica, si dicono attenti, preoccupati, vicini e solidali agli stessi; tuttavia, non possiamo non commentare come l’insegnamento della religione cattolica, alla luce di questo concorso ordinario, si presenti più come “martirio” che come “ricompensa”.

Come parte sindacale, sono anni che chiediamo di aprire percorsi di stabilizzazione attraverso procedure non selettive che tengano conto di titoli e servizio.

Ancora una volta dunque oggi facciamo un appello ai vescovi affinché diano ascolto e risposte complete ai docenti verso cui affermano rinnovate attestazioni di stima e riconoscimento di professionalità e di abnegazione perché, dopo la L 159/2019, l’Intesa sottoscritta dal cardinale Bassetti e il ministro Azzolina il 14 dicembre 2020 e il DPCM 20 luglio 2021, l’emissione di un bando concorsuale ordinario per 5.116 posti risulterebbe fortemente penalizzante per gli attuali insegnanti di religione e rischierebbe di mettere in mezzo a una strada due docenti di religione su tre (e le loro famiglie), secondo quello che le proiezioni dei dati affermano.

  • Alessandro Manfridi è referente nazionale ANIEF IRC.
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QUALE SANTITÀ?

Thomas Sankara e Giovanni Paolo II

Per completezza riporto una intervista al Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinal Marcello Semeraro, riportata da vaticannews

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-05/dicasteri-vaticano-congregazione-cause-santi-intervista-semeraro.html

Pubblicato su https://www.vinonuovo.it/teologia/etica/quale-santita/

di Alessandro Manfridi

La domanda di Livatino: “Credenti o credibili?” ci aiuta a riconoscere come testimoni donne e uomini al di là di ogni appartenenza religiosa

In queste ultime due settimane di scuola sto facendo vedere ai ragazzi il servizio “e quel giorno uccisero la felicità”[1]. Con questa lezione concludo un percorso di riflessione da me proposto, partito dall’opera di Silvestro Montanaro[2] e ampliato con il magistero di don Tonino Bello[3], le denunce di padre Alex Zanotelli[4], i materiali del Centro Nuovo Modello di Sviluppo[5] per arrivare alle iniziative della Laudato Si’ week[6].

Condividendo ad un caro amico i ritorni che sto avendo dai ragazzi, egli si è lasciato sfuggire un’affermazione: “Sankara è un santo!”

“Un santo!”

Mi viene d’obbligo mettere nero su bianco qualche riflessione.

Parto dalla recente considerazione di don Luigi Ciotti a proposito della beatificazione del giudice Rosario Livatino: “non facciamone ora un santino!”[7]

So che alcune grandi figure, cito tra tutti Daniele Comboni[8], sono state “elevate agli onori degli altari” con il timore che tale evento potesse “snaturarne” la profondità del messaggio, come spiego in queste riflessioni.

Interessante notare come alcuni personaggi che hanno segnato con il loro passaggio la storia del cattolicesimo contemporaneo, ancora oggi vengano ricordati dalla gente senza i loro titoli dovuti alla canonizzazione: dunque non “santo”, “santa” o “san” ma “Padre Pio”, “Madre Teresa” e “Don Bosco”.

Peraltro, altre figure il cui messaggio e la cui testimonianza sono sotto gli occhi del mondo hanno dovuto attendere decenni e, nel caso, un Papa sudamericano, per essere riconosciute nella loro eroicità della fede: Oscar Arnulfo Romero[9], la cui data del martirio viene celebrato nella Chiesa Cattolica da anni come Giornata Mondiale di preghiera e di digiuno per i missionari martiri.

Quella dei martiri della fede, degli uomini e delle donne uccisi non solo a causa del Vangelo ma della difesa dei diritti umani dei poveri e degli ultimi è una delle pagine più preziose di quel capitolo denominato “Ecumenismo spirituale[10]” da Giovanni Paolo II e che ha visto una significativa finestra durante il Grande Giubileo del 2000[11].

Proprio il Pontefice polacco è stato il promotore di una attività esponenziale della Congregazione delle Cause dei Santi che, sotto il suo pontificato, si è proposta come una vera e propria “fabbrica dei santi”, producendo numeri mai realizzati nei secoli precedenti[12].

L’opportunità di riconoscere queste figure e proporle al culto della gente è legata a una politica di promozione della fede che la Chiesa Cattolica ha voluto indicare come sempre più internazionale e presente sui cinque continenti.

Così, insieme con i viaggi apostolici che hanno caratterizzato il secondo pontificato più lungo della Storia della Chiesa[13], la proposta di figure di beati e di santi locali, presenti nelle varie nazioni, ha voluto indicare come “l’azione dello Spirito” si sia fatta presente ovunque in storie, vicende umane e opere promosse ed attuate non solo da personaggi europei, possibilmente consacrati e magari uomini, ma anche da donne, laici, cittadini indigeni presenti in ogni angolo dell’Orbe.

Le motivazioni sono dunque legate ai fini stessi dettati dall’evangelizzazione: proporre esempi mirabili di credenti che ci hanno preceduto nel cammino di vita cristiana, le cui storie e le cui opere sono davanti ai nostri occhi.

Dov’è il limite di questa politica? Dove i suoi punti deboli?

Il primo può essere quello rilevato da don Ciotti o su (San) Daniele Comboni: elevare una figura “agli onori degli altari” comporta il rischio di “angelicarla”, di “sublimarla”, di sottrarla, dunque, a quei risvolti di umanità (anche quelli legati ai propri limiti, ai propri difetti, agli errori personali comunque vissuti durante la propria vicenda umana) che le sono propri, o alle conseguenze di scelte sbagliate che questa stessa persona abbia comunque compiuto in vita; riconoscere, dopo l’articolato percorso che la Congregazione delle Cause dei Santi compie, la “santità” di un individuo, significa affermare che questa persona si trova ora “a destinazione”, in quella visione beatifica che nella teologia cristiano-cattolica è realizzata con l’incontro con Dio nell’Aldilà.

Riconoscere, ad esempio, che un Pontefice sia in Cielo, non sottrae il suo pontificato dai giudizi della storia e dalle conseguenze legate alle sue scelte.

L’ultimo Vescovo di Roma canonizzato prima dei suoi successori dell’ultimo secolo, Pio V, ha il “merito” di essere ricordato grazie alla vittoria di Lepanto.

La lettura storica sul lungo pontificato di San Giovanni Paolo II non può ignorare scelte politiche precise che ne fecero uno dei protagonisti della fine del “Comunismo reale” e al tempo stesso colui che chiuse le possibilità di sviluppo evangelico della Teologia della Liberazione e delle CEB nel continente sudamericano, proprio avverso a qualsiasi rischio di orientamento “a sinistra” ritenuto da evitare. Oggi il Cattolicesimo in questo continente è numericamente in crollo nei confronti di una espansione esponenziale delle chiese evangeliche e pentecostali.

Secondo “limite” della politica delle canonizzazioni: l’indebolimento delle potenzialità del dialogo interreligioso e del dialogo ecumenico, lì dove la focalizzazione dell’attenzione sui “santi” di parte cattolica distoglie lo sguardo dalla considerazione che la difesa dei valori non solo della fede ma anche della giustizia e dei diritti ha portato a pagare con il sangue personaggi accomunati dall’unico spessore morale e impegno civile, pur nella diversità delle fedi professate.

Non posso dimenticare la riflessione di un mio professore di teologia che, in un seminario di studi sulla figura di Simone Weil, affermava che la Chiesa Cattolica non avrebbe esitato a canonizzarla, se solo fosse stato possibile dimostrare che ella aveva ricevuto il battesimo; cosa di cui non abbiamo testimonianze documentali certe[14].

Ricordo anche una significativa testimonianza che registrai anni fa durante alcuni giorni di visita alla Comunità di Bose.

Rimasi colpito dal fatto che nella liturgia della comunità monastica erano ricordate anche figure di testimoni non cattolici: Dietrich Bonhoeffer ad esempio[15].

Ecco, dunque, l’ultimo grande “limite” di ogni “culto dei santi”: esso è – e non può che essere – “di parte”.

Esistono così santi “cattolici”, santi “ortodossi”, “profeti” dell’Islam, personaggi “deificati” nella Storia di tutte le varie Religioni.

Credo che un criterio unificante sia da ritrovare nell’invito del pontefice (San) Paolo VI: il mondo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri[16].

Se dunque il “culto dei santi” non può che essere legato ad ogni singola (e separata) confessione religiosa, il riconoscimento tributato dai popoli, dalle nazioni, da ognuno di noi verso figure di donne e di uomini che siano unanimemente riconosciuti come testimoni di un messaggio e di una passione per la promozione dei valori più condivisi faccia la differenza.

Così non ci sarà alcuna differenza tra Thomas Sankara, Teresa di Calcutta, Ikbal Masih[17], l’Abbè Pierre[18], Ezechiele Ramin[19], Emmeline Pankhurst[20]  e, insieme con loro, tutte quelle vittime senza volto né nome a cui essi hanno provato a dar loro voce.

La quarta, la settima e l’ottava beatitudine evangelica ci consegnato tutte queste persone come quei testimoni dei quali il mondo ha bisogno[21]. Oggi non meno di ieri.


