Per i credenti, dietro quel che il senso comune definisce “qualcosa di casuale” non è errato il tentativo di leggere un “segno”, con la conseguente riflessione sul significato che lo stesso “segno” presenta.
Il 7 ottobre le Reti, le Associazioni, i Circoli, i Comitati locali, le e i singole/i cittadine/i che hanno aderito, sostenuto e partecipato alla mobilitazione del 5 novembre 2022 per il cessate il fuoco e per il negoziato per porre fine all’aggressione russa ed alla guerra in Ucraina si sono riuniti a Roma, sotto il coordinamento della CGIL, per rispondere alla conferenza di Vienna che ha lanciato la mobilitazione internazionale dei movimenti per la pace, la nonviolenza ed il disarmo per chiedere il cessate il fuoco ed il negoziato, confluendo nella grande manifestazione nazionale “La Via Maestra. Insieme per la costituzione”. Temi: diritti, istruzione, salari, ambiente, democrazia, salute, pace, lavoro. https://www.youtube.com/watch?v=ugjJT8JG5Fw
È interessante accostare la figura di San Pio V, l’ultimo Papa canonizzato prima dei Papi del XX secolo (San Pio X, San Giovanni XXIII, San Paolo VI e San Giovanni Paolo II) la cui vicenda si lega proprio alla data in cui quest’anno si è svolta questa manifestazione.
Pio V, uno dei Pontefici che ha attuato la Controriforma, ha legato in modo indelebile il suo nome alla costituzione della Lega Santa con la scesa in campo delle potenze cattoliche, Spagna e Serenissima Repubblica di Venezia in testa, aggregatisi sotto minaccia di scomunica, per contrastare la minaccia dell’impero Ottomano.
Minaccia politica ed economica, “geostrategica” direbbero oggi gli analisti.
In gioco il controllo del Mediterraneo, a partire dal controllo dell’isola di Cipro, dominazione veneziana attaccata dai turchi.
Ma, nell’appello papale, scontro tra due civiltà, quella cristiana e quella musulmana.
Il Pontefice il 7 ottobre del 1571, giorno della vittoria della Lega Santa a Lepanto sulla flotta ottomana, fece suonare le campane alle 12:00, istituì la festa della “Madonna della Vittoria” (poi rinominata “Madonna del Rosario” dal successore papa Gregorio XIII) alla cui intercessione era attribuito il trionfo della flotta cristiana, aggiunse il titolo “Auxilium Christianorum” (Aiuto dei cristiani) alle Litanie Lauretane, mentre già nel Breviario romano da lui promulgato nel 1568, ci aveva consegnato la terza parte dell’«Ave Maria», come la conosciamo oggi.
7 ottobre 2023. La coscienza dei cittadini che si mobilitano non è più quella di chi auspica una vittoria “militare” per ricacciare le “oscure forze del male” ma quella di un popolo che ritiene questa opzione assolutamente inadeguata.
Due cortei confluiscono in piazza San Giovanni. Oltre 200mila partecipanti ed oltre 200 associazione, laiche e cattoliche. È la più grande manifestazione degli ultimi 10 anni. Presenta Raffaella Bollini (ARCI), Giulio Marcon (Sbilanciamoci), Andrea Morniroli (Forum Diseguaglianze Diversità).
Il primo intervento è quello di Stefania Brogini, delegata FP dell’ospedale di Camposteggia (SI) che ci parla della situazione della Sanità, infermiera che lavora in emergenza/urgenza dal 1993. Negli ultimi anni i ritmi di lavoro sono diventati assurdi, i turni massacranti. “Noi vogliamo prenderci cura delle persone ma non abbiamo più il tempo materiale di scambiare con loro una parola”.
Intervento per la campagna “Ci vuole un reddito” di Ilaria Manti: otto milioni le persone in povertà relativa, cinque milioni e mezzo le persone in povertà assoluta, eppure viene abolito il reddito di cittadinanza. Nel mondo reale non si riesce a fare la spesa e ad arrivare alla fine del mese. Il libero mercato è escludente. Il governo dovrebbe fare non i condoni mentre fa la guerra ai poveri.
Unanime la condanna alla escalation degli attentati in Palestina.
Michela Paschetto, per Europe for Peace, infermiera di Emergency. La guerra è negazione del diritto, della sicurezza, della salute, della casa, dell’istruzione. Le vittime della guerra non sono solo le persone uccise ma tutte quelle che non possono raggiungere un ospedale in sicurezza e, ad esempio, le donne rinunciano a venire in ospedale per partorire o altri rinunciano a farsi curare.
Tra gli interventi sul palco quelli di Olga Karash, pacifista bielorussa, che invita l’Europa a sostenere gli obiettori di coscienza russi, bielorussi ed ucraini, perché questo costa meno di qualsiasi missile e visto che questa non viene permessa nei tre Stati si ingrossano le fila di chi viene chiamato alle armi.
Poi Gustavo Zagrebelsky che ricorda, uno dei primi firmatari 10 anni fa della prima manifestazione “La via maestra”. Qui si manifesta per l’Italia, non “per la sinistra”. “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”. È “una Repubblica”, dunque: “è una cosa di tutti noi”. Dunque: è contro le privatizzazioni. È “democratica”: ma oggi vota una minoranza; la nostra è una democrazia fragile, a rischio; a tutti devono essere riconosciuti i diritti fondamentali; le differenze di ricchezze sono così abnormi, tanti hanno sperimentato cosa vuol dire non godere dei diritti fondamentali in uguaglianza tra tutti noi. “Fondata sul lavoro”. Siamo lontani dall’articolo della Costituzione. Siamo qui per manifestare per l’Italia e per quel che dice la sua Costituzione.
Giuseppe De Marzo (Rete Numeri Pari) autonomia presidenziale e presidenzialismo sono punti dell’agenda da rigettare; siamo passati da: “prima gli italiani” a: “prima i veneti, i lombardi, gli emiliano romagnoli”. Passeremmo da un regionalismo solidale ad uno competitivo che aumenterà le differenze tra Nord e Sud.
Alessandra Esposito (delegata Flai pastificio Garofalo, Gragnano) interviene per la questione di genere e delle pari opportunità sul lavoro.
Gianfranco Pagliarulo (ANPI) condanna l’escalation di Hamas. Urge una immediata soluzione politica. Anche in Ucraina è fondamentale un negoziato. Necessario un antifascismo che sciolga le organizzazioni naziste e fasciste.
Sonny Olumati (Italiani senza cittadinanza) ci parla dei figli degli emigrati stranieri. “Il lavoro povero lo hanno inventato gli imprenditori ricchi”. Se si chiudono tutte le porte per entrare in Italia si fanno prosperare i trafficanti; se si nega la realtà, la realtà presenta sempre il conto. Attualmente nel mondo ci sono 108 milioni di profughi. Esternalizzare le frontiere e pagare i dittatori di altri paesi per fermare i migranti non solo è una cosa sbagliata ma non sta dando frutti.
Oggi presidi di solidarietà si svolgono anche a Bruxelles, Francoforte, Parigi, Berlino, Londra e altre città. Un messaggio per video da Esther Linch, segretaria generale CES.
Per i sindaci parla Matteo Ricci, sindaco di Pesaro e presidente di ALI (Lega Autonomie Locali) che meno di 9 euro l’ora il lavoro è sfruttamento.
Lavorare è diventato sempre più rischioso. Ne parla Salvatore Guastella, delegato Fillea, Travaglini Costruzioni, ricordando la tragedia di Brandizzo. Ogni giorno sono tanti i morti sul lavoro, specialmente nei cantieri. L’inserimento dei subappalti a cascata portano a risparmiare sulla qualità dei materiali e sulla sicurezza. Sette infortuni su dieci avvengono nel subappalto. I nostri salari sono fermi, chi fa profitto sono solo alcuni.
