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MI CHIAMO SERGEJ: LETTERA ALLE AUTORITà ITALIANE

di ALESSANDRO MANFRIDI

Diamo voce ad una storia vera che condensa tutti i sentimenti e gli interrogativi relativi ai progetti di cura dei minori in Italia e alla loro sospensione.7 ottobre 2021

pubblicato in Mi chiamo Sergej: lettera alle autorità italiane – VinoNuovo.it

Se a Natale 2021 i viaggi di assistenza e cura dei minori bielorussi verranno disattesi sarà negato ancora una volta il principio che tutela il bene supremo dei minori contemplato nella Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Dopo due anni, essi attendono di ritornare in Italia presso le famiglie che li accolgono. Lo scritto che segue raccoglie e riassume, nella forma di “lettera alle autorità”, tutti i sentimenti e gli interrogativi espressi da Sergej (nome di fantasia):

Ciao, mi chiamo Sergej.

La vita è stata buona con me.

Anche se non ho mai conosciuto mio padre. Anche se mia madre non è stata in grado di accudirmi. Anche se io, i miei fratelli e le mie sorelle siamo stati affidati, in tenera età, ad una casa-famiglia in Minsk.

Ho trovato altri ragazze ed altri ragazzi in questa realtà.

Cresciamo in maniera semplice e spartana, con regole precise e spazi condivisi.

La casa-famiglia che ci ospita non ci fa mancare niente.

Tutti NOI bambini chiamiamo la famiglia della tutrice “la nostra mamma e il nostro papà bielorussi”, perché alcuni di noi conoscono a mala pena la propria madre e forse affatto il loro padre.

Ma non sono solo “nostri”. Loro hanno i loro figli e i loro nipoti.

Noi vediamo il loro esempio genitoriale come un riferimento.

Ma cerchiamo in fondo al cuore una “nostra” famiglia.

Avevo da qualche giorno compiuto sette anni. L’età necessaria per

poter viaggiare all’estero.

Sono salito con coraggio su un aereo della compagnia Belavia. Viaggio Minsk-Fiumicino.

Con me tanti altri bambini, bambine, ragazzi e ragazze provenienti da case-famiglia e orfanotrofi di Minsk e altre città bielorusse. L’areo era pieno.

Ci accompagnavano delle giovani interpreti bielorusse, incaricate di custodirci nel viaggio ed affidarci alle associazioni delle famiglie accoglienti in Italia.

Finalmente siamo arrivati. A Fiumicino sono stato accolto ed affidato ad una famiglia italiana.

Era dicembre 2018. Ho trascorso Natale e le festività con loro.

Poi il viaggio nell’estate 2019 e un ultimo, indimenticabile, soggiorno in Italia nel dicembre 2019.

Durante questi soggiorni sono passato dalla iniziale nostalgia per la mia casa-famiglia e per il mio fratellino minore lasciato a Minsk, alla gioia per questo soggiorno italiano, per una “nuova” vita, per il calore della famiglia italiana che mi ha accolto, per questi due coniugi che hanno imparato a vivere con me bambino, così come io ho iniziato a vivere con una famiglia che ho imparato a conoscere, ad apprezzare e ad amare.

Sapevo bene che dovevo tornare a Minsk, perché in Italia non potevo adottato. Ma voi avete mai provato a sentirvi in un luogo come fosse casa vostra?  in una famiglia come fosse la vostra famiglia? Pur sapendo che al momento non è la vostra famiglia ma che forse un domani nel futuro potrebbe diventarlo? Io sì. Il mio cuore si è gonfiato di gioia.

In un anno avevo già iniziato a parlare l’italiano e comunque a capirlo senza difficoltà, anche se non avevo ancora iniziato il mio percorso scolastico in Bielorussia.

Da allora gli eventi si sono susseguiti.

Prima il COVID, la Pandemia, le chiusure delle frontiere. Così sono saltate le accoglienze dell’estate 2020 e del dicembre 2020.

Per un anno e mezzo, dal dicembre 2019 al giugno 2021, la relazione con la famiglia italiana è andata avanti con le videochiamate a cadenza quindicinale.

Ma io non capivo perché non potessimo più vederci, perché non potessi più avere la gioia di vivere i miei mesi di vita italiana, forse questa coppia non mi voleva più, forse si era stancata di me? Anche la lingua italiana me la sono dimenticata, quando parliamo io ricordo solo alcune parole, le altre me le traduce la mia sorella maggiore che è stata in Italia prima di me negli anni scorsi.

La scorsa estate pareva che le frontiere si dovessero aprire.

Poi ci sono state le sanzioni verso la Bielorussia e si è tutto interrotto.

A dicembre 2021 saranno due anni che non torno in Italia, dopo l’esperienza di un anno e mezzo precedentemente vissuta con tanta gioia, attesa e amore ricevuto e dato.