[1] https://www.youtube.com/watch?v=GPCNq-T7yDY

[2] https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/leredita-di-silvestro-montanaro/

[3] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/don-tonino-bello-e-lo-sguardo-dellanima/

[4] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/giubileo-degli-oppressi-unesperienza-da-attuare/

[5] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/da-barbiana-al-mondo-intero/

[6] https://laudatosiweek.org/it/home-it/

[7]Luigi Ciotti sulla beatificazione del giudice Rosario Livatino https://www.youtube.com/watch?v=5RGc1FXnflc

[8] https://www.comboni.org/contenuti/100059

[9] https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/14-ottobre-romero-paolo-santi

[10] Giovanni Paolo II Lettera Enciclica UT UNUM SINT https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25051995_ut-unum-sint.html

[11] https://www.agensir.it/quotidiano/2000/4/28/giubileo-dei-nuovi-martiri-il-7-maggio-al-colosseo/

[12] https://www.vatican.va/news_services/liturgy/saints/index_saints_it.html

https://www.vatican.va/news_services/press/documentazione/documents/pontificato_gpii/pontificato_dati-statistici_it.html

[13] https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/travels.index.html

[14] https://27esimaora.corriere.it/19_febbraio_03/simone-weil-110-anni-nascita-cosi-moderna-essere-giudicata-folle-f747857c-279d-11e9-84f8-838f47b6747c.shtml?intcmp=googleamp

[15] https://www.monasterodibose.it/preghiera/santorale?start=5

[16] PAOLO PP. VI, Discorso ai Membri del «Consilium de Laicis» (2 ottobre 1974): AAS 66, 1974, p. 568

[17] https://www.youtube.com/watch?v=Kl_JCBnP3OI

[18] http://www.emmaus.it/abbe-pierre/

[19] https://www.youtube.com/watch?v=_78llKU8BwM

[20] https://mondointernazionale.com/domina/emmeline-pankhurst

[21] Cfr Mt 5, 1-12 http://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=Mt5%2C1-12&formato_rif=vp

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DA BARBIANA AL MONDO INTERO

La cascina del Centro Nuovo Modello di Sviluppo a Vecchiano (PI)

Pubblicato su https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/da-barbiana-al-mondo-intero/

L’esperienza di Francesco Gesualdi e del Centro Nuovo Modello di Sviluppo. Analisi documentate e proposte concrete per un mondo che risponda anche all’appello della LAUDATO SI’

di Alessandro Manfridi

Una lezione con le classi prime sul modello educativo di don Milani per me è d’obbligo all’inizio del percorso scolastico con gli studenti.

Mi basta scrivere alla lavagna: “LA SCUOLA SARÀ SEMPRE MEGLIO DELLA MERDA!” e poi chiedere ai ragazzi se questa frase secondo la loro opinione é stata detta da un professore o da uno studente.

L’attenzione è garantita.

Poi inizio a raccontare loro la storia che ha portato don Lorenzo Milani a fondare la sua “Scuola di Barbiana”.

E racconto le motivazioni che hanno condotto i suoi ragazzi a scrivere il testo de la “Lettera ad una professoressa”, divenuto uno dei manifesti del Movimento del ’68.

La frase, come sappiamo, l’ha proposta uno degli studenti della “Scuola di Barbiana” che, se non avesse avuto la possibilità di vivere quelle dieci ore immerso con i compagni nello studio, nella ricerca, nella fatica, nel confronto, avrebbe dovuto impiegarle a spalare letame nelle stalle insieme con suo padre.

Se in Italia il diritto all’istruzione, attraverso il ciclo della scuola dell’obbligo scolastico, è garantito a livello istituzionale, ciò non è ugualmente previsto ne garantito ai ragazzi di ogni età in tanti altri Paesi; ciò per svariati motivi: povertà, lavoro minorile, mancanza delle scuole o distanza dei plessi più vicini ad ore di cammino, guerre civili, bambini-soldato.

La cosa che mi ha sempre colpito, nella essenziale produzione bibliografica di don Milani, è l’uso delle statistiche illustrate da tabelle e grafici.

Esperienze pastorali[1] e Lettera ad una professoressa[2] le adoperano in maniera corrente, illustrando e avvalorando in maniera decisa le questioni esposte e dando peso alle proposte portate.

Leggere Lettera ad un consumatore del Nord[3]è stato per me un piacevole riabbeverarsi al messaggio educativo della Scuola di Barbiana; trasmesso, come patrimonio, non solo alla scuola italiana (ricordiamo che nel nostro paese sono innumerevoli le scuole statali intitolate al prete fiorentino) ma ben oltre i nostri confini[4].  Anche Papa Francesco ne ha riconosciuto il valore e ha voluto recarsi a visitare questo luogo e la tomba del priore[5].

Il testo della Lettera ad un consumatore del Nord , editato trent’anni fa (1990), riprende esattamente lo stile e le provocazioni della Lettera ad una professoressa, con mirato uso di dati, grafici e tabelle.

Uno sguardo all’indice.

Presentazioni di Alexander Langer e Alex Zanotelli. Titoli capitoli: il tuo consumo, la nostra emarginazione; il tuo consumo, il nostro deficit alimentare; il tuo consumo, il nostro ambiente; il tuo consumo, il nostro sfruttamento; il tuo consumo, il loro guadagno; dal consumo alla solidarietà.

Il filo rosso che lega il Centro Nuovo Modello di sviluppo di Vecchiano (PI)[6] alla scuola di Barbiana è  Francesco Gesualdi, fratello di Michele, lo scomparso presidente della Provincia di Firenze[7]; i due fratelli hanno avuto il privilegio di vivere accanto a don Milani, accolti nella canonica della parrocchia e protagonisti della scuola parrocchiale.

Notevole la trasposizione filmica interpretata da Sergio Castellitto[8].

Francesco, chiamato “Francuccio” da don Milani, parte presto oltre confine per iniziare una esperienza come lavoratore che lo plasmerà sotto gli insegnamenti e la passione del priore di Barbiana.

Da oltre trent’anni le proposte del Centro Nuovo Modello di Sviluppo hanno offerto non solo una serie di pubblicazioni[9] concepite per la didattica scolastica e la divulgazione ma anche una serie di studi, di dossier[10] e soprattutto di campagne[11] operative per promuovere la conoscenza e la pratica di vari strumenti, nell’ottica, appunto, di un nuovo modello di sviluppo.

Nel testo L’altra via da scaricare in PDF[12], la domanda introduce alle possibili risposte:

Cambio di strategie, cambio culturale, cambio organizzativo, trasformazioni possibili solo se ricominciamo da capo, se ripartiamo da alcune domande di fondo: per chi e per che cosa deve essere organizzata l’economia? per i mercanti o per la gente? per l’avere o per l’essere? per il privilegio di pochi o i diritti per tutti? nel rispetto del pianeta o in un’ottica di saccheggio? Se la risposta è che l’economia deve essere organizzata per la gente, allora dobbiamo ripensare l’assetto economico a partire dai bisogni.

Guida al consumo critico[13] è il testo maggiormente promosso del Centro, ed è una delle sue proposte-chiave. Varie campagne sono state lucidamente proposte dal Centro in questi anni, alcune concluse con successo, altre ancora in corso.

Insieme con Alex Zanotelli, Francuccio Gesualdi è fondatore della Rete di Lilliput[14].

I contenuti ai quali Gesualdi e il Centro si sono dedicati da oltre trent’anni, sono gli stessi che vengono  richiamati dalla Enciclica di Papa Francesco Laudato Si’[15] su un’ecologia integrale e nuovi percorsi di giustizia.

Quando io penso agli strumenti che abbiamo li divido in due: azioni di resistenza, sono tutte quelle che puntano a creare un danno al sistema e togliergli il consenso, sapendo che il sistema si regge sul consenso. L’altro tipo di azioni sono quelle che io chiamo di desistenza, vale a dire che ci sono momenti in cui ci rendiamo conto che diamo un servizio molto più grande se abbiamo la capacità di scendere dal treno e cominciare a mettere in pratica ora e subito delle iniziative che vanno in una direzione contraria rispetto a quelle dominanti. Fra le azioni di resistenza abbiamo la possibilità di poterle dividere in quelle di carattere personale e in quelle di carattere collettivo. Fra le personali la prima è il cosiddetto consumo critico. Noi abbiamo capito che il consumo vissuto in maniera acritica diventa uno strumento di sostegno alle imprese, comprese quelle che si comportano malissimo, ma che se abbiamo la capacità di utilizzare il consumo in maniera critica riusciamo a orientare il comportamento delle imprese, perché lanciamo di continuo il messaggio delle azioni che approviamo e quelle che condanniamo. Ricordatevi che le imprese sono sensibilissime a questo tipo di messaggi che arrivano dai consumatori e loro sanno molto bene che la loro sopravvivenza dipende dalle scelte che fanno i consumatori. Ogni volta che entriamo in un supermercato diciamoci che siamo persone molto potenti, noi abbiamo la possibilità di mettere in ginocchio anche le multinazionali più potenti. Però bisogna crederci e dopo averci creduto bisogna fare i passi necessari. Dal punto di vista collettivo le azioni che abbiamo a disposizione sono molto più vaste e vanno dal boicottaggio alle manifestazioni. Poi abbiamo le scelte di desistenza, vale a dire tentare di attuare delle scelte che sono ispirate a principi diversi e ancora una volta possiamo dividerle in azioni personali e collettive. Fra le azioni personali c’è un nuovo stile di vita che si concretizza anche con la finanza etica con la Banca Etica costituita di recente e l’esperienza delle reti di economia locale[16].

Ricordando la sua relazione al “Giubileo degli oppressi”[17], dobbiamo convenire che un mondo più giusto e un futuro possibile passano solo attraverso l’impegno preciso di ciascuno di noi.

 Non dobbiamo attendere l’overshoot day[18] per svegliarci.


[1] https://www.lef.firenze.it/it/libro/esperienze-pastorali

[2] https://www.lef.firenze.it/it/libro/lettera-a-una-professoressa

[3] Lettera ad un consumatore del Nord (cnms.it)

[4] https://www.avvenire.it/europa/pagine/von-der-leyen-ue-discorso-sullo-stato-dell-unione

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/i-care-faro-per-tutti-una-scelta-da-onorare
[5] Discorso di Papa Francesco a Barbiana – Pellegrinaggio sulla tomba di don Lorenzo Milani

[6] http://www.cnms.it/chi-siamo

[7] https://www.avvenire.it/attualita/pagine/morto-michele-gesualdi

[8] https://www.comingsoon.it/film/don-milani-il-priore-di-barbiana/43125/scheda/

[9] http://www.cnms.it/pubblicazioni-menu

[10] http://www.cnms.it/i-nostri-dossier

[11] Le Campagne per cambiare (cnms.it)

[12] http://www.cnms.it/images/documenti/altravia_0.pdf

[13] Guida al consumo critico – nuova edizione (cnms.it)

[14] Dalla Parte Sbagliata del Mondo – Da Barbiana al consumo critico: storia e opinioni di un militante (cnms.it)

[15] http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

[16] http://www.giovaniemissione.it/mondo/gesualdi.htm

[17] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/giubileo-degli-oppressi-unesperienza-da-attuare/

[18] L’impronta mal distribuita

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DON TONINO BELLO AND THE LOOK OF THE SOUL

Post authorBy Alessandro Manfridi

Article date 04/20/2021

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Published on https://www.vinonuovo.it/comunita/esvesperienze-di-chiesa/don-tonino-bello-e-lo-sguardo-dellanima/

“The eyes are the mirror of the soul”.