Don Luigi Ciotti: C’è stata una vera e propria “prostituzione morale” che ha violato i principi della Costituzione. Anche la Resistenza è stata negli ultimi anni svuotata di contenuto fino a diventare adattamento, non cambiamento. Non possiamo tacere. Il Vangelo sta innanzitutto dalla parte degli umiliati, degli esclusi, dei poveri, dei migranti, dei lavoratori. La Costituzione è stata scritta per dire: mai più povertà, discriminazioni, diseguaglianze, mai più guerre; per affermare il diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione. Il tradimento della Costituzione viene da anni in cui le forze politiche non hanno affrontato questi nodi. Quando il valore del denaro è superiore al valore della vita si è già in conflitto; dobbiamo opporci a questo furto di speranza. La giustizia sociale ed ambientale non sono solo dei costi ma degli investimenti fondamentali e una politica che non le garantisce tradisce la Costituzione ma prima ancora tradisce se stessa. La solidarietà non può sostituirsi alla politica e colmare i suoi vuoti.
Simona Abate parla per le associazioni ambientaliste (WWF, Legambiente, Greenpeace, Kyoto Club Transport & Environment) sulla questione delle scelte ecologiche.
Emiliano Manfredonia (ACLI) ricorda che L’Italia è nata dalle ceneri del Fascismo. Oggi ci sono ancora tanti ostacoli non rimossi con gravi problemi sociali.
Camilla Piredda (associazioni studentesche) ricorda come siano passati 158 giorni da quando hanno piantato le prime tende a Milano e in tutta Italia e che ancora attendono risposte.
Due anni fa la Sede Nazionale della CGIL fu assaltata.
Maurizio Landini (CGIL): Noi siamo quelli che vogliono unire il nostro Paese, non dividerlo e che lo tiene in piedi col nostro lavoro. Le diversità ci uniscono. Qui ci sono due fatti nuovi che parlano al paese: oggi noi non siamo qui come singoli ma come persone, siamo persone che credono nella giustizia sociale e nella solidarietà; noi non pensiamo solo di avere dei diritti ma sentiamo il dovere di trasformare questa società che attraverso leggi sbagliate in questi anni hanno aumentato le diseguaglianze sociali. Ciò che ci unisce è proprio la via maestra della Costituzione. Chi produce la ricchezza di un Paese è chi lavora, non la finanza. Noi vogliamo risolvere i problemi delle persone, pur facendo i conti con le situazioni difficili e complicate. C’è bisogno di lavorare assieme con intelligenza. Due date da ricordare: il 16 ottobre di due anni fa, quando abbiamo manifestato dopo l’assalto alla sede della CGIL; il 5 novembre dell’anno scorso abbiamo chiesto che la guerra non sia più lo strumento di regolazione tra gli Stati; come in Ucraina, condanniamo anche l’attacco di Hamas. C’è bisogno che la Comunità internazionale si smuova su questo. Dopo 18 mesi sono oltre 500mila vittime in Ucraina, un terzo degli ucraini sono rifugiati all’estero, una recessione economica ha preso tutti noi; non può essere solo il Papa l’unico ad esprimersi per la pace.
Sta aumentando la spesa militare in tutto il mondo. Noi stiamo correndo verso il pericolo nucleare.
Senza la pace non ci sono diritti per chi lavora e la guerra la pagano coloro che lavorano.
Una società che guarda solo al mercato e al profitto spacca, divide, genera odio, alimenta il conflitto. Negli ultimi vent’anni questo indirizzo ha determinato un arretramento dei diritti e un aumento delle diseguaglianze senza precedenti.
I temi più importanti: salario, pensioni, difesa del reddito. C’è un calo del potere d’acquisto che supera il 20%. Non sono mai aumentati tanto i profitti, come di aziende che li hanno aumentati all’’80% e viene tassato il lavoro e non questi profitti. Bisogna cambiare le leggi che favoriscono la precarietà; la legalizzazione dei subappalti, le persone non hanno gli stesi diritti e le stesse tutele. È necessario approvare il salario minimo; paghe a 5-6 euro l’ora sono paghe da fame, inaccettabili. Il governo, anziché convocare le parti sociali ha “subappaltato” il suo ruolo al CNEL che sta teorizzando che non c’è bisogno di fare una legge sulla rappresentanza né un salario minimo.
In questo contesto il tema della crisi climatica non può essere negato; ringraziamo i cittadini dell’Emilia Romagna che non ha ancora visto un euro se non quelli dei Comuni e delle Regioni ma nulla ancora dallo Stato. Le cose più lucide anche su questa materia sono quelle che dice il papa. la questione ecologica non è una questione ambientale ma una questione sociale che richiama al modello di sviluppo.
Altri due temi fondamentali: salute e istruzione, oggi messi in discussione; 4 milioni sono i cittadini che non hanno i soldi per potersi curare; 40 miliardi sono i soldi che i cittadini hanno speso per doversi curare. Con la contraddizione chiara che paghiamo la spesa pubblica che però è stata tagliata di 40 miliardi; non possiamo accettare i tagli prossimi sulla spesa sanitaria. Abbiamo bisogno di fare assunzioni e investire anche per combattere le morti sul lavoro: 80 morti al mese! Il diritto all’istruzione, alla cultura, deve essere garantito a tutti e per tutta la vita lavorativa delle persone. I soldi bisogna andarli a prendere dove sono. Un’impresa paga meno tasse sugli utili che fa sul lavoro delle persone rispetto alle tasse che pagano i lavoratori. Abbiamo giovani nel nostro paese che rischiano di andarsene. Visto la crisi di nascite servono 450-500mila ingressi di lavoratori stranieri ma non parlano mai di un altro dato. SONO DI Più I GIOVANI ITALIANI CHE SE NE VANNO ALL’ESTERO PER NON ESSERE SFUTTATI E SOTTOPAGATI CHE GLI IMMIGRANTI CHE ENTRANO NEL NOSTRO PAESE. Con l’Europa bisogna discutere sulle politiche di austerità. Si è sempre di fronte a due alternative secche: se vuoi la Costituzione hai una idea di democrazia, di partecipazione. L’altro è il modello autoritario che vuole ridurre gli spazi di democrazia e svilire la Costituzione, questo diceva Rodotà e noi oggi vogliamo ribadire da questa piazza: non siamo contro qualcuno ma siamo a favore di una applicazione concreta di quella “Via maestra” che è la Costituzione Italiana.
Se non si sa come accogliere i migranti e i rifugiati non bisognerebbe chiedersi cosa sia necessario fare perché essi non partano?
12 ottobre 2023
Mentre nel briefing sinodale di ieri si parlava (molto) di migranti, io sistemavo alcune foto per ua lezione da tenere nei prossimi giorni a scuola. In uno di questi scatti, del 1905, Lewis Hine immortala una famiglia italiana in ricerca di un bagaglio smarrito dopo la traversata transoceanica, appena arrivati ad Ellis Island, New York. Negli occhi della madre il timore verso un futuro incerto; in quello del ragazzo la fierezza di chi questo futuro ce l’ha davanti e sa che ora starà a lui costruirlo.
Di recente è stato il decennale (3 ottobre 2013) della tragedia al largo dell’isola di Lampedusa, nella quale perdono la vita 368 migranti per il naufragio della loro imbarcazione: l’evento più disastroso nell’elenco delle migliaia di vittime che in questi ultimi anni il Mediterraneo ha inghiottito troncando i loro viaggi di speranza. Nelle sequenze del docufilm TheLetteFilmr.org (2022), Bilal Seck racconta ad Arouna Kandé il dramma vissuto durante il naufragio nella sua traversata dal Senegal verso le coste europee, ed affida ad Allah i suoi giovani amici che ha visto affogare, stremati, uno ad uno, sotto i suoi occhi.
“Liberi di scegliere se migrare o restare”. Questo, non a caso, è stato il tema scelto da Papa Francesco per la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato 2023, preceduta da una settimana di grandi fermenti svolti a Marsiglia, dal 17 al 24 settembre, ricapitolati dal titolo “Mosaico di speranza – Med 23” – terza tappa degli “Incontri Mediterranei”, dopo quelle organizzate a Bari (2020) e a Firenze (2022).