Io vorrei tornare in Italia e riabbracciare la famiglia che mi accoglie e mi attende.

Se a Natale i viaggi non si faranno, la mia speranza in una vita diversa, che fin qui mi è stata porta, verrà tradita ancora una volta e mi verrà negato l’affetto che mi è stato donato e mi vuole essere donato qui in Italia.

Per favore, fate tutto ciò che è necessario per non negare tutto questo alle migliaia di bambini bielorussi che, come me, ricevono l’affetto di una famiglia italiana da quando hanno sette anni fino ai diciotto anni.

Negare queste accoglienze, quando Minsk non attende che le firme dei protocolli da parte dei Ministeri italiani, significa anteporre le logiche delle sanzioni alla felicità di bambini, bambine, ragazzi e ragazze presenti negli orfanotrofi e nelle case famiglie di Minsk edelle altre città bielorusse.

Cari signori, vi prego!

Adesso provate ad immaginare come si sentirebbe vostro figlio se non dovesse vedervi per due anni (dicembre 2019-dicembre 2021) e se, nell’attesa di potervi riabbracciare qualcuno dovesse dirgli che non è ancora arrivato il tempo.

Stavolta il CO VID-19 non c’entra niente, so che in Italia i bambinivanno a scuola, giocano, fanno sport e tante altre cose. Mi dite cosa nega il diritto alla mia felicità di bambino? Quale è la mia colpa?

Essere nato in un posto sbagliato?

Vi prego aiutatemi, fatemi tornare in Italia da questo prossimo Natale.

Vi abbraccio

Sergej

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INSEGNANTI DI RELIGIONE: APPELLO AI VESCOVI

Pubblicato in Insegnanti di religione: un appello ai vescovi – SettimanaNews

Il 14 dicembre 2020 la CEI e il Ministero dell’Istruzione hanno stipulato l’Intesa secondo quanto previsto dall’articolo 1/bis della L. 20 dicembre 2019, n. 159 che convertiva, con modificazioni, il DL 29 ottobre 2019, n. 126, per la realizzazione di un bando di concorso per la copertura di posti per l’insegnamento della religione cattolica che si rendono vacanti e disponibili nel triennio scolastico successivo all’emanazione del bando.

Secondo il cardinale Bassetti tale concorso sarebbe un passaggio importante per la stabilizzazione dei docenti di religione verso i quali i vescovi italiani rinnovano la stima e la vicinanza, riconoscendone la passione e la competenza, nell’accompagnamento del cammino di crescita dei ragazzi e delle ragazze di oggi.

L’allora ministro Azzolina affermava che tale concorso aveva come obiettivo la tutela delle aspirazioni degli insegnati di religione cattolica, che lavorano alacremente, in sinergia e in armonia con tutto il personale scolastico e con l’immissione in ruolo avrebbero proseguito il loro percorso professionale con maggior stabilità.

Le parole del presidente della Conferenza episcopale italiana e quelle del ministro dell’Istruzione, sottoscrittori dell’Intesa, dimostravano stima, vicinanza e riconoscimento della professionalità degli insegnanti di religione, riconoscendone il diritto a vedere un percorso di stabilizzazione, a 17 anni di distanza dal concorso bandito nel febbraio 2004 secondo quanto previsto dalla Legge 18 luglio 2003, n. 186.

Accanto a queste dimostrazioni, che presentavano al corpo docente un’“opportunità”, nei mesi scorsi tuttavia abbiamo avuto ennesimi segnali che mettono in dubbio il senso e l’attualità dell’insegnamento e finanche la stessa professionalità dei docenti formati per impartirlo.

Nel maggio scorso abbiamo ascoltato le esternazioni delle senatrici Bianca Laura Granato e Luisa Angrisani di “L’Alternativa c’è” manifestate con una certa confusione, dato che attaccavano i docenti di religione e l’insegnamento in seguito alla proposta di accesso a varie classi di concorso di cui sarebbero titolari non i docenti in oggetto, ma i laureati in possesso della laurea statale LM64 in Scienze delle Religioni.

Due settimane fa è stato pubblicato sul blog de Il Fatto Quotidiano l’articolo del maestro e giornalista Alex Corlazzoli che si domanda se non sia il tempo di sostituire l’insegnamento di religione cattolica con un insegnamento di “Storia delle Religioni” gestito dallo Stato in quanto a formazione e indirizzi.

A queste esternazioni abbiamo puntualmente risposto, con le dovute chiarificazioni nel merito.

Torniamo ora all’Intesa, al DPCM del 20 luglio 2021 che autorizza il Ministero dell’Istruzione ad emettere il bando per la realizzazione del Concorso per l’insegnamento della religione cattolica e alla Nota pubblicata dalla CEI il 18 agosto 2021.