Quoting Plato’s famous phrase in the Phaedrus, I cannot deny, twenty-eight years after the birth in Heaven of the bishop of Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi Don Tonino Bello (1) that this was certainly worth it for him.

I had the privilege of knowing him in person and, since friends have invited me several times to pass on my memories, I try to share them with you.

I still remember the first time I met him, even if not in person.

I had just gotten off the bus in the town of Bari, looking for a priest I was supposed to meet. Without my knowledge, I found myself with a rather singular scene: a solemn city procession to enter the cathedral, since that day the patron saint St. Conrad was celebrated. I found myself, without having planned it, to enter and participate with the other faithful, a packed church, in the celebration.

I still remember the passion that this bishop transmitted in his homily, he really spoke “from the soul”: it was the Gospel passage that speaks of the inability for a rich man to enter the kingdom of Heaven, “it would be easier for a camel to enter by eye of a needle that for a rich man to enter the kingdom of heaven “(2).

Don Tonino was a Franciscan as a tertiary and deeply attentive “to the power of signs”, rather than “to the signs of power” and his catecheses on the washing of the feet by Jesus, with that only vestment that was granted, the apron of the service, are a wonderful externalization, from the heart, of his choices (3).

As bishop, he had chosen the motto from a verse of Psalm 34: “Let them listen to the humble and rejoice” (4); the pectoral cross not in gold but in olive wood from his land, his beloved Salento; the episcopal ring obtained from the faiths of his parents. He drove around with an old yellow 500. Always available and easy going, to the point of going down to open the door in person when someone rang the intercom in the episcope.

He did not lose this habit until his strength allowed him.

The first personal meeting with him: I found myself attending a dinner, his guests in the episcopio, forty young people, and there was no shortage of those who spoke, filled him with questions and we all listened in admiration to his answers, a bishop so “in hand It was unusual to find it.

Personally, I did not want to intervene, they were all enthusiastic and many did, I remained silent, listening, a little secluded, joyful like everyone else about this welcome and this climate of fraternity.

At the end of the dinner, Don Tonino wanted to accompany us not to the door but down the steps of the episcope to the street. Once again, we were in a group and the interventions continued, we would not have wanted to leave him, it happens like when with a dear friend, time flies quickly. At a certain point, without my realizing it, he approaches me, stares me in the eye and asks me: “What is your name?” I remain incredulous: “Alessandro!”. I don’t remember what he added, a few loving words, like that of a good father. He hit me with his gesture. Don Tonino had noticed my silence, the decision to remain almost hidden, to leave room for others, since everyone was enthusiastic about filling him with questions.

He was a pastor who was attentive to people, enthusiastic and passionate, with a word that touched his heart.

In addition to his episcopal ministry, to his attention to all and to the least, another great testimony was that of his commitment to peace.

As bishop national president of the Pax Christi association, many of his interventions were memorable, including that passionate speech, “On your feet builders of peace” (5).

A decisive magisterium. I cannot forget an interview that saw him broadcast on Rai, they were the days of the first conflict against Iraq, the one due to the invasion of Kuwait. All justified the armed intervention, due to the violation of all international law. He, a voice in the desert, pronounced himself passionately against the embargo, a measure that would strike civilian populations, quoting with an almost prophetic air the vision of Isaiah that contemplates the swords being transformed into plowshares and spears into scythes (6). He seemed to come from another world, a voice that speaks to those who cannot understand it, like the one that has touched all the biblical prophets (7).

Don Tonino’s passion for the cause of peace saw its highest page when the bishop, now undermined by the disease, did not want to fail to participate in the “expedition” organized by “Blessed are the peacemakers” which brought 500 people, who left with the ship from Ancona to Split, to bring solidarity, hope and an announcement for peace to the center of Sarajevo, during the Serbo-Croatian-Bosnian conflict, at the risk of life due to the presence of snipers. It was an event completely silenced by the media, and Don Tonino published his diary of those days, with memorable memories, on the pages of Il Manifesto (8).

Evil had consumed him and forced him to bed. It was said that Don Tonino could no longer receive visitors, as was the custom, at any hour of the day, when some went to visit him. The disease did not allow to decide and plan when he was able to receive, I remember that someone informed that if it was possible whoever wanted it could be called to go to greet him. So I found myself in his room. That afternoon we would have been 40 or 50 people, including lay people, seminarians of the course, celebrants; so many people gathered standing in that bedroom. Don Tonino participated in the celebration of the Mass in bed, dressed in the stole around his neck, the celebration was carried out by the other celebrants. But at the moment of the homily he wanted to speak and resumed that episode he recounted, which has become very famous, of the “Cross as a temporary arrangement”. In the story he narrated that he went on a pastoral visit to one of his parish priests. During the visit he had noticed that in a corner of the sacristy there was an ancient wooden crucifix, removed from its place due to some work in progress. Next to the crucifix there is a sign with the inscription: “Temporary accommodation”. Don Tonino had a start, he turned resolutely to the parish priest: “You mustn’t remove that writing, on the contrary, you must frame it!”

And from this episode he built his own announcement that he actualized with us that afternoon.

“Guys, don’t worry! The cross? It is a temporary accommodation! How long are you on the cross? A few hours? But, after that, everything changes! Things are transformed! “

He spoke in a faint voice. His body is skeletal. His face hollowed out, devoured by disease. But his eyes. His eyes alive, penetrating, full of love. He stared at each of us, he spoke to us with determination, with certainty, with evangelical parrhesia. Him, a man now on the threshold. Him, crucified by excruciating pain and swept away by an inexorable disease. He was talking to us. He cheered us up. He encouraged us. He spurred us on. He invited us to look at life with the eyes of hope, with the certainty of faith, with joy in our hearts. “Come on, guys! Fear not! Do not be afraid! The cross? It’s a temporary accommodation! “

Even now, writing, I cannot help being moved.

The last farewell, on the day of the funeral. The celebration was organized outdoors, on the harbor.

Mons. Mariano Magrassi OSB, Archbishop of Bari-Bitonto and president of the CEP presided over the function, concelebrants all the Apulian bishops and other bishops, dozens and dozens of priests and about fifty thousand people. In the video I reproduce, the famous prayer of Don Tonino “Give me, Lord, a spare wing” was transmitted, which was set to music and sung for the first time during this celebration (9). I remember the final procession, the song touched the soul. I had set out to hold back the emotions and I was trying to do it. But when we went on, I looked up: women, men, young people, children, old people, simple people and distinguished people, all, without exception, were broken in tears. A people who mourned their shepherd, their father, their friend, their brother. I too could not help myself. In front of this scene the emotion took me from within and I burst into tears, participating in this sincere tribute. He had left us a man, a pastor, a bishop who had spoken to the hearts of the people, without distinction, with passion, love, benevolence and evangelical freshness. He was not only a writer but a great speaker and his writings and his interventions, transcribed, occupy eight volumes (10).

In the years that followed, I had the opportunity to meet and listen to the precious testimonies of others who met him in person and knew him.

It is truly an ever new and continuous discovery.

Pope Francis himself wished to remember him with his visit (11).

I am sure that his testimony will continue to make many people fall in love, believers and non-believers, because a true man, a man who dedicated and gave his life, giving a deep sense of gratitude and hope, speaking to hearts and proposing himself, even after the episcopal election, as he did: “don’t call me your Excellency, Monsignor Antonio Bello. I will always be Don Tonino for everyone ”. And his eyes spoke. One look was enough for him.

(1) Don Tonino Foundation https://www.fondazionedontonino.it/

(2) Cf. Mt 19, 23-30.

(3) Each other’s feet https://www.dontoninobello.info/as2-356/

(4) Audiant et laetentur https://www.conoscidontonino.it/audiant-et-laetentur/

(5) Assembly of the “Blessed are the builders of Peace”, Arena di Verona, 20-22.02.1986 https://www.youtube.com/watch?v=8ZQ24suxmuU

(6) Cf.Is 2: 1-5

(7) Don Tonino, the “uncomfortable” words of a free man – Vatican Newshttps: //www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-04/tonino-bello-papa-francesco-alessano-molfetta-visita -words.html

(8) Conversation with his brother Trifone Bello https://www.youtube.com/watch?v=UkDdTnzKflA

(9) Molfetta-funeral of Don Tonino Bello

(10) https://www.dontoninobello.info/

(11) https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-molfetta-don-tonino-bello The Pope: Don Tonino help us to be “Church of the apron” (avvenire.it)

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DON TONINO BELLO E LO SGUARDO DELL’ANIMA

Pubblicato su https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/don-tonino-bello-e-lo-sguardo-dellanima/

http://www.parrocchiemarrubiu.it/modules.php?modulo=mkNews&idcontent=1869

Gli occhi sono lo specchio dell’anima”.

Citando la famosa frase di Platone nel Fedro, non posso negare, a ventotto anni dalla nascita al Cielo del vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi don Tonino Bello (1) che questo sia valso senz’altro per lui.

Ho avuto il privilegio di conoscerlo di persona e, dato che gli amici mi hanno invitato più volte a tramettere i miei ricordi, provo a condividerli con voi.

Ricordo ancora la prima volta che lo conobbi, anche se non di persona.