Un programma fittissimo che ha coinvolto la città francese in un vero e proprio “festival” di iniziative: conferenze, concerti, banchetti solidali, celebrazioni, assemblee, esposizioni, visite culturali. 70 giovani di ogni origine e religione per rappresentare il Mediterraneo in tutta la sua diversità. 70 vescovi provenienti dalle cinque sponde del Mediterraneo.
Al termine della settimana la visita di Papa Francesco, che continua il suo percorso e le sue indicazioni, raccolte dal processo di comunione delle diocesi che si affacciano su questo mare e che propongono anche in questo terzo Incontro i temi di riflessione su migranti, accesso all’acqua, grandi povertà, pluralità religiosa, dialogo interculturale e interreligioso, integrazione attraverso l’attività economica, preservazione degli equilibri ecologici. Il vescovo di Roma si presenta a Marsiglia continuando un percorso da lui aperto a Lampedusa (2013) e continuato a Tirana, Sarajevo, Lesbo, Il Cairo, Gerusalemme, Cipro, Rabat, Napoli, Malta, perché questo mare possa essere un messaggio di speranza per tutti.
A Marsiglia l’incontro anche con il Presidente della Repubblica Francese, Emmanuel Macron. Su tutto, la citazione di Paolo VI che chiedeva con la Popolorum Progressio di seguire tre “doveri” – solidarietà, giustizia sociale, carità universale (n.44) – e l’affermazione del vescovo di roma, secondo la quale “i migranti vanno accolti, protetti o accompagnati, promossi e integrati. La storia ci interpella ad un sussulto di coscienza per prevenire il naufragio di cività… l’integrazione è faticosa ma lungimirante… abbiamo bisogno di fraternità come del pane”.
Nel messaggio per la 109ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, Papa Francesco parla del diritto a non dover emigrare, un diritto che non ha ancora trovato una codificazione. Questa possibilità, dal punto di vista dei Governi europei, risulta un’auspicio che risponda agli sforzi nell’impedire e nel respingere i flussi immigratori che si ritiene non possano ottenere una adeguata accoglienza. Ma Francesco ce la presenta dal punto di vista di chi emigra: il diritto a non uscire dalle proprie terre dovrebbe essere garantito permettendo a chi lo chiede di vivere in pace e con dignità nella propria nazione. Se questo non avviene, le migrazioni diventano inevitabili:
“Persecuzioni, guerre, fenomeni atmosferici e miseria sono tra le cause più visibili delle migrazioni forzate contemporanee. I migranti scappano per povertà, per paura, per disperazione. Al fine di eliminare queste cause e porre così termine alle migrazioni forzate è necessario l’impegno comune di tutti, ciascuno secondo le proprie responsabilità. Un impegno che comincia col chiederci che cosa possiamo fare, ma anche cosa dobbiamo smettere di fare. Dobbiamo prodigarci per fermare la corsa agli armamenti, il colonialismo economico, la razzia delle risorse altrui, la devastazione della nostra casa comune”.
Se sono i Paesi di origine i primi a dover garantire tutto questo, è anche vero che questi devono essere messi nelle condizioni di farlo e ciò non avviene quando essi sono depredati delle proprie risorse naturali e umane e a causa di ingerenze esterne tese a favorire gli interessi di pochi. Il cammino è ancora lungo, ma gli appelli del Magistero del Vescovo di Roma e delle Chiese di tutto il Mediterraneo sono chiari e forti e richiamano a scelte concrete e decise.
Se in Italia si perdono gli studenti in Africa si chiudono le scuole. Cosa fare per questi studenti? Domande aperte all’inizio di un nuovo anno scolastico.
Unicef, UNHCR, Norwegian Refugees Council e Education Cannot Wait hanno pubblicato l’ultimo report nel settembre 2023 dal titolo “Istruzione sotto attacco”.
Lo studio prende in esame la situazione scolastica in 19 nazioni della regione dell’Africa centro occidentale. La situazione è oltremodo critica perché in quest’area sono state chiuse 13.263 scuole per ragioni legate agli sfollamenti interni dovuti ai vari conflitti armati nei primi otto mesi del 2023.
Questo contesto coinvolge il benessere, l’apprendimento e la protezione di circa due milioni e mezzo di bambini in età scolare.
Nel Sahel centrale la situazione è particolarmente grave, con la chiusura tra il 2019 e il 2023 da 1700 a quasi 9000 scuole. Nel solo Burkina Faso sono state chiuse 6149 scuole, un bambino su quattro è rimasto privato dell’istruzione scolastica.
Sono stati registrati 147 incidenti contro l’istruzione.
“L’istruzione è un’ancora di salvezza per i bambini. Ma per milioni di bambini nell’Africa centrale e occidentale l’insicurezza significa che rimarranno bloccati fuori dalla classe nel prossimo anno scolastico, incapaci di apprendere. Molti saranno costretti a lavorare, a unirsi a gruppi armati o a sposarsi, mandando in frantumi il loro futuro”, ha affermato Hassane Hamadou, direttore regionale dell’NRC per l’Africa centrale e occidentale.
Il documento si appella ai governi delle nazioni interessate, a tutte le parti in conflitto, richiamando la Risoluzione 2601 (2021) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sulla protezione delle scuole nei conflitti armati e chiedendo l’attuazione della Dichiarazione sulla scuola sicura realizzata nel 2015 dall’agenzia GCPEA (Coalizione Globale per la Protezione dell’Istruzione dagli Attacchi durante i conflitti armati) e già sottoscritta da 118 paesi.
Si chiede che i governi negozino con le forze militari impegnate nei conflitti armati la riapertura delle scuole, fermino l’arruolamento dei bambini e prevengano le violenze sessuali (compresi i matrimoni forzati e precoci) prodotte dai combattenti. Importante il monitoraggio e la denuncia delle violazioni dei diritti internazionali. Si chiede anche l’utilizzo delle tecniche di apprendimento a distanza. Purtroppo quello che in Europa è sperimentato dopo gli anni dell’emergenza per il COVID-SARS ed è attuato anche per gli studenti ucraini in questo anno e mezzo di conflitto, è difficilmente realizzabile nelle scuole di questa regione, spesso prive di collegamento elettrico, rete internet ma soprattutto di device da utilizzare. Le ultime raccomandazioni riguardano l’estensione e il miglioramento del supporto psicosociale ai bambini, ai loro insegnanti e a chi si prende cura di loro e l’aumento dei finanziamenti a lungo termine per l’istruzione nelle emergenze.
Propongo una riflessione a partire da alcuni dati statistici.
Il nostro presidente della Repubblica, inaugurando ufficialmente l’anno scolastico 2023/2024 con la cerimonia svoltasi a Forlì presso l’Istituto tecnico “Saffi-Alberti” (XXIII edizione di “Tutti a Scuola”) ha ricordato nel suo discorso l’importanza dell’integrazione nelle nostre scuole degli studenti che provengono da famiglie immigrate, che sono 800mila, un decimo degli studenti italiani.
In Italia, dati del 2022, sono operative 8.136 Istituzioni Scolastiche. Nell’Africa Centro Occidentale secondo i dati del luglio 2023, sono state chiuse 13.263 scuole.
Secondo i dati del settembre 2022, in Italia nel biennio 2020/21- 2022/23 si sono persi 220 mila studenti (da 7.507.000 a 7.286.000) e tremila classi, con conseguenti perdite di posti di lavoro nel comparto scuola.
Nella regione di queste 19 nazioni africane, due milioni e mezzo di studenti sono rimasti fuori delle scuole.
Non potrebbero questi dati essere una indicazione significativa per spingere l’Italia e l’Europa ad una inversione di marcia nei confronti della politica dello sbarramento delle migrazioni?