In essa i vescovi, manifestando ancora una volta “profonda stima” nei docenti di religione cattolica, si dicono attenti, preoccupati, vicini e solidali agli stessi; tuttavia, non possiamo non commentare come l’insegnamento della religione cattolica, alla luce di questo concorso ordinario, si presenti più come “martirio” che come “ricompensa”.

Come parte sindacale, sono anni che chiediamo di aprire percorsi di stabilizzazione attraverso procedure non selettive che tengano conto di titoli e servizio.

Ancora una volta dunque oggi facciamo un appello ai vescovi affinché diano ascolto e risposte complete ai docenti verso cui affermano rinnovate attestazioni di stima e riconoscimento di professionalità e di abnegazione perché, dopo la L 159/2019, l’Intesa sottoscritta dal cardinale Bassetti e il ministro Azzolina il 14 dicembre 2020 e il DPCM 20 luglio 2021, l’emissione di un bando concorsuale ordinario per 5.116 posti risulterebbe fortemente penalizzante per gli attuali insegnanti di religione e rischierebbe di mettere in mezzo a una strada due docenti di religione su tre (e le loro famiglie), secondo quello che le proiezioni dei dati affermano.

  • Alessandro Manfridi è referente nazionale ANIEF IRC.
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NON SONO RESPONSABILE DEL SANGUE DI LEI!

Silvestro Montanaro, fotogramma dal programma “Il mondo è corrotto” (2002)

Publicato su https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/non-sono-responsabile-del-sangue-di-lei/

A un anno dalla scomparsa di Silvestro Montanaro è importante poter raccogliere il suo appassionato grido di denuncia

SABATO 10 LUGLIO 2021[AM1] 

Quel giorno una folla inferocita stava per produrre un linciaggio, una esecuzione dovuta e voluta.

Una barbarie? Uno scempio? Un’ingiustizia?

No. Per chi conosce la storia delle Religioni e mastica qualcosa a riguardo di codici di comportamento e normative religiose, certi errori (o “peccati” che si voglia) vanno lavati nel sangue.

Nulla di strano. Nulla di incivile. Nulla di ingiusto. Tutt’altro. Solo regole condivise, riconosciute e trasmesse nel nome di una tradizione e dell’identità di un popolo.

Chi si riconosce in una storia (“sacra”), chi si sente parte di una nazione, chi partecipa di una elezione, è chiamato a difendere e garantire tutto questo. Al prezzo della vita.

Entriamo nel racconto descritto nel libro biblico di Daniele, capitolo 13.

Mentre la folla, eccitata negli animi e ardente di zelo per la difesa della Legge stava trascinando la donna peccatrice (chissà perché, nella statistica, il sesso femminile è indicato come più spesso ritenuto fonte delle colpe e dei disastri che produce il genere umano…) verso il suo dovuto destino, ecco provenire dal fondo della scena il grido deciso e fermo di un giovane: «Io sono innocente del sangue di lei!».

Quel giovane fu l’occasione di salvezza per quella donna.

Il suo grido pare in contrapposizione con la parola di un altro personaggio della Bibbia, Caino, che invece si ritiene estraneo al sangue del fratello che dalla terra gridava verso Dio (cfr. Gen 4,10).

I due personaggi ci chiamano a riflettere su due atteggiamenti, quali che ne siano i protagonisti.

L’episodio del dialogo con Caino è paradigmatico non solo e non tanto per una sua colpa diretta, ma soprattutto per quelle parole che sono, da sole, tra le più diffuse nella storia dell’umanità.

«Sono forse il custode di mio fratello?» (cfr. Gen 4,9) ci riporta dunque non tanto al tentativo maldestro del protagonista del nascondere e negare il suo delitto, secondo la lettura dell’episodio biblico; quanto alle parole di tutti coloro che, in ogni dove ed in ogni tempo, si sono lavati le mani davanti ai problemi dell’altro, davanti alle questioni sociali, davanti alle tragedie dell’umanità provocate dalle ingiustizie locali o planetarie.

Se vogliamo raccogliere una frase spesso usata dal vescovo di Roma, possiamo parlare di globalizzazione dell’indifferenza[1].

L’altra frase, pronunciata da Daniele, è scelta qui come titolo a questa riflessione: «Io sono innocente del sangue di lei!».

Nel primo atteggiamento ritroviamo l’indifferenza, il peccato di omissione, il passare oltre voltandosi dall’altra parte (cfr. Lc 10, 31-32).

Il secondo atteggiamento è quello di chi si interessa, di chi si dà cura, di chi vive l’I care della pedagogia di Barbiana[2], è foriero di percorsi di promozione umana, di coscienza civile, di capacità alte e nobili che hanno portato nella storia personaggi-simbolo ed eroi senza nome a rischiare anche la vita per servire le cause della giustizia e della verità. 