Ero appena sceso dalla corriera nella cittadina barese, alla ricerca di un sacerdote che avrei dovuto incontrare. Senza che ne fossi a conoscenza, mi trovai con una scena alquanto singolare: una processione solenne cittadina d’ingresso nella cattedrale, giacché quel giorno si celebrava il patrono san Corrado. Mi ritrovai, senza averlo programmato, ad entrare e a partecipare con gli altri fedeli, chiesa gremita, alla celebrazione.

Ricordo ancora la passione che questo vescovo trasmetteva nella sua omelia, parlava davvero “dall’anima”: si trattava del brano evangelico che parla dell’incapacità per un ricco di entrare nel regno dei Cieli, “sarebbe più facile per un cammello entrare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei Cieli” (2).

Don Tonino era francescano come terziario e profondamente attento “al potere dei segni”, più che “ai segni del potere” e le sue catechesi sulla lavanda dei piedi da parte di Gesù, con quell’unico paramento che si sia concesso, il grembiule del servizio, sono una meravigliosa esternazione, dal cuore, delle sue scelte (3).

Come vescovo, aveva scelto il motto da un versetto del Salmo 34: “Ascoltino gli umili e si rallegrino” (4); la croce pettorale non in oro ma in legno di ulivo della sua terra, l’amato Salento; l’anello episcopale ottenuto dalle fedi dei genitori. Girava con una vecchia cinquecento gialla. Sempre disponibile e alla mano, al punto di scendere ad aprire il portone di persona quando qualcuno citofonava in episcopio.

Questa abitudine non la perse fino a quando le forze glielo permisero.

Il primo incontro personale con lui: mi trovai a partecipare a una cena, suoi ospiti in episcopio, quaranta giovani, e lì non mancava chi prendeva la parola, lo riempiva di domande e tutti ascoltavamo ammirati le sue risposte, un vescovo così “alla mano” era insolito trovarlo.

Personalmente, non mi andava di intervenire, erano tutti entusiasti e molti lo facevano, io rimasi in silenzio, in ascolto, un po’ defilato, gioioso come tutti di questa accoglienza e di questo clima di fraternità.

Al temine della cena don Tonino ci volle accompagnare non all’uscio ma giù per le scalinate dell’episcopio fin sulla strada. Ancora una volta, eravamo in gruppo e continuavano gli interventi, non avremmo voluto lasciarlo, avviene come quando con un caro amico il tempo vola velocemente. A un certo punto, senza che me ne rendessi conto, mi si avvicina, mi fissa negli occhi e mi chiede: “Come ti chiami?” Io rimango incredulo: “Alessandro!”. Non ricordo cosa abbia aggiunto, qualche parola affettuosa, quale quella di un buon padre. Mi colpì il suo gesto. Don Tonino si era accorto della mia silenziosità, della decisione di rimanere quasi nascosto, per lasciare spazio ad altri, visto che tutti erano entusiasti di riempirlo di domande.

Era un pastore attento alle persone, entusiasta ed appassionato, con una parola che toccava il cuore.

Oltre al suo ministero episcopale, alla sua attenzione per tutti e per gli ultimi, altra grande testimonianza fu quella del suo impegno per la pace.

Come vescovo presidente nazionale dell’associazione Pax Christi furono memorabili tanti suoi interventi, tra i quali quel discorso appassionato, “In piedi costruttori di pace” (5).

Un magistero deciso. Non posso dimenticare una intervista che lo vide in trasmissione in Rai, erano i giorni del primo conflitto contro l’Iraq, quello dovuto all’invasione del Kuwait. Tutti giustificavano l’intervento armato, dovuto alla violazione di ogni diritto internazionale. Egli, voce nel deserto, si pronunciava con passione contro l’embargo, misura che si sarebbe abbattuta contro le popolazioni civili, citando con piglio quasi profetico la visione di Isaia che contempla le spade trasformarsi in vomeri e le lance in falci (6). Sembrava uscito da un altro mondo, una voce che parla a chi non la può capire, come quello che è toccato a tutti i profeti biblici (7).

La passione di don Tonino per la causa della pace vide la sua pagina più alta quando il vescovo, ormai minato dalla malattia, non volle mancare nel partecipare alla “spedizione” organizzata da “Beati i costruttori di pace” che portò 500 persone, partite con la nave da Ancona a Split, a portare solidarietà, speranza e un annuncio per la pace al centro di Sarajevo, durante il conflitto Serbo-Croato-Bosniaco, a rischio della vita per la presenza di cecchini. Fu un avvenimento completamente taciuto dai media, e don Tonino pubblicò il suo diario di quei giorni, con ricordi memorabili, sulle pagine de Il Manifesto (8).

Il male lo aveva consumato e costretto a letto. Fu detto che don Tonino non poteva più ricevere visite, come era uso fare, ad ogni ora del giorno, quando alcuni andavano a trovarlo. La malattia non permetteva di decidere e programmare quando egli fosse stato in grado di ricevere, ricordo che qualcuno informò che se fosse stato possibile chi lo desiderava poteva essere chiamato per andare a salutarlo. Così mi ritrovai nella sua stanza.  Quel pomeriggio saremmo stati 40 o 50 persone, tra laici, seminaristi del corso, preti celebranti; tante persone riunite in piedi in quella stanza da letto. Don Tonino partecipava alla celebrazione della Messa allettato, rivestito della stola al collo, la celebrazione veniva portata avanti dagli altri celebranti. Ma al momento dell’omelia volle prendere la parola e riprese quell’episodio da lui raccontato, che è diventato celeberrimo, della “Croce come sistemazione provvisoria”. Nel racconto egli narrò di essersi recato in visita pastorale da un suo parroco. Durante la visita aveva notato che in un angolo della sacrestia si trovava un antico crocifisso ligneo, rimosso dal suo posto a causa di alcuni lavori in corso. Accanto al crocifisso un cartello con una scritta: “Sistemazione provvisoria”. Don Tonino ebbe un sussulto, si rivolse deciso al parroco: “Quella scritta non la devi togliere, anzi, me la devi incorniciare!”

E da questo episodio costruì il suo annuncio che quel pomeriggio attualizzava con noi.

“Ragazzi, non vi preoccupate! La croce? È una sistemazione provvisoria! Quanto si sta in croce? Qualche ora? Ma, dopo, tutto cambia! Le cose si trasformano!”

Parlava con un filo di voce. Il corpo ischeletrito. Il volto scavato, divorato dalla malattia. Ma gli occhi. Gli occhi vivi, penetranti, pieni d’amore. Fissava ciascuno di noi, ci parlava con determinazione, con certezza, con parresia evangelica. Lui, un uomo ormai sulla soglia. Lui, crocifisso da dolori lancinanti e spazzato via da una malattia inesorabile. Parlava a noi. Ci rincuorava. Ci incoraggiava. Ci spronava. Ci invitava a guardare alla vita con gli occhi della speranza, con la certezza della fede, con la gioia nel cuore. “Coraggio, ragazzi! Non temete! Non abbiate paura! La croce? È una sistemazione provvisoria!”

Ancora adesso, scrivendo, non posso evitare di commuovermi.

L’ultimo saluto, il giorno del funerale. La celebrazione fu organizzata all’aperto, sul porto.

Presiedette la funzione Mons. Mariano Magrassi OSB, Arcivescovo di Bari-Bitonto e presidente della CEP, concelebranti tutti i vescovi pugliesi ed altri vescovi, decine e decine di sacerdoti e circa cinquantamila persone. Nel video che riproduco veniva trasmessa la famosa preghiera di don Tonino “Dammi, Signore, un’ala di riserva” che fu musicata e cantata per la prima volta durante questa celebrazione (9). Ricordo la processione finale, il canto toccava l’anima. Io mi ero riproposto di trattenere le emozioni e cercavo di farlo. Ma quando proseguimmo, alzai lo sguardo: donne, uomini, giovani, bambini, anziani, gente semplice e persone distinte, tutti, senza eccezione, erano rotti in pianto. Un popolo che piangeva il suo pastore, il suo padre, il suo amico, il suo fratello. Anch’io non potevo trattenermi. Davanti a questa scena la commozione mi prese da dentro e scoppiai in pianto, partecipe di questo tributo sincero. Ci aveva lasciato un uomo, un pastore, un vescovo che aveva parlato al cuore della gente, senza distinzioni, con passione, amore, benevolenza e freschezza evangelica. Non è stato solo uno scrittore ma un grande oratore e i suoi scritti e i suoi interventi, trascritti, occupano otto volumi (10).

Negli anni che sono seguiti ho avuto occasione di incontrare ed ascoltare le testimonianze preziose di altri che lo hanno incontrato di persona e conosciuto.

È veramente una scoperta sempre nuova e continua.

Lo stesso Papa Francesco ha voluto ricordarlo con la sua visita (11).

Sono certo che la sua testimonianza continuerà a far innamorare tante persone, credenti e non credenti, perché un uomo vero, un uomo che ha dedicato e donato la sua vita, donando un senso profondo di gratitudine e di speranza, parlando ai cuori e proponendosi, anche dopo l’elezione episcopale, come faceva: “non chiamatemi Eccellenza, Monsignor Antonio Bello. Sarò sempre per tutti don Tonino”. E i suoi occhi parlavano. Gli bastava uno sguardo.

(1) Fondazione don Tonino https://www.fondazionedontonino.it/

(2) Cfr. Mt 19, 23-30.

(3) Gli uni i piedi degli altri https://www.dontoninobello.info/as2-356/

(4) Audiant et laetentur https://www.conoscidontonino.it/audiant-et-laetentur/

(5) Assemblea dei “Beati i costruttori di Pace”, Arena di Verona, 20-22.02.1986 https://www.youtube.com/watch?v=8ZQ24suxmuU

(6) Cfr Is 2, 1-5

(7) Don Tonino, le parole “scomode” di un uomo libero – Vatican News https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-04/tonino-bello-papa-francesco-alessano-molfetta-visita-parole.html

(8) Colloquio con il fratello Trifone Bello https://www.youtube.com/watch?v=UkDdTnzKflA

(9) Molfetta-funerali di Don Tonino Bello

(10) https://www.dontoninobello.info/

(11) https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-molfetta-don-tonino-belloIl Papa: don Tonino ci aiuti a essere «Chiesa del grembiule» (avvenire.it)

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SE NON ORA QUANDO?