Invece di respingere queste popolazioni e ricacciarle a morire nel deserto o ad essere seviziate nei lager libici, non dovrebbe essere compito dell’ONU in primis con i goals 4,10 e 16 dell’Agenda 2030 garantire dei corridoi umanitari perché questi studenti arrivino in Europa e al tempo stesso perché si inizi a lavorare seriamente per risolvere i conflitti in questa regione?
Verso la fine di agosto si è svolta un’interessante serata di riflessione sulla pace al Festival de La Versiliana a Marina di Pietrasanta (LU), con la centro l’appello di Raniero La Valle e Michele Santoro per dare una rappresentanza al popolo della Pace.
Ha aperto gli interventi lo storico direttore di Avvenire ai tempi del Concilio Vaticano II, Raniero La Valle, ormai novantenne ma con il suo straordinario sogno: per ottenere la pace, la terra – casa comune che soffre – e la dignità di ogni uomo e donna bisogna uscire da “il sistema di guerra” che pervade l’economia e domina la politica (ragion per cui la guerra in Ucraina non può terminare). L’obiettivo che egli propone è arrivare ad un Appello, per dar vita a una grande Assemblea permanente, che susciti nuove proposte dalle assemblee dei partiti fino alla stessa ONU. Le imminenti elezioni europee potrebbero essere l’occasione per creare delle convergenze su questi comuni obiettivi. Citando Turoldo e Rigoberta Menchú, quindi, ha chiesto a tutti noi di prendere la voce e far sentire il grido dei poveri e degli ultimi, dalle piazze ai palazzi del potere con lo struggente grido che ricorda il piccolo bambino siriano di tre anni con la maglietta rossa morto affogato sulle spiagge di Bodrum in Turchia il 2015: “Io sono Alan Kurdi”.
In tal senso, Ginevra Bompiani ha utilizzato l’immagine del buco nero: “se ti trovi in un buco nero non arrenderti, c’è sempre un modo per uscirne” (Stephen Hawking). Ma per uscire dal buco nero dobbiamo capire cosa intendiamo per pace. Tutti parlano di pace ma con essa intendono la vittoria che si ottiene solo col conflitto. Cosa mettere al posto di morte, della vittoria e del libero mercato? Manutenzione e quindi vita, disarmo, scambio, rispetto dell’ambiente. La questione non è se avanzare da soli o in compagnia ma è avanzare con tutti i compagni possibili e immaginabili.
Luigi De Magistris ha spostato il discorso sulla Costituzione, partendo dall’articolo 11, rivendicando l’obiettivo di dare rappresentanza a chi la pensa in modo diverso rispetto all’invio delle armi sine die. L’articolo 1 ci dice, inoltre, che che “la sovranità appartiene al popolo”: “dobbiamo avere l’impegno di rispondere alla sua volontà come nel caso dell’acqua quale bene pubblico, secondo l’indicazione espressa dal referendum popolare del 2011. Napoli è l’unica istituzione italiana, ad oggi dopo 12 anni, che ha attuato questa volontà popolare, trasformando una Società per Azioni che faceva profitti in un’azienda municipale che fa utili. È stato difficilissimo ma è stato possibile”.
Cosa si può fare allora? De Magistris chiude citando l’art.2, secondo comma, della Costituzione italiana: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che limitando di fatti la libertà e l’uguaglianza impediscono il pieno sviluppo della persona umana”. I costituenti che hanno visto il fascismo e il nazismo che si proponevano come legalità formale, hanno ritenuto che, se i principi fondamentali dei primi 12 articoli della Costituzione dovessero non venir applicati proprio attraverso la latitanza delle istituzioni, la Repubblica – che non sono solo le istituzioni, ma siamo tutti noi – dovrebbe rimuovere questi ostacoli proprio attraverso la nostra azione.
L’ultimo intervento, accorato, è stato quello di Michele Santoro: “Non possiamo accettare che 500mila vittime non siano ancora considerate un tributo di sangue sufficiente per far finire una guerra. La guerra è continuata perché era necessario creare un muro tra Russia e Ucraina. E come si fa a creare questo muro? Con decine, centinaia di migliaia di morti. Ma cosa sarebbe avvenuto senza la guerra? L’Europa sarebbe diventata la prima potenza economica. Ma, con il Covid, il debito mondiale è cresciuto tre volte e mezza rispetto al PIL mondiale. Ed oggi chi comanda il mercato è proprio il debito (il volume delle azioni finanziarie nel mondo è di gran lunga superiore a quello dei prodotti, i soldi non si fanno realizzando prodotti reali, si fanno emettendo certificati). Ma i Paesi più indebitati non sono quelli più poveri – che, invece, sono quelli ricattati. I paesi più indebitati sono in realtà gli Stati Uniti e la Cina. Il debito, quindi, determina questo scontro tra giganti. Inoltre, durante la pandemia i soldi sono andati ad arricchire la speculazione e sono emersi 700 nuovi miliardari. Il patrimonio dei dieci uomini più ricchi del mondo nei due anni della pandemia è aumentato, mentre 750 milioni di persone sono finite sull’orlo della fame. Solo in Italia il 95% della popolazione si è impoverita e il 5% si è arricchita ulteriormente. Non solo i poveri saranno ancora più poveri, ma tutti noi, il 95% della popolazione italiana, dovremo pagare il conto di questa guerra. I tedeschi, che sono entrati in recessione e non vogliono più pagare il 2% delle spese militari, arriveranno anche loro a presentare il conto a noi italiani, dicendo che nella UE non ci sono più soldi per noi e adesso dobbiamo rientrare dal debito e pagare, ad esempio le tasse ecologiche per il risanamento del pianeta. In realtà, una banca dà 7 euro a chi produce fossile e 3 all’economia green. La prima banca che finanzia il fossile è la statunitense Morgan Stanley. Siamo dunque costretti a procedere molto lentamente con il green perché altrimenti queste banche fallirebbero. È da qui che nasce la crisi ecologica del mondo”.
Confidiamo che queste voci diano sempre più voce a chi cerca un’alternativa alle logiche di morte che ancora non vogliono trovare una soluzione al conflitto ucraino!
Un ormai noto problema, segnalato da una lettera pubblicata su Avvenire, richiede ormai di essere affrontato anche secondo la categoria dei “segni dei tempi”
Qualche giorno fa un fedele ha scritto al quotidiano Avvenire segnalando un’urgenza. Riportiamo integralmente la lettera per condividere poi una riflessione sulla stessa:
Gentile Direttore, il vescovo Giacomo Morandi ha pubblicato i trasferimenti dei sacerdoti nella nostra diocesi di Reggio Emilia. Il parroco emerito della mia parrocchia di Regina Pacis ci ha detto, molto commosso, che un suo allievo del Seminario è diventato parroco di ben 16 (sedici) parrocchie. È vero che sono piccoli centri di montagna del nostro ridente Appennino, frazioni, borgate… ma tutti con la chiesa e con i parrocchiani, famiglie, anziani. Una volta quasi tutte avevano il sacerdote in loco, ma da anni non è più così. Il nostro vescovo ha voluto che tutte avessero un riferimento… ma sedici sono un grande impegno. E come quel sacerdote altri due suoi confratelli hanno altrettante parrocchie. Uniamoci e chiediamo alla Santa Madre di intercedere presso il suo amato Figlio la grazia delle vocazioni.
Alcune riflessioni. È giusto pregare il padrone della messe perché vi mandi operai (Mt 9, 35-38), ma potremmo anche cercare di leggere in queste situazioni i cosiddetti “segni dei tempi”.
La diocesi di Reggio-Emilia-Guastalla, che conta poco meno di 500mila battezzati su 570mila abitanti, distesa su 41 comuni nella provincia di Reggio Emilia, 2 in quella di Modena e alcune frazioni nel comune di Carpi, amministra 311 parrocchie distribuite in 60 unità pastorali in 5 vicariati con 211 sacerdoti secolari, 31 sacerdoti regolari e 124 diaconi permanenti. Dunque, per il servizio dei sacramenti, ci sono 69 parrocchie in più rispetto al numero dei presbiteri – non sappiamo quanti di questi sono ormai per età o per salute o altri incarichi impossibilitati ad assumere l’incarico di parroco, dunque il numero è sicuramente più alto. Dall’elenco dettagliato delle nuove nomine si evince che queste riguardano quasi sempre delle parrocchie “in solidum”, dunque su 16 o più parrocchie dovrebbero essere presenti due parroci.