I nomi sono tanti.

Oggi vorrei ricordare il grande giornalista d’inchiesta Silvestro Montanaro[3], ad un anno dalla sua scomparsa.

Il lavoro di una vita va assolutamente valorizzato, proposto e diffuso, perché le sue ripetute denunce, sempre attuali a tanti anni di distanza, possano trovare ascolto e risposta presso un pubblico sempre più vasto e attento.

«Io sono innocente del sangue di lei!».

Quali sono gli elementi necessari perché un tale grido possa trovare risposta?

È necessario il lume del discernimento, il coraggio della profezia, il riconoscimento dell’autorevolezza, l’impegno fattivo ad affrontare e risolvere le questioni.

Il testo biblico mette in scena la preghiera di Susanna che, ingiustamente condannata, eleva la sua invocazione al Cielo per ottenere aiuto.

L’intervento di Daniele è dunque presentato come la conseguente risposta a questo appello accorato.

Quale che sia l’interpretazione degli avvenimenti, che ci sia un intervento divino, un Fato, una Provvidenza, quali che siano le sliding doors che danno accesso a molteplici scenari ed altrettanto probabili o improbabili epiloghi, la variante è sempre la stessa: anche Dio, per arrivare ai suoi intenti, ha necessità di servirsi dell’intervento degli uomini.

Le nostre azioni faranno dunque di noi degli attori della Provvidenza, dei consapevoli o inconsapevoli collaboratori di trame altre da noi, degli angeli salvatori, dei persecutori indomiti o dei codardi indifferenti che determineranno il bene o il male del nostro prossimo.

Il primo elemento necessario per la denuncia di ogni male è dunque quello di un corretto discernimento e di un onesto riconoscimento dei limiti che ogni sistema umano di convivenza comporta.

Nell’episodio narrato le Leggi da rispettare corrono il rischio di essere strumento di ingiustizia nonostante tutto, perché erroneamente applicate.

In un’epoca di fake news ed hate speech chi comanda e dirige l’opinione delle masse è in grado di narrare quel che vuole, come la propaganda di ogni regime pretende. Oggi alle grandi conquiste civili che sono state acquisite negli ultimi due secoli si affiancano in maniera drammatica le sistematiche violazioni dei diritti umani universali che propongono scenari di non ritorno per la stessa sopravvivenza del genere umano sulla Terra[4].

È fondamentale, dunque, operare una lettura degli avvenimenti e delle situazioni che non sia di parte e che sia veritiera e illuminante.

In questo senso, dunque, Daniele è guidato dal santo spirito; come lui, il lume della ragione, della coscienza, dell’onestà intellettuale e dello spessore morale che permette di pesare e distinguere situazioni di bene da situazioni di male accomuna personalità diverse riunite dallo stesso corretto discernimento.

Il secondo elemento necessario: il coraggio della profezia[5].

Quanto più il protagonista è illuminato, è ispirato, è guidato, tanto più egli è trascinato ad andare controcorrente, assumendo dunque il compito ed il rischio di qualsiasi azione profetica.

Il dramma dei vati e dei profeti si consuma a volte in una situazione che li porta non solo ad essere perseguitati e contrastati, ma soprattutto ad essere non ascoltati e non riconosciuti.

Ecco perché il terzo elemento presentato nel racconto è il primo veramente necessario.

La voce degli autentici profeti è rara quanto preziosa; ma solo la disponibilità ad ascoltarla può rivelarsi davvero determinante.

Nell’episodio la differenza la fa proprio la folla, nel riconoscere nel giovane Daniele “lo spirito dell’anzianità”.

Daniele parla con voce profetica e in maniera decisa e tagliente.

Dietro le sue parole e il suo intervento viene riconosciuta una “autorevolezza” che non ha bisogno per imporsi di una certificazione di autorità,

Daniele non potrebbe vantare un’autorità per parlare.

Ma l’autorità gli viene riconosciuta dalla forza della sua testimonianza.

Questo quadro propone due riflessioni.

Primo: la “crisi di autorità” che investe qualsiasi realtà, da quelle istituzionali a quelle naturalmente deputate all’educazione e alla formazione delle coscienze (lo Stato, le Istituzioni, Le Chiese, le Religioni, la famiglia, la Scuola…) è, a ben vendere, prima di tutto e innanzitutto una “crisi di autorevolezza”.

Ogni volta che un’agenzia educativa, una realtà istituzionale, una comunità “educante” si richiama alla sua “autorità”, piuttosto che porsi e proporsi in maniera franca e genuina, corre il rischio di fallire la sua mission.

I giovani e i destinatari in genere di qualsiasi proposta aderiscono