Pubblicato su http://www.parrocchiemarrubiu.it/modules.php?modulo=mkNews&idcontent=1603

La domanda «Se non ora, quando?» posta oggi da una parte significativa dell’orbe cattolico al Vescovo di Roma non è certamente nuova nella Storia del Cristianesimo.

Penso alla stagione e ai fermenti dei moti per l’Indipendenza dell’Italia con le relative attese cariche di speranze – dovute anche ad alcuni atteggiamenti da parte del pontefice neoeletto che pareva le giustificassero – nutrite dai romani nei confronti dell’ultimo Papa-Re, Giovanni Maria Mastai-Ferretti. Il pontificato di Pio IX, ancora oggi il più longevo della storia della Chiesa Cattolica (31 anni), si trovò a vivere il passaggio dalla presa di Roma – con la breccia di porta Pia – alla stagione in cui egli volle proporsi come «prigioniero in Vaticano». Fu anche il Papa del Sillabo e del Concilio Vaticano I.

Nel secolo trascorso si sono succeduti una serie di Pontificati che hanno lasciato il loro segno.

Dopo Leone XIII con la sua prima Enciclica sociale, la RERUM NOVARUM e Pio X con il quale si è inaugurata la prassi della canonizzazione «quasi dovuta» per chi siede sul soglio di Pietro1, troviamo i pontificati di Benedetto XV, testimone della Grande Guerra e di Pio XI.

Con Pio XII abbiamo avuto una figura ieratica e sacrale, grande personalità e pontefice ancora oggi discusso perché decise di non levare la voce della Chiesa di Roma per denunciare la barbarie della vicenda che con il Nazismo portò alla Shoà e alla Seconda Guerra Mondiale. Ancora oggi sono criticati da molti quei Patti Lateranensi che diedero visibilità a Mussolini e vantaggi al Vaticano, risultando comunque un passo avanti rispetto alla Questione Romana.

Impossibile negare la stagione di rinnovamento e di speranze aperta con Giovanni XXIII il cui seppur breve pontificato ci ha consegnato l’enciclica PACEM IN TERRIS e l’apertura del Concilio Vaticano II.

Paolo VI ebbe il gravoso compito di portare avanti e concludere i lavori del Concilio, di vivere la stagione dei moti del ‘68 e quella del terrorismo culminata con l’uccisione dello statista Aldo Moro; lo si ricorda come una grandissima figura nella Chiesa Cattolica anche per il suo storico incontro con Atenagora. Documenti che portano la sua firma e che ancora oggi purtroppo destano sofferenze e sono stati motivo per non poche defezioni, sono la SACERDOTALIS CÆLIBATUS e l’HUMANÆ VITÆ.

Dopo l’alba luminosa e il subitaneo smarrimento per la scomparsa di Giovanni Paolo I, abbiamo avuto con Giovanni Paolo II, il secondo pontificato più lungo della storia (26 anni), che rimarrà nella stessa per gli eventi del Crollo del muro di Berlino e il dissolvimento del «Comunismo reale», per la «fabbrica industriale» dei Santi, per i viaggi apostolici nei cinque Continenti, per la stagione delle GMG, per l’incontro delle Religioni ad Assisi, per la sovraesposizione mediatica e infine per l’atroce malattia che lo ha consumato.

«Santo subito»: e così è stato.

Eppure su questo pontificato pesa la scelta di una lotta personale e motivata contro il Comunismo e al contempo un’alleanza con l’amministrazione Reagan che portò al finanziamento di Solidarnosc e, soprattutto, alla scelta drammatica di smantellare tutti i fermenti della Teologia della Liberazione e delle CEB in America Latina, al punto che oggi in Brasile e nelle altre nazioni sudamericane il Cattolicesimo vive un’emorragia, esponenziale e inarrestabile, di cattolici che passano ad altre Chiese.

Anche il pontificato di Benedetto XVI, inscindibilmente collegato a quello del suo predecessore, ha vissuto non poche traversie, culminate con la scelta storica delle dimissioni.

Agli occhi di diversi teologi gli ultimi due pontificati si sono posti in maniera «frenante» rispetto alle proposte e ai possibili sviluppi che il Concilio Vaticano II stesso prospettava.

Ora la gestione di Roma è nelle mani del «Papa venuto dall’altra parte del mondo».

Premessa l’esistenza di una considerevole parte del mondo cattolico che rema contro l’attuale Pontefice e vistosamente muove contro di lui una guerra spietata, dipingendolo come un massone, un idolatra, un eretico, un papa illegittimo e infine come il precursore stesso dell’Anticristo, che viene definita fazione dei «tradizionalisti», pronta a di esprimersi contro ogni sua uscita, la nostra attenzione è rivolta invece verso quei cattolici che si pongono da una prospettiva diametralmente opposta a quella dei nostalgici di un “Papa-re”.

Ed è da questi che sale la domanda, che riassumo nel titolo di questa riflessione: «Se non ora, quando?».

Quando la Chiesa cattolica, dopo aver individuato la diagnosi di uno dei mali più radicati da cui si riconosce affetta, quello del clericalismo2 con le sue nefaste conseguenze, si impegnerà a predisporre una cura adeguata, riconoscendo che non si può curare un tumore con l’aspirina e, evangelicamente parlando, ammettendo che potrebbe essere necessario effettuare potature e tagli (cfr. Gv 15, 1-8; Mc 9, 43-49) che la stessa forse non dovrebbe più procrastinare e rimandare? Quando realizzerà che queste sono operazioni necessarie che, se negate, la condurrebbero alla morte?

Quando riconoscerà che il clericalismo non si esaurisce in semplice tentazione e deviazione di soggetti corrotti ma si rivela meccanismo connaturato e favorito dalla impostazione della struttura gerarchica stessa (monarchica-piramidale-clericocentrica)? In essa la componente del clero è l’unica investita del munus gubernandi, mentre alla componente laicale è assegnata una funzione meramente consultiva (purtroppo, non poche volte, neanche considerata).

Solo il riconoscimento di simile realtà potrà considerare come la «separazione»3 del clero dal resto dei battezzati di fatto non si realizza in un totalizzante servizio di minorità (ministero← minus stare) (cfr. Lc 17, 7-10) ma purtroppo spesso si trasforma, rivestendosi, secondo l’osservazione del Popolo di Dio, dei contorni antievangelici del potere, del dominio (la signoria propria del dominus) e, nel peggio, della prevaricazione, dell’autoreferenzialità, del narcisimo, dell’individualismo e della vanagloria.

Un Papa che, come detto, davanti al dramma degli scandali già violentemente emersi durante il pontificato del predecessore, quelli della pedofilia e di quanti altri abusi registrati e riferiti ad una parte del clero, si è rivolto con un accorato appello al Popolo di Dio con la sua Lettera il 20.08.2020 denunciando i danni del clericalismo viene atteso alla prova dei fatti.

Se non ora, quando?

Quando la Chiesa Cattolica considererà la necessità di una radicale riforma teologica e strutturale che riveda il bilanciamento dei poteri decisionali, ridistribuendoli alla componente laicale rispetto a quella clericale e, in particolare, dando nuovo e significativo spazio alla presenza e al ministero delle donne? Quando si potrà dare spazio all’ordinazione dei viri probati e all’accesso al diaconato per le donne? Quando i massimi organismi della vita partecipativa ecclesiali, quelli dei Sinodi, potranno riconoscere diritto di voto oltre che di partecipazione ai massimi livelli alla componente laicale e alla componente femminile (sia in quota laicale che in quota di vita consacrata)?

Al momento sembra di poter registrare due linee direttrici nella strategia e nelle intenzioni del Vescovo di Roma.

La prima è quella che, de facto, si pone come non ricettiva di questi imput provenienti da una base composita di movimenti che chiedono una riforma radicale dell’istituzione, fondata sulla esigenza di trovare una soluzione al male, denunciato da Francesco, che è definito con il termine di clericalismo.

La seconda, quella che definirei significativa e al tempo stesso necessaria da cogliere, è quella che, fin dai primi passi del suo ministero, pare indicare e voler condurre la Chiesa oltre se stessa e i credenti fuori dal recinto dei luoghi deputati alla vita intraecclesiale.

Veniamo alla prima linea direttrice.

Il Vescovo di Roma, fin dai suoi primi passi, si sta sforzando di correggere la direzione della gestione della Santa Sede secondo un intento riformatore e, allo stesso tempo, in qualche maniera collegiale. Tale significato avrebbe nelle sue intenzioni il lavoro di un gruppo ristretto di nove cardinali chiamati a collaborare con lui per affrontare in agenda tutte le questioni che riguardano la gestione della Chiesa Cattolica.

Pare che egli ritenga che sia importante che le indicazioni ecclesiali siano gestite e disciplinate da ciascuna Conferenza Episcopale nazionale e regionale con un’autonomia decisionale maggiore di quella che al momento viene loro riconosciuta.

Egli poi sta cercando di incaricare vari laici nella gestione di alcuni uffici nelle varie Congregazioni vaticane.

Al di là dei tentativi e degli ostacoli registrati nella proposta di qualsiasi novità, e considerando naturalmente che il ruolo dei laici e delle donne nella Chiesa cattolica è ancora lontano dall’aver ricevuto un riconoscimento che non sia di facciata ma si traduca in gestione partecipata della funzione di governo, pare evidente che Francesco non intenda causare un qualche strappo con la componente più refrattaria e reazionaria, prediligendo l’auspicio per una maturazione diffusa da parte dei singoli vescovi e delle varie Conferenze Episcopali (in ordine alla sua proposta per una “Chiesa in uscita”), piuttosto che una qualche radicale riforma calata dall’alto da Pietro.