Rimettiamoci a quel che dice il nostro lettore. Se un presbitero è parroco di 16 parrocchie, i numeri ci dicono che egli riuscirà la domenica, se celebra 4 messe in 4 parrocchie diverse (anche se le norme prevedono che non possa superare il numero di 3 messe) a coprire tutte e 16 le parrocchie nel giro di un mese. I suoi parrocchiani dovrebbero così riuscire a vederlo per una sola messa domenicale al mese. Per poi dividersi durante la settimana in tutte le sue comunità, egli non riuscirà a dedicare alle sue parrocchie più di due giornate del suo tempo al mese.
Ricordo le confidenze di un amico parroco calabrese che 30 anni fa mi raccontava di dover amministrare 3 parrocchie nelle montagne della sua diocesi. Il massimo lo raggiungeva la notte della Veglia Pasquale, dove celebrava in un parrocchia alle 18:00, nell’altra alle 20:30 e nell’ultima alle 23:00. Per il resto, passava più tempo in macchina per gli spostamenti che tra le mura delle chiese.
Un vescovo nella cui diocesi ci saranno, nel prossimo decennio, un saldo passivo di 100 parrocchie scoperte rispetto ai presbiteri capaci di assumerne la cura, cosa potrebbe fare? Potrebbe bastargli cercare presbiteri dalle nazioni africane o sudamericane come già avviene che coprano tali incarichi? E se i bilanci del Sostentamento Clero e quelli delle parrocchie di queste comunità periferiche fossero particolarmente in rosso? In quel caso non si potrà arrivare a garantire i sacramenti a tutta la popolazione, in particolare a persone anziane o comunque non in grado o non disposte a spostarsi a qualche decina di chilometri per mancanza di presbiteri; forse non si potrà garantire anche la stessa pastorale ed evangelizzazione in mancanza di diaconi o laici coinvolti in ministeri dedicati.
Abbiamo avuto il Sinodo dei Vescovi sull’Amazzonia che ci ha già presentato simili urgenze. In quel caso, la proposta dei “viri probati”, presentata dai padri sinodali, non è stata accolta dal Vescovo di Roma.
Al di là delle urgenze legate al servizio pastorale e ai fedeli che si vedrebbero dunque privati da tale cura, possiamo ritenere che anche per i presbiteri una tale situazione non sia problematica? Che vita può vivere un parroco che si incontra con la comunità una domenica al mese e gestisce il resto della pastorale con due giorni alla settimana? Non potrebbe risentirne sul piano fisico, psicologico, umano?
Non affidiamo tutto alla nostra fede e alla preghiera che eleviamo al Signore. Forse tali “segni dei tempi” devono essere accolti con attenzione e coraggio e bisogna cercare di dare una risposta efficace a queste situazioni.
Da un approccio egologico ad un approccio ecologico. Un corso per approfondire la proposta dell’ecologia integrale.
di Alessandro Manfridi
Sabato 25 marzo si è concluso il percorso interdisciplinare di ecologia integrale dal titolo «Custodi del giardino»[1], organizzato dalla Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione «Auxilium» e dal Circolo Laudato Si’ della Facoltà, che ha voluto concretizzare con questa proposta l’invito partito dalla Lettera Enciclica di papa Francesco.
L’impostazione è stata quella di ascoltare realtà virtuose presenti sul territorio ed ascoltare le indicazioni scientifiche di chi lavora da decenni su questi temi.
Gli incontri sono stati moderati dalla dott.ssa Anna Moccia, giornalista e founder della Rivista e Associazione «Terra e Missione», e introdotti dalla prof.ssa Linda Pocher, docente di Teologia dogmatica presso la Facoltà.
Temi dei tre incontri: «In ascolto degli alberi»[2], «Il mare, nostra risorsa»[3], «Comunità energetiche e futuro»[4].
Gli esempi virtuosi presenti sul territorio sono stati esposti dalle testimonianze di Francesco Auciello, presidente dell’Associazione “Il mio amico albero”, che ha illustrato quanto sia importante non solo mettere a dimora una serie di alberi attraverso un progetto di riforestazione del quartiere gestito dai volontari, ma anche come sia necessario prendersene cura mediante l’irrigazione, per permetterne la crescita e la sopravvivenza nei confronti dei fenomeni inarrestabili dell’innalzamento delle temperature dovuti ai cambiamenti climatici.
Mauro Pandimiglio, navigatore e pedagogista, Direttore della scuola di vela inclusiva Maldimare, ha testimoniato quella “Pedagogia del mare” che rende protagonisti ragazzi con varie disabilità, perché, fin dalla gestazione, noi siamo in simbiosi con l’acqua.
Giuseppe Morelli, animatore Laudato Si’ del Circolo Laudato Si’ nelle Selve di Roma, e Milvo Angelo Ferrara, changemaker, Progettazione d’Economia Circolare e Innovazione dirompente, hanno presentato la realtà della comunità energetica nel quartiere Ponderano.
Tra i contributi scientifici la Dott.ssa Gabriella Chiellino, CDA Università Iuav di Venezia, Co-Founder e Chief Executive Officer IMQ eAmbiente, ha illustrato cos’è una comunità energetica e come si costituisce, invitando i presenti a considerare come il tema ambientale, quello sociale e quello economico sono le tre gambe su cui si regge lo sgabello della transizione.
Marco Marcelli, docente di oceanografia biologica e applicata presso l’Università degli Studi della Tuscia; Fondatore e responsabile del Laboratorio di Oceanologia Sperimentale ed Ecologia Marina (LOSEM) ha spiegato le caratteristiche e problematiche del litorale del Lazio.
Francesco Ferrini, docente di arboricoltura generale dell’Università degli Studi di Firenze ha svolto il suo intervento sul tema “Piantare alberi per salvare la Terra”.
“DA UN APPROCCIO EGOLOGICO AD UN APPROCCIO ECOLOGICO” (frase tratta da “Un pianeta da salvare” di Barbieri, 1975). La situazione del verde urbano è in miglioramento ma dagli anni 70-90 la cementificazione e la impermeabilizzazione è arrivata a 8 m2 al secondo, interrompendo il ciclo dello scambio gassoso e liquido tra gli elementi. Adesso siamo a due metri al secondo.
La crescita non è sostenibile. L’evoluzione degli alberi è di 400 milioni di anni, questi hanno la possibilità di riprodursi come non ce l’ha l’uomo che esiste da centinaia di migliaia di anni. Un albero di medie dimensione intercetta circa 3000 litri di acqua all’anno che vengono utilizzati dall’albero e immessi nell’atmosfera. Essi contribuiscono alla riduzione delle piogge torrenziali con le alluvioni improvvise.
Il Next Generation You della UE ha dichiarato che entro il 2030 l’Europa dovrebbe piantare 3 miliardi di alberi, la quota dell’Italia è 200 milioni, di questi alberi in Europa ne sono stati piantati un po’ meno di 7 milioni in due anni. È necessario studiare dove, come, cosa e perché piantare.
Gli errori fatti nel passato: siamo il paese con più foreste in Europa ed abbiamo dismesso i vivai forestali. Abbiamo circa 5 milioni e mezzo di piante in vivaio, di cui 4 milioni e 200mila piante autoctone certificate. Avremmo bisogno di 10 volte tanto.
Antonio Brunori, dottore forestale e giornalista, segretario generale PEFC Italia, direttore responsabile i “Eco dalle foreste” ha svolto una relazione sul tema “Come gli alberi ci fanno vivere meglio in città”.
Il PEFC, “Programme for Endorsement of Forest Certification schemes”[5] si occupa di gestire le foreste per dare legno, protezione, difesa, servizi ecosistemici, salute all’uomo. È uno schema di certificazione che dice come sono “tutelanti” le foreste con questa certificazione.
Bisogna tutelare le foreste esistenti e anche piantare alberi. Il problema è che nel mondo perdiamo ogni anno 5 milioni di ettari di foreste.
Un centimetro di suolo fertile ci vogliono 250 anni perché si formi, quando noi impermeabilizziamo 6 m2 al secondo stiamo distruggendo la vita. La popolazione al mondo aumenta e le foreste diminuiscono. In Italia siamo in controtendenza. Le nostre foreste sono triplicate dal 1915. Ma questo non per una politica di forestazione attiva ma per l’esodo in città della popolazione delle campagne e l’aumento delle foreste di montagna parallelo al disboscamento delle foreste della pianura. Abbandonando le nostre foreste senza cura e manutenzione arrivano gli incendi, arrivano le frane, arrivano le tempeste effetto dell’innalzamento delle temperature del clima.
La deforestazione dipende per la maggior parte dai nostri stili di vita, dalle nostre abitudini alimentari nel Nord del Mondo. Il 21% delle emissioni di CO2 deriva dalla coltivazione in Brasile, in Indonesia e in Africa di soia, olio di palma e zootecnia. L’Italia è l’ottavo paese al mondo che con i propri acquisti incrementa la deforestazione, si parla di “deforestazione incorporata nel cibo”. Dobbiamo mangiare meno carne e consumare più carne prodotta nel nostro territorio.
La biofilia dipende dal fatto che l’uomo in trecentomila anni di evoluzione è sempre vissuto all’interno della natura, solo negli ultimi 4mila anni ci siamo separati dalla natura. L’etimologia di “foresta” richiama ciò che “sta fuori” (stessa di “forestiero”). Abbiamo cominciato a chiuderci e abbiamo evoluto una modalità che ci fa stare il 92% del nostro tempo fuori della natura. Questo crea dei “deficit di natura”. Secondo gli studi USA i bambini hanno dei cali di concentrazione perché non stanno a contatto con la natura.
Viene monitorato e registrato come i parametri biologici e il sistema immunitario sono fortificati dalla sosta di 12 ore in una foresta.
L’uomo deve essere grato agli alberi per la vita che vince sempre. In Italia Brunori dona queste piante insieme ad un’associazione che si chiama “Mondo senza guerre e senza violenze” alle scuole e agli altri vari enti sensibili a questi temi.
Maria Teresa Abignente, medico, coordinatrice Gruppo Nain (Fraternità Romena), ha condiviso la testimonianza di quel che il gruppo fa nel parco delle foreste casentinesi con i percorsi per genitori che hanno perso i figli con il “giardino della resurrezione” e i mandorli piantati da questi genitori.
Alcune considerazioni.
Il primo incontro è stato realizzato la mattina del 5 novembre 2022 e Teresa Moccia ricordava che il pomeriggio in piazza San Giovanni in Laterano ci sarebbe stata la manifestazione nazionale apartitica per chiedere negoziati di pace in Ucraina[6]. Nell’ultimo incontro il 25 marzo Milvo Angelo Ferrara ha condiviso come l’ultima notizia dell’annunciato utilizzo di armi all’uranio impoverito di fabbricazione britannica fornite all’esercito di Kiev sia una pazzia e un “suicidio” per le popolazioni, perché dove vengono usate queste armi il suolo diventa radioattivo e qualsiasi coltivazione prodotta in loco porta i consumatori ad esporsi alla leucemia. La logica delle armi e della guerra diventa elemento distruttivo della vita umana e di quella della nostra “casa comune” per la difesa della quale l’appello della Laudato si’ è chiaro e forte.
Insieme con i saluti di Piera Ruffinatto, Preside della Facoltà, di Giuseppe Milano, ingegnere edile-architetto e giornalista ambientale, segretario generale Greenaccord Onlus e del Cardinale Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, vogliamo riportarvi quelli di Mons. Gianrico Ruzza, vescovo Civitavecchia-Tarquinia, Porto e Santa Rufina, promotore dell’Apostolato del Mare nella CEI, facendo parte della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace. I 124 km di costa nel territorio diocesano sono 124 km di umanità, di lavoro, di fatica, di bellezza, di potenza e di amore per il mare che ci fa pensare all’infinito. Ma quanta non curanza c’è nei confronti del nostro mare? Il mare è offeso da molteplici forme di inquinamento, il lavoro della pesca è in grande sofferenza, il mare stesso sta tristemente diventando un cimitero per migliaia di migranti che cercano di sbarcare sulle nostre coste. Il mare da sempre è stato un luogo di incontro di Civiltà e l’uomo deve riscoprire la sua vocazione a vivere in armonia col suo mare.
Il tema dell’accoglienza e integrazione dei migranti è stato presentato dalle testimonianze di Angela Caponnetto, giornalista di Rai News 24 e di Maria Rosa Venturelli, missionaria comboniana e vicepresidente Associazione Comboniana Servizio Emigranti e Profughi. Molto toccante la testimonianza di uno di loro, Abdoul Kone.
Il teologo Pietro Lorenzo Maggioni, membro fondatore di Rete Ambiente Lombardia, sostiene che sia necessario costruire comunità energetiche non solo per bisogno, per necessità, ma come grande opportunità per la Chiesa per proporre visione di comunità.
Sono necessarie tre cose per Maggioni: mettere insieme le prospettive (nella Laudato si’ Francesco ci dà l’esempio citando Bartolomeo e i Concili Ecumenici protestanti); mettere insieme i territori; mettere insieme le generazioni (i giovani ambientalisti di oggi e gli ecologisti storici).
Il percorso è stato ricco di spunti e di prospettive, una proposta significativa per prendere coscienza, diffondere i temi, proporre soluzioni concrete, farsi attenti e sensibili a quel grido che viene dal creato ferito dagli egoismi distruttivi che l’uomo sta producendo, con una economia individualista e cieca ai bisogni dell’uomo e della natura.
Suor Linda nella sua ultima presentazione ci ha invitato a guardare alla “energia” che viene dal fuoco dello Spirito, che brucia senza consumare e deve essere ascoltato da ciascuno per riconsegnare l’umanità e tutto il Creato a quella vocazione dipinta fin dalla prima pagina del libro della Genesi e accolta dal Poverello di Assisi con la sua vicenda e da papa Francesco con il suo magistero.
Alcuni interessanti appunti presi a margine del convegno di dialogo ecumenico e interreligioso delle diocesi laziali dedicato ai giovani
20 marzo 2023
Il saluto iniziale è stato d’impatto. Mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino e di Anagni-Alatri, ha confessato che dopo l’uccisione di Thomas ad Alatri incontrare i giovani ha significato diventare ancora più consapevoli che dietro ciascuno di loro ci sono storie di vita, speranze, gioie, ma anche difficoltà, tristezze. Per cui bisogna chiedersi sempre se e quanto tempo spendiamo per fermarci ad ascoltarli, loro e gli adulti che li circondano. A tal proposito, Pietro Alviti ha presentato i risultati di un’intervista realizzata a più di 3000 giovani delle Scuole Superiori. I ragazzi non frequentanti le parrocchie sono risultati essere il 93% ma il 53% di essi vi ritornerebbe per realizzare attività di solidarietà e attività ricreative e sportive.
Profondamente coinvolgente ed empatica è stata Daniela Lucangeli, ordinario in Psicologia dell’educazione e dello sviluppo all’Università di Padova, la quale, partendo dalle domande dei ragazzi espresse nei video condivisi in apertura di convegno, si è chiesta quale fosse il loro dolore più grande, quali fossero le loro aspettative. E, premesso che l’OMS definisce (1998) la salute come «uno stato dinamico di completo benessere fisico, mentale, sociale e spirituale, non mera assenza di malattia», ella ha evidenziato che la salute è dunque anche “qualcosa” di spirituale: l’organismo vivente della nostra specie ha bisogno di star bene nelle relazioni e negli scopi/fini che si prefigge. D’altra parte, la Lucangeli ha ricordato che scientificamente siamo un intero “SELF”, per cui dobbiamo smettere di scindere in modo dualistico, cartesiano, corpo e mente: “io non ho un cervello, io sono un radar vivente”. Noi non siamo questo organo, è questo organo che è noi. Noi siamo un intero senziente. Noi siamo filogeneticamente una unità corpo-mente.
Ciò premesso, prosegue la Lucangeli, ogni istante della nostra vita è un istante in cui abbiamo a che fare con la memoria del passato e con i processi di futuro, con la sofferenza e con il desiderio di “totalmente altro”. Se vogliamo comprendere come funzionano gli organismi viventi in immanenza, dobbiamo partire da quanto ci dicono gli scienziati che studiano il cervello distribuito: “io non sono me senza te”. Neuroni specchio. Noi siamo immersi nei pensieri degli altri, respiriamo l’aria dove respirano gli altri. A proposito del funzionamento della memoria della sofferenza e della gioia, durante la seconda fase pandemica si è scoperto che le cellule della pelle vengono cambiate dopo pochi giorni: perché l’organismo si tiene le cicatrici se la pelle è giovane? Perché in realtà conserva tutti i segnali del passato con cicatrici come “marcatore del futuro” affinché non si riproducano in esso i traumi del passato.
Ora, tutta la ricerca sull’epigenetica indica che per generazioni la genetica segna lo STOP. Ma chi decide questo STOP? Chi decide: “questo è un dolore?” e “questa è una gioia?” Siamo connessi e abbiamo un cervello distribuito, ma come funziona? I primi studiosi, sette anni fa, cambiarono la parola INTELLIGENZA con la parola INTELLIGERE. Flusso da fuori a dentro, da dentro a dentro, da dentro a fuori. Moduliamo il nostro dare sul segno del nostro intelligere: io non sono esterno al flusso. Da dentro a dentro è il mistero delle memorie. Esso traccia tutto, ma io scelgo la traccia non con le informazioni che mi dà la parte più recente della corteccia ma usando le aree limbiche, la parte più antica del cervello, le emozioni, e-movere. Il cervello antico mi dà due leggi: “mi fa bene”, “mi fa male”. Se io mentre studio, lo faccio con ansia, l’ansia manda il mio cervello in corto circuito, c’è una memoria per-vertita, ha perso il senso dell’orientamento. Se io provo un senso di giudizio da parte degli altri, io non riesco a fiorire perché il mio cervello va in reazione. Se la scuola adotta un sistema dell’intelligenza, ma non trasmette la dinamica dell’intelligere, allora bisogna forse riconoscere che abbiamo generato un sistema educativo causa di reazioni depressive e aggressive.
Non a caso, invece, la Lucangeli ha concluso il suo intervento con le testimonianze di un suo studente che le ha svelato “l’effetto moltiplicatore” (tanti più allievi raggiungo, tanto più per moltiplicazione loro raggiungeranno altri) e di altri due suoi studenti che l’hanno resa consapevole della necessità di fabbricare pillole di gioia in parole, opere e omissioni: 1) parole – tornate a dialogare con chi mettete al mondo; 2) opere – tornate a vivere con i propri figli; 3) ci vuole a-more, alfa privativo davanti a mors, mortis, “tu mi stai a cuore”(don Milani). Un docente non deve essere un verificatore ma un magister: dobbiamo smettere di appesantire le loro ali.
Anche la seconda parte dei lavori si è aperta con alcune testimonianze giovanili molto forti: essere fragile è sentirsi impotenti di fronte al flusso della vita: “la vita, per un giovane, è come stare su una corda” (Giulia). E se, dopo la pandemia, la guerra in Ucraina, l’aumento del costo della vita, l’ansia per un futuro, sognare non bastasse per superare le difficoltà? I giovani si sentono come una generazione debole e timorosa del futuro, non solo a causa delle nostre aspettative, ansie ed incertezze, ma anche perché “i social hanno cambiato i nostri valori a livello sociale. Noi giovani siamo facilmente influenzabili e suscettibili. Vorrei vivere una gioventù spensierata senza dover guardare sempre lo schermo di un cellulare” (Sasha).Il Rav Benedetto Carucci Viterbi, direttore della Scuola Ebraica di Roma, ha ripreso l’immagine di Giulia del funambulo, ricordando che un rabbino del 1800 diceva che tutto il mondo è un ponte molto stretto, l’importante è non aver paura. La fragilità è qualcosa che bisogna maneggiare con cura e spesso è preziosa. Le parole in questo ci possono aiutare se sappiamo utilizzarle. L’ebraismo utilizza quattro parole per definire questi contenuti: ELEM NAHAR ZAHIR E BAKUR.
BAKUR: dalla radice scegliere. L’adolescenza è una continua scelta, una stagione per niente semplice in cui con fatica si è chiamati a compiere le prime grandi scelte. ZAHIR: radice che significa “dolore”, sostanza di dolore nella stagione adolescenziale e non solo. NAHAR: “colui che si agita”. Agitazione costitutiva, difficoltà a stare fermi con la testa, a concentrarsi. ELEM è parente di due concetti: “il mondo” e “il nascosto”. Ogni adolescente è veramente un mondo di cui bisogna rispettare i confini e dare loro uno spazio riservato.
Importante in tal senso la metaforica biblica. Carucci cita Gn 33, 1-17, l’incontro tra Esaù e Giacobbe. Esaù domanda a Giacobbe: “Andiamo insieme e io camminerò con te”. Giacobbe risponde: “Tu sai che i bambini sono fragili, gli animali e il gregge stanno allattando, vai avanti e io camminerò secondo il passo dei miei giovani fragili, il gregge che sta allattando”. Ecco, qui si pone la questione del futuro. Per aver cura del futuro bisogna essere attenti alle fragilità e a quelle dei giovani in particolare. Tanti si sentono pressati dalle aspettative degli adulti e soccombono. Ma è come se Giacobbe stesse dicendo: “tu vorresti che io andassi al tuo passo, ma io non posso rispondere alla tua aspettativa, dammi i miei tempi ed io raggiungerò questi obiettivi, ma dammi i miei tempi”.
Per questo, conclude Mons. Spreafico, il brano della vocazione di Samuele è importante perché Eli a un certo punto dice “Eccomi, ti ascolto”, ma non è facile la relazione tra un vecchio e un giovane. Ciascuno di noi ha una missione. Samuele ed Eli trovano la missione. In questo noi abbiamo il compito di ricostruire il grande sogno di Dio che voleva una comunità di fratelli e di sorelle, giovani e anziani che camminano insieme.
È passato un anno dall’ingresso dell’esercito russo sul suolo ucraino, ma urge ancora lavorare perché si intavoli una trattativa…
1 marzo 2023
Il primo anniversario dell’invasione russa sul suolo ucraino è stato ampiamente ricordato su tutte le reti nazionali, riproponendo in particolare le immagini e i servizi che i giornalisti sul campo hanno reso degli orrori perpetrati dal conflitto e dall’esercito invasore. Non uguale visibilità è stata invece data alla voce di chi, riconoscendo le responsabilità di Mosca, chiede che si inizi a lavorare per una trattativa.
Tra il 24 e il 26 febbraio sono stati organizzati in 124 città italiane 131 eventi che hanno coinvolto oltre 40000 persone. La piattaforma “Europe for peace”, che ha riunito in rete centinaia di realtà associative e di cittadini italiani, si è fatta promotrice, fin dalla manifestazione nazionale in piazza San Giovanni a Roma il 5 novembre, della diffusione di una mobilitazione che coinvolgesse le altre capitali europee. In 87 città europee, da Lisbona a Madrid, da Parigi a Londra, da Berlino a Zurigo, da Vienna a Zagabria, sono state organizzate manifestazioni per dar voce alle ragioni che portino a delle vere trattative.
Tra le tante manifestazioni, menzioniamo una settimana di presidi a Perugia prima di una marcia Perugia-Assisi in notturna con arrivo all’alba del 24, una mobilitazione a Bologna col cardinale Zuppi in piazza Maggiore la sera del 24 e una fiaccolata da via dei Fori Imperiali al Campidoglio a Roma con Riccardi e Landini la sera del 25. È stato proprio il presidente della CEI a ribadire la necessità di un negoziato ma al tempo stesso a chiedere se ci sia la volontà da parte delle parti in causa nel realizzarlo.
Dopo un anno, purtroppo, pare che niente si stia muovendo a riguardo. Putin non si ritirerà a mani vuote. Biden è passato dalla debacle afgana alla guerra di liberazione ucraina (che lo sponsorizza ad un secondo mandato presidenziale); la UE è allineata (anche se con posizioni diversificate, visto che ci sono Stati che non inviano armi e Stati che non aderiscono alle sanzioni) alla causa di Kiev contro Mosca (anche se non ha mosso un dito durante gli eventi del 2014). Il grande protagonista delle finestre mediatiche nostrane, il presidente Zelens’kyj, ribadisce che la sua nazione non potrà chiedere un accordo senza che Donbass e Crimea siano lasciati all’Ucraina.
Ci sono almeno tre “mantra” nelle sue parole che non corrispondono alla realtà.
Primo: è necessario che il popolo ucraino sia armato perché, se sarà la Russia a prevalere, i suoi prossimi passi saranno invadere l’Europa; ergo, l’Ucraina difende sul campo, in prima linea e grazie alle armi occidentali, proprio la libertà dell’Europa. Sicuramente a questo messaggio sono molto sensibili Polonia e paesi baltici, a motivo della loro storia; sicuramente Georgia ed Ucraina, oltre alla regione della Transinistria in territorio moldavo, che attenzionate da Mosca per la loro posizione strategica costituiscono una evidente minaccia per la paventata presenza della NATO in questa regione. È evidente che un tale proclama, assunto in pieno a Bruxelles, sia totalmente opinabile.
Secondo: l’Ucraina difende le democrazie europee ed essa stessa si propone alle democrazie di tutto il mondo come una libera democrazia che si contrappone all’orso russo. Purtroppo, a tal proposito, occorre rammentare che da un anno a questa parte il Presidente ucraino ha provveduto a mettere a tacere e chiudere tutte le voci pacifiste, da quelle parlamentari a quelle politiche presenti in Ucraina. Attaccando sistematicamente ogni voce europea che dissentiva dalle sue idee e dai suoi programmi. Non è nemmeno un caso che ad alcuni cronisti italiani e stranieri siano stati negati i visti nel suo territorio; lo testimoniano il 25 pomeriggio, ad esempio, i fratelli Kononovich, due attivisti pacifisti ucraini la cui intervista è stata mostrata durante la serata organizzata al teatro Eliseo a Roma dal giornalista Michele Santoro. Inoltre, non dobbiamo ignorare i bombardamenti sulle popolazioni civili del Donbass, realizzati dall’esercito regolare ucraino dal 2014 sotto il silenzio della UE, proseguiti drammaticamente nello scorso anno grazie alle armi inviate a Kiev dalla stessa UE.
Terzo: il 2023 sarà l’anno della vittoria del popolo ucraino. Questa dichiarazione la ritiene impossibile lo stesso Capo di Stato Maggiore USA, il generale Mark Milley. Stante l’attuale situazione, quello sul suolo ucraino può essere un conflitto destinato a durare per decenni, senza che alcuna forza prevalga. A meno che, come ricorda Landini da piazza del Campidoglio, non si riconosca che chiedere una vittoria contro una nazione dotata di testate nucleari, necessiti dell’ampiamento del conflitto e l’uso delle armi atomiche: ma qui, è ovvia la conclusione, non esisterebbero più né vinti né vincitori.
È dal palco montato in piazza del Campidoglio che intervengono Rosa Miccio, responsabile di Emergency, il sindaco Gualtieri per un saluto, Sergio Bassoli, responsabile della Rete italiana Pace Disarmo che presenta gli interventi e che ricorda come siamo ugualmente vicini non solo al popolo ucraino e agli obiettori di coscienza russi ma anche agli altri popoli ugualmente vittime di gravi conflitti: i popoli di Palestina, Afghanistan, Iran, Saharawi, Sud Sudan, Haiti, Siria, Myanmar. Andrea Riccardi invita a lavorare per una trattativa, giacché dopo un anno di conflitto e centomila morti da entrambe le parti, il proseguo della belligeranza non risolverebbe ma peggiorerebbe le cose:
«Sia chiaro che quando parliamo di pace chiediamo la pace per l’Ucraina. Questa terra ha avuto come profughi un ucraino su tre, sedici milioni di ucraini sono senza lavoro, una economia ridotta del 30%. Nel 2023, undici milioni saranno nel bisogno alimentare, altri avranno bisogno dell’aiuto umanitario, che purtroppo, nonostante l’enorme impegno, sta diminuendo, mentre aumentano le sofferenze della popolazione. Ogni guerra disumanizza, come ricordava Simone Weil. Dobbiamo imparare dalla lezione della Storia. Un anno di questa guerra ce lo conferma. Noi siamo i più realisti e i più sensibili al dramma della popolazione ucraina. Non siamo secondi a nessuno nel nostro affetto verso queste persone. Vogliamo forzare il blocco della politica e lo stallo militare chiedendo l’alternativa: attivare la diplomazia e la politica, non si può vivere senza diplomazia. Come ricorda Papa Francesco: ogni guerra lascia il mondo peggiore di come l’ha trovato. Non possiamo permettere che l’Ucraina continui a vivere un nuovo anno in guerra».
Landini ricorda che dietro ogni conflitto ci sono degli interessi. Quest’anno le spese militari sono aumentate del 110 per cento, cosa che non ha precedenti, e ci sono aziende energetiche che stanno facendo extraprofitti, mentre vengono meno gli investimenti per le popolazioni civili nazionali. Cita la “bellissima Costituzione italiana”, e dice che queste manifestazioni stanno dando voce ai due terzi degli italiani che chiedono sia interrotto questo flusso di armi sine die:
«Noi non abbiamo mai smesso ti portare sostegno al popolo ucraino, lo abbiamo manifestato concretamente. A noi risulta che in questo momento in Ucraina non viene dato il visto per alcuni che portano aiuti umanitari, ma che non ricevono il permesso per restare lì a realizzare questi progetti. Siamo alla follia che si possono mandare le armi ma vengono negati i visti per portare l’aiuto del sostegno. Ci appelliamo al Governo italiano e al Ministro degli Esteri, che affrontino anche questa questione».
Siamo noi i veri realisti, afferma ancora Landini, e impegnarsi per una trattativa significa lavorare per un nuovo modello di sviluppo e una nuova cultura della pace che bandisca la produzione e l’utilizzo delle armi, mai risolutive per i conflitti ma solo distruttive. Significa aderire realmente alla nostra Costituzione, democratica ed antifascista, che si fa garante della pace, del lavoro e della dignità non solo dei cittadini italiani ma di tutti gli esseri umani.
Il 24 febbraio è passato naturalmente nel dimenticatoio l’anniversario di un grande interprete del cinema italiano: Alberto sordi. Magistrale la sua regia e la sua interpretazione di un film che l’anno prossimo farà cinquanta anni: “Finché c’è guerra c’è speranza”. Il titolo, beffardo e irriverente a prima vista, ben rappresenta invece quelle che sono le motivazioni che portano alla produzione, al commercio delle armi e alla genesi di ogni conflitto armato, come Alberto Sordi dimostra nella scena finale con la sua borghese, occidentale e italianissima famiglia. Consiglio la visione e del film e invito chi legge ad una attenzione rinnovata verso soluzioni che possano portare a una trattativa seria e dignitosa.