Due eventi tra tutti: le premesse della esortazione apostolica post-sinodale QUERIDA AMAZONIA, dove il vescovo di Roma, pur non presentando riforme auspicate e richieste dai padri sinodali (fra queste l’apertura ai viri probati), afferma che il suo documento non vuole chiudere a possibili riforme ma deve essere considerato solo come una proposta, rimandando al Documento conclusivo sinodale che egli non vuole né sostituire né ripetere4.

Altro passaggio significativo, come ho rilevato nel mio articolo sulle omelie di Francesco a Santa Marta durante il lockdown5, a mio modo di vedere è stata l’immagine iconica della “Chiesa come un fiume”6 in cui ogni corrente avrebbe diritto di cittadinanza. Francesco si è espresso altre volte a sfavore di qualsiasi processo che sia generativo di esperienze scismatiche che portano ancora oggi alla divisione. Dunque, egli preferisce non rispondere agli appelli molteplici che gli vengono mossi in ordine ad una riforma radicale e strutturale della Chiesa Cattolica, laddove ritenga che i tempi non siano maturi (ma qui è lecito domandarsi: “se non ora quando?” ossia: quando lo saranno?) o, più semplicemente, se questo dovesse comportare il rischio di un qualche scisma, paventato dalla componente più oltranzista della Chiesa Cattolica.

Veniamo ora alla seconda direttrice, quella che mi sembra caratterizzare questo ministero petrino fin dai suoi esordi e che, indubbiamente, miete consensi e plausi in gran parte del mondo extra-ecclesiale.

Francesco pone l’accento su questioni e su argomenti che vanno oltre le tematiche esclusivamente proprie alle coordinate del credente, rivolgendosi a tutti e confidando, naturalmente, in uno “passaggio di prospettiva” da parte dei credenti stessi.

Con le due ultime encicliche, la LAUDATO SI’ e la FRATRES OMNES, insieme all’esortazione apostolica post-sinodale QUERIDA AMAZONIA, egli sposta l’orizzonte dalle dinamiche ecclesiali ed intra ecclesiali per allargarlo alle questioni che riguardano l’intero globo terrestre, richiamando l’attenzione propria dei grandi documenti del Magistero Sociale della Chiesa.

E spazia in temi non nuovi a tale Magistero: i diritti dei popoli a partire dalla denuncia dello sfruttamento degli ultimi e dei poveri della Terra, dagli indios amazzonici agli abitanti di qualsiasi periferia della storia, lo scandalo globale costituito dai meccanismi dello scarto e dai disastri provocati da una globalizzazione che si fa promotrice di pochi e aguzzina per molti, l’appello alla promozione di una fraternità sociale da riscoprire, la questione ecologica con il dramma della casa comune che stiamo distruggendo; questi sono solo alcuni tra i temi che ci indirizzano verso la condivisione di un appello che il Vescovo di Roma rivolge a tutti in maniera insistente.

In gioco non c’è il futuro della Chiesa di Roma. C’è il futuro dell’umanità e della vivibilità dello stesso pianeta Terra.

Cogliere queste indicazioni non significherebbe rinunciare alla contemporanea richiesta rivolta da molti a Francesco, inerente una riforma radicale in seno alla Chiesa di Roma; significherebbe realizzare una ulteriorità di prospettive che il Signore stesso presentò ai suoi seguaci prima di consegnarli alla loro missione.

Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: “Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele? ”. Ma egli rispose: “Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”. (At 1, 1-11)

Se non ora quando?

Continuiamo a lavorare e pregare per necessarie riforme interne alla Chiesa Cattolica.

Al tempo stesso, non lasciamoci sfuggire le indicazioni e i continui appelli che il Vescovo di Roma rivolge a tutti noi con il suo Magistero.

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1 RUSCONI R., Santo Padre. La santità del papa da san Pietro a Giovanni Paolo II, Viella, 2010

2 Lettera del Santo Padre Francesco al Popolo di Dio (20 agosto 2018) http://w2.vatican.va/content/ francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20180820_lettera-popolo-didio.html

3 CONCILIO VATICANO II, Decreto Presbyterorum Ordinis, http://www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decree_19651207-presbyterorum-ordinis_it.html

4 FRANCESCO, Esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia http://www.vatican.va/content/ francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_ esortazione-ap_20200202_querida-amazonia.html

5 Alessandro Manfridi, Due mesi a Santa Marta, https://www.alessandromanfridicostruttoridiponti.com/2020/09/04/due-mesi-a-santa-marta/

6 FRANCESCO, Tutti abbiamo un unico Pastore: Gesù, 4 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200504_cristo-unicopastore.html

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Costruttori di ponti Giustizia e solidarietà Globalizzazione dell'indifferenza Il mondo al tempo del COVID-19

DUE MESI A SANTA MARTA

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http://www.settimananews.it/papa/celebrare-con-francesco/

Sono state 64 le celebrazioni eucaristiche del Vescovo di Roma trasmesse in diretta dalla cappella di Santa Marta, dal 9 marzo al 17 maggio 2020.

Per sua esplicita volontà, queste celebrazioni che dall’inizio del suo ministero hanno realizzato un incontro di carattere familiare con un numero ristretto di fedeli che vi hanno preso parte (migliaia in questi anni) e che non aveva mai voluto rendere pubbliche in maniera integrale e diretta, sono state invece in questo periodo aperte a tutti coloro che volessero prenderne parte attraverso il collegamento streaming trasmesso dai Media vaticani alle varie reti con esse collegate.

In tal modo il Papa ha inteso manifestare la sua vicinanza «agli ammalati di questa epidemia di coronavirus, per i medici, gli infermieri, i volontari che aiutano tanto, i familiari, per gli anziani che stanno nelle case di riposo, per i carcerati che sono rinchiusi»1.

Questo appuntamento, coinciso con un tempo significativo quale quello che ogni anno la liturgia propone con il cammino quaresimale prima e con il tempo pasquale poi, è stato condiviso in un contesto tanto critico quanto inaspettato quale quello della pandemia e del conseguente isolamento forzato dovuto al lockdown.

Partendo da un contesto determinato quale quello delle omelie che spiegano le letture bibliche della liturgia eucaristica, Francesco ha trasmesso tanti contenuti, indicazioni, suggestioni ed esortazioni, che sono stati accolti ed apprezzati non solo da coloro che si sono collegati sulla rete o via TV. In diretta ma anche da chi ne è venuto a conoscenza grazie ai media e ai TG che in quei giorni riportavano alcune riflessioni trasmesse da Santa Marta.

Proviamo a riprendere qualcuno di questi passaggi che crediamo sia importante accogliere e sviluppare.

Quali sono stati gli argomenti più apprezzatati in questi due mesi a Santa Marta?

Scorrendo tutte le omelie abbiamo rilevato i vocaboli che sono apparsi in più di una omelia e abbiamo registrato 106 voci tra queste.

I termini che maggiormente compaiono – prescindendo dai nomi: Figlio, Padre e Spirito Santo – sono le parole diavolo (in nove omelie), Chiesa (10), Legge (10), peccato (12), cuore (16), popolo di Dio (17) ; abbiamo inoltre unito i vocaboli fede, fidarsi, fedeltà, credere, fiducia constatando la loro ricorrenza in 21 omelie.

Quale sono le indicazioni che emergono per chi vive l’impegno della fede?

La fede va trasmessa, va offerta ma senza cadere nella tentazione di alcun proselitismo: le vie sono la testimonianza e il servizio; la veste quella dell’umiltà. Ogni proselitismo sfocia in una corruzione2.

A riguardo dell’attuazione della testimonianza della fede Francesco asserisce:

Tu puoi fare una struttura ospedaliera, educativa di grande perfezione, di grande sviluppo, ma se una struttura è senza testimonianza cristiana, il tuo lavoro lì non sarà un lavoro di testimone, un lavoro di vera predicazione di Gesù: sarà una società di beneficenza, molto buona – molto buona! – ma niente di più 3.

Queste parole paiono una risposta a tutti coloro che accusano il vescovo di Roma di promuovere una visione che trascurerebbe il primato della fede con la proposta della Chiesa come “ospedale da campo”. Francesco invita ad essere guardinghi e a fondare l’impegno della predicazione della fede sul binomio testimonianza e preghiera.

La fede si caratterizza nella concretezza che si delinea nei suoi vari aspetti: la concretezza della verità, la concretezza dell’umiltà, la grazia della semplicità 4.

Il servizio è il tratto peculiare presente nella “carta d’identità” del seguace di Gesù ed è questo stile che porta a costruire ed edificare secondo la chiamata della elezione, come trasmesso nell’omelia del martedì della Settimana Santa. Fondamentale la perseveranza nel servizio5.

I concetti biblici di elezione, promessa e alleanza sono ricordati nell’omelia del 2 aprile.6

Afferma inoltre Francesco: guai invece, agli ipocriti e ai corrotti. Dio infatti

ai corrotti non perdona, semplicemente perché il corrotto è incapace di chiedere perdono, è andato oltre. Si è stancato … no, non si è stancato: non è capace. La corruzione gli ha tolto anche quella capacità che tutti abbiamo di vergognarci, di chiedere perdono. No, il corrotto è sicuro, va avanti, distrugge, sfrutta la gente, come questa donna, tutto, tutto … va avanti. Si è messo al posto di Dio7.

Uno degli atteggiamenti più deleteri e distruttivi, opposti al messaggio evangelico, è quello della mormorazione, della lamentela, del chiacchiericcio, che diviene un vero e proprio linciaggio sociale, arrivando a capovolgere la verità con calunnie e notizie false che, se diffuse, trascinano le masse, sfociando anche in forme di violenza cruenta.

Oltre agli esempi di Gesù e di Stefano e dei martiri cristiani di ogni epoca, abbiamo il dramma contemporaneo della Shoà8.

Davanti a questa situazione letale, che si caratterizza con un accanimento distruttivo, l’esempio trasmesso a noi da Gesù è quello del coraggio di tacere: contrapporre all’accanimento soltanto il silenzio, mai la giustificazione9.

Le prevaricazioni umane non si fermano alla mormorazione e all’accanimento che porta alla violenza fisica ma sono tragicamente attualizzate da ogni forma di ingiustizia che travalica le singole società per assumere dimensioni universali.

Magistrale a riguardo è l’omelia del mercoledì Santo con la lettura del tradimento accostata alla vendita del nostro prossimo.

Quando noi pensiamo al fatto di vendere gente, viene alla mente il commercio fatto con gli schiavi dall’Africa per portarli in America – una cosa vecchia – poi il commercio, per esempio, delle ragazze yazide vendute a Daesh: ma è cosa lontana, è una cosa … Anche oggi si vende gente. Tutti i giorni. Ci sono dei Giuda che vendono i fratelli e le sorelle: sfruttandoli nel lavoro, non pagando il giusto, non riconoscendo i doveri … Anzi, vendono tante volte le cose più care. Io penso che per essere più comodo un uomo è capace di allontanare i genitori e non vederli più; metterli al sicuro in una casa di riposo e non andare a trovarli … vende. C’è un detto molto comune che, parlando di gente così, dice che “questo è capace di vendere la propria madre”: e la vendono. Adesso sono tranquilli, sono allontanati: “Curateli voi …”.

Oggi il commercio umano è come ai primi tempi: si fa. E questo perché? Perché: Gesù lo ha detto. Lui ha dato al denaro una signorìa. Gesù ha detto: “Non si può servire Dio e il denaro” (cf.Lc. 16,13), due signori. È l’unica cosa che Gesù pone all’altezza e ognuno di noi deve scegliere: o servi Dio, e sarai libero nell’adorazione e nel servizio; o servi il denaro, e sarai schiavo del denaro. Questa è l’opzione; e tanta gente vuole servire Dio e il denaro. E questo non si può fare. Alla fine fanno finta di servire Dio per servire il denaro. Sono gli sfruttatori nascosti che sono socialmente impeccabili, ma sotto il tavolo fanno il commercio, anche con la gente: non importa. Lo sfruttamento umano è vendere il prossimo… da rubare a tradire c’è un passo, piccolino. Chi ama troppo i soldi tradisce per averne di più, sempre: è una regola, è un dato di fatto10.

Basti pensare alle ingiustizie che negano la dignità dell’uomo imponendo condizioni di lavoro che sono vere e proprie situazioni di schiavitù11.

Tocca le coscienze l’omelia del 6 aprile:

Questa storia dell’amministratore non fedele è sempre attuale, sempre ce ne sono, anche a un alto livello: pensiamo ad alcune organizzazioni di beneficenza o umanitarie che hanno tanti impiegati, tanti, che hanno una struttura molto ricca di gente e alla fine arriva ai poveri il quaranta percento, perché il sessanta è per pagare lo stipendio a tanta gente. È un modo di prendere i soldi dei poveri. Ma la risposta è Gesù. E qui voglio fermarmi: “I poveri infatti li avete sempre con voi” (Gv. 12,8). Questa è una verità: “I poveri infatti li avete sempre con voi”. I poveri ci sono. Ce ne sono tanti: c’è il povero che noi vediamo, ma questa è la minima parte; la grande quantità dei poveri sono coloro che noi non vediamo: i poveri nascosti. E noi non li vediamo perché entriamo in questa cultura dell’indifferenza che è negazionista e neghiamo: “No, no, non ce ne sono tanti, non si vedono; si, quel caso …”, diminuendo sempre la realtà dei poveri. Ma ce ne sono tanti, tanti.

O anche, se non entriamo in questa cultura dell’indifferenza, c’è un’abitudine di vedere i poveri come ornamenti di una città: sì, ci sono, come le statue; sì, ci sono, si vedono; sì, quella vecchietta che chiede l’elemosina, quell’altro … Ma come se fosse una cosa normale. È parte dell’ornamentazione della città avere dei poveri. Ma la grande maggioranza sono i poveri vittime delle politiche economiche, delle politiche finanziarie. Alcune recenti statistiche fanno il riassunto così: ci sono tanti soldi in mano a pochi e tanta povertà in tanti, in molti. E questa è la povertà di tanta gente vittima dell’ingiustizia strutturale dell’economia mondiale. E ci sono tanti poveri che provano vergogna di far vedere che non arrivano a fine mese; tanti poveri del ceto medio, che vanno di nascosto alla Caritas e di nascosto chiedono e provano vergogna. I poveri sono molto più [numerosi] dei ricchi; molto, molto … E quello che dice Gesù è vero: “I poveri infatti li avete sempre con voi”. Ma io li vedo? Io me ne accorgo di questa realtà? Soprattutto della realtà nascosta, coloro che provano vergogna di dire che non arrivano a fine mese12.

La disponibilità a partecipare alle sofferenze di coloro che sono stati colpiti da questa pandemia13, deve aprire la nostra riflessione sui fratelli sofferenti per tante altre pandemie come quella della fame nel mondo14.

Che questa esperienza di pandemia diventi dunque un’occasione per ridefinire le nostre opzioni e non ricadere in quella che viene definita nostalgia del sepolcro:

Anche oggi, davanti alla prossima – speriamo che sia presto – prossima fine di questa pandemia, c’è la stessa opzione: o la nostra scommessa sarà per la vita, per la resurrezione dei popoli o sarà per il dio denaro: tornare al sepolcro della fame, della schiavitù, delle guerre, delle fabbriche delle armi, dei bambini senza educazione … lì c’è il sepolcro15.

Indubbiamente quella della pandemia è una esperienza di crisi sociale, come tanti altri possono essere i tempi di crisi: matrimoniali, familiari, lavorativi. Come reagire nei momenti di crisi?

Nella mia terra c’è un detto che dice: “Quando tu vai a cavallo e devi attraversare un fiume, per favore, non cambiare cavallo in mezzo al fiume”. [] È il momento della fedeltà, della fedeltà a Dio, della fedeltà alle cose [decisioni] che noi abbiamo preso da prima. È anche il momento della conversione, perché questa fedeltà sì, ci ispirerà qualche cambiamento per il bene, non per allontanarci dal bene16.

Qual’è il ruolo del popolo di Dio, termine più ricorrente, forse non a caso, in queste omelie a Santa Marta?

Il cristianesimo non è solo un’etica, non è solo un’élite di gente scelta per testimoniare la fede.

Il credente deve sperimentare il fiuto e vivere la memoria di appartenere al popolo di Dio. Acquisire una coscienza di popolo:

Quando manca questo vengono i dogmatismi, i moralismi, gli eticismi, i movimenti elitari. Manca il popolo17.

Una delle immagini che rimarrà più impressa in questo ciclo di omelie è quella della Chiesa come un fiume nel quale hanno diritto di presenza tutte le diverse correnti.

Riteniamo sia questa un’asserzione decisa in risposta a tutti coloro che rivendicano pretese ai limiti dello scisma o lamentano l’impossibilità della coabitazione di anime diverse, tradizionaliste o progressiste che siano.

Qui Francesco continua a ricordare che l’opera della divisione, della frammentazione tra partiti (io sono di Paolo, io sono di Apollo…) si presenta come una vera e propria malattia per la Chiesa.

La Chiesa è come un fiume, sai? Alcuni sono più da questa parte, alcuni dall’altra parte, ma l’importante è che tutti siano dentro al fiume”. Questa è l’unità della Chiesa. Nessuno fuori, tutti dentro. Poi, con le peculiarità: questo non divide, non è ideologia, è lecito. Ma perché la Chiesa ha questa ampiezza di fiume? È perché il Signore vuole così18.

Chiudiamo questo ventaglio di citazioni con la significativa omelia del 18 marzo in cui Francesco ci ricorda che

Il nostro Dio è il Dio della vicinanza, è un Dio vicino, che cammina con il suo popolo.[] L’uomo rifiuta la vicinanza di Dio, lui vuole essere padrone dei rapporti e la vicinanza porta sempre con sé qualche debolezza.[] Il “Dio vicino” si fa debole, e quanto più vicino si fa, più debole sembra[]

Il nostro Dio è vicino e chiede a noi di essere vicini, l’uno all’altro, di non allontanarci tra noi. E in questo momento di crisi per la pandemia che stiamo vivendo, questa vicinanza ci chiede di manifestarla di più, di farla vedere di più. Noi non possiamo, forse, avvicinarci fisicamente per la paura del contagio, ma possiamo risvegliare in noi un atteggiamento di vicinanza tra noi: con la preghiera, con l’aiuto, tanti modi di vicinanza. E perché noi dobbiamo essere vicini l’uno all’altro? Perché il nostro Dio è vicino, ha voluto accompagnarci nella vita. È il Dio della prossimità. Per questo, noi non siamo persone isolate: siamo prossimi, perché l’eredità che abbiamo ricevuto dal Signore è la prossimità, cioè il gesto della vicinanza19.

A qualche mese dall’inizio della pandemia rileggere le parole di Francesco risulta una occasione preziosa per dare un senso agli avvenimenti e spronare ciascuno alla costruzione di un mondo migliore.

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1 Vatican News, La vicinanza del Papa: Messa di Santa Marta in diretta ogni giorno, in https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2020-03/coronavirus-papa-francesco-messa-santa-marta-ogni-giorno.html

2 Cfr. FRANCESCO, La fede va trasmessa, va offerta, soprattutto con la testimonianza, 25 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200425_testimoniare-lafede-conlavita.html

3 ID., Senza testimonianza e preghiera non si può fare predicazione apostolica, 30 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200430_testimonianza-e-preghiera.html

4 Cfr. ID., La concretezza e la semplicità dei piccoli, 29 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200429_laconcretezza-dellaverita.html

5 Cfr. ID., Perseverare nel servizio, 7 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200407_perseverare-nelservizio.html

6 Cfr. ID., Le tre dimensioni della vita cristiana: elezione, promessa, alleanza, 2 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200402_letre-dimensioni-dellavita.html

7 ID., Fidarsi della misericordia di Dio, 30 marzo 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200330_pregare-peril-perdono.html

8 Cfr. ID., Il piccolo linciaggio quotidiano del chiacchiericcio, 28 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200428_laverita-dellatestimonianza.html

9 Cfr. ID., Il coraggio di tacere, 27 marzo 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200327_ilcoraggio-ditacere.html

10 ID., Giuda, dove sei?, 8 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200408_tra-lealta-e-interesse.html

11 Cfr. ID., Il lavoro è la vocazione dell’uomo, 1 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200501_illavoro-primavocazione-delluomo.html

12 ID., Cercare Gesù nel povero, 6 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200406_la-poverta-nascosta.html

13 Cfr. ID., La domenica del pianto, 29 marzo 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200329_lagrazia-dipiangere.html

14 Cfr. ID., Giorno di fratellanza, giorno di penitenza e preghiera, 14 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200514_giornodi-fratellanza-penitenza-preghiera.html

15 ID., Scegliere l’annuncio per non cadere nei nostri sepolcri, 13 aprile 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200413_annunciare-cristo-vivoerisorto.html

16 ID., Imparare a vivere i momenti di crisi, 2 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200502_lecrisi-occasioni-diconversione.html

17 ID., Essere cristiani è appartenere al popolo di Dio, 7 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200507_consapevoli-diessere-popolodidio.html

18 ID., Tutti abbiamo un unico Pastore: Gesù, 4 maggio 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200504_cristo-unicopastore.html

19 ID., Il nostro Dio è vicino e ci chiede di essere vicini l’uno all’altro, 18 marzo 2020, in http://www.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200318_pergli-operatorisanitari.html

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Costruttori di ponti

VISION COSTRUTTORI DI PONTI

Pubblicato su http://www.parrocchiemarrubiu.it/modules.php?modulo=mkNews&idcontent=1546

L’immagine del ponte richiama alla sua funzione: unire, collegare, permettere la comunicazione, oltrepassare gli ostacoli, innalzarsi sopra di essi, permettere di proseguire un percorso, condurre a conoscere ciò che c’è oltre gli ostacoli, favorire l’incontro superando una situazione iniziale di separazione.

Queste caratteristiche sono preziose ed importanti, e insieme con la bellezza di tante costruzioni opera dell’uomo che si ergono sulle asperità del paesaggio naturale, questa immagine diviene ispirazione per un approccio ad ogni situazione che coinvolge le relazioni umane e metodo per ricercare soluzioni costruttive ad ogni questione.

Costruttori di ponti.

Siamo diversi, per cultura, formazione, mentalità, stili di vita, opinioni.

Donne e uomini; adulti e giovani; vecchi e bambini; poveri e ricchi; bianchi, neri, gialli, rossi; di destra o di sinistra; sovranisti o europeisti; repubblicani o monarchici; democratici o sostenitori di un regime assolutista; governativi o anarchici; atei, agnostici o credenti; cattolici, ortodossi o protestanti; cristiani, ebrei, musulmani; monoteisti o politeisti; cultori delle scienze esatte o di quelle umanistiche; laureati o analfabeti; lavoratori o disoccupati; imprenditori o dipendenti; professionisti o dilettanti; idealisti o pragmatici; schiavi o liberi… 

Nessuno può negare le nostre differenze. Nessuno le può ignorare.

Lo stesso Aeropago della rete, dei social, dei nuovi media, tende ad esasperare le differenze, esaltando l’opinione, il parere, il punto di vista di ogni singolo pensante o non pensante, le fake news, gli hate speech.

La diversità diventa fazione, divisione, scontro.

La diversità fa paura, desta disagio, chiama a contrapposizione. 

Si ergono muri, si marcano distanze, ci si arrocca nei propri recinti e li si difende a qualunque costo.

La storia è colma di esempi, di pagine, di eventi che hanno mostrato, in maniera drammatica, gli sviluppi di queste dinamiche.

Eppure, la diversità non deve necessariamente portare ad una contrapposizione, ad uno scontro, ad un conflitto.

Senza negare le singole identità e le singole appartenenze (di un individuo, di una popolazione, di uno Stato), il cammino della convivenza civile, sociale e inter-multi/culturale, multietnica, multireligiosa può portare a un un’arricchimento reciproco e collettivo. 

Costruttori di ponti.

E non “identificatori di identità”. 

Quando si passa un confine è necessario dichiararsi.

C’è un passaporto, una carta d’identità, un bagaglio, qualcosa che ci appartiene e va dichiarata.

C’è chi ci deve identificare, schedare, timbrare.

Questo avviene sul confine.

E questo avviene sul confine dell’incontro.

Quando entro in contatto con una nuova persona o con una nuova situazione ho la necessità di definirla.

Ho la necessità di leggerla.

Per farlo, non posso che partire dalla mia visione, dalla mia prospettiva, dal mio punto di vista.

Sono determinato da quello che sono e da quello che sono divenuto.

Ho una cultura, un’idioma linguistico, una mentalità. 

Vedo con le “mie” lenti. Ascolto con le “mie” orecchie. Sento, percepisco, leggo, interpreto, dispongo, giudico, sviluppo in base a quello che IO SONO.

Fin qui, tutto normale.

La precomprensione è inevitabile.

A volte lo è anche il pregiudizio.

Ad una condizione: che tutto questo non mi porti ad alzare muri.

Se sono predisposto e disposto a COSTRUIRE PONTI non sarà la precomprensione a impedirlo e sarò disposto a rivedere i miei pregiudizi e riconoscere che “c’è qualcosa di diverso oltre questo ponte”. Di diverso non solo perché diverso da me. Di diverso in quanto diverso dalle mie precomprensioni, dai miei pregiudizi, da quello che avevo pensato e creduto di trovare oltre questo ponte; mi sbagliavo perché, prima dell’incontro, la mia conoscenza era incompleta e forse viziata.

Costruttori di ponti, dicevamo.

Non “identificatori di identità”.

Quando incontro l’altro, al di là del mio suddetto approccio “precomprensivo” (conoscere l’altro attraverso il mio metro di lettura) quanto pesano sul mio giudizio gli stereotipi che sono, in sé, “divisori” perché portatori di un tratto binario?

Quello che favorirà l’innalzamento di muri piuttosto che la costruzione di ponti sarà appunto questo metodo. 

Quello di chi, sul confine, più che APRIRSI all’altro, all’incontro, a una relazione tra diversi, sentirà il bisogno di definirlo, di tracciare la sua identità, di “schematizzarlo”.

Per poter, lui sì, DOMINARE quest’incontro.

Non l’accoglienza delle diversità ma il controllo delle stesse.

Un approccio simile potrebbe nascere, non tanto dalla  necessità di definire la propria identità (cosa sacrosanta anche se forse non esauribile; perché io stesso non sono “determinato” ma “in divenire”); potrebbe nascere dalla “paura del diverso”, dalla “paura dell’ignoto”, in definitiva dalla “paura dell’altro”: così ben evidente dalla necessità di “schedarlo” fra un ventaglio di stereotipi che posso controllare.

Evidentemente tale approccio potrebbe nascere proprio a causa di una insicurezza di partenza.

Se ho la necessità di “avere tutto sotto controllo” questa nasce proprio dal fatto che io stesso non ho sotto controllo quello che sono.

E riverso le mie insicurezze sulla necessità di “tenere sotto controllo” gli altri.

Divenendo non dunque un costruttore di ponti ma un “identificatore di identità”.

Se quando entro in relazione con una nuova persona sento il bisogno impellente di “identificarla” potrei dunque vivere un tale meccanismo.

“Sei di destra o di sinistra? Sei cattolico o musulmano? Sei credente o ateo? Sei etero o Lgbt? Sei un filosofo o uno scienziato? Sei un capitalista o un proletario? Sei un imprenditore o un dipendente? Sei emigrato o immigrato? Sei bianco o nero? Sei donna o uomo? Sei vecchio o giovane? Sei sportivo o sedentario? Sei grasso o magro? Sei governativo o anarchico? Sei ricco o povero?”… e via dicendo. 

L’ambizione di un costruttore di ponti è quella di incontrare ed entrare in relazione con ognuna di queste persone e di queste situazioni; di non negarne le diversità, le asperità, i conflitti; ma di cercare un punto d’incontro, una proposta, una soluzione; di indicare sempre una visione d’insieme, dei punti d’appoggio, un bene comune.

VISIONE D’INSIEME: ciò che unisce le due sponde di un percorso non sono due punti di vista diversi, opposti, parziali. Ciò che le unisce è la visione d’insieme.

Ogni problema va riconosciuto, affrontato, dibattuto, e il lavoro non è semplice, a volte ci possono essere diversità di vedute e scontri, ma per costruire un ponte, per risolvere le situazioni, c’è la necessità di far incontrare visioni panoramiche diverse.

PUNTI D’APPOGGIO: i pilastri sono necessari, fondamentali. Possono ergersi ad altezze impensabili e su asperità notevoli; vanno piantati ciascuno a partire dalle due sponde opposte. Ma la strada costruita su di essi diviene un tutto unico.

UN BENE COMUNE. È un concetto che ha valenze che vanno al di là dell’utile “materiale” (un ponte favorisce comunicazioni, scambi economici, moneta, sviluppo, prosperità) per transitare a livelli semantici uteriori: politico (non “partitico”), sociale, culturale, morale, religioso, interiore, spirituale.

Anche il concetto di “bene comune” può essere diversamente normato e sentito.

Nelle società di non molto tempo fa, ad esempio, la schiavitù era considerata accettabile e necessaria per le esigenze del “bene comune” delle realtà che su di essa si fondavano.

Se però oggi, l’idea di “bene comune” suggerisce la promozione integrale dell’esistenza di ogni essere umano sulla Terra, è evidente che abbiamo ancora molto da fare. 

Dunque, consapevoli dei nostri limiti e delle nostre diversità, rendiamoci disponibili a questa fatica.

Spero di poter dare il mio contributo e costruire solidi ponti anche con persone che sono diverse da me e dal mio modo di agire e di pensare.

Se quello che conta sarà sforzarci di costruire ponti, qualcosa di buono riusciremo a fare.

Alessandro Manfridi 

visioncostruttoridiponti@gmail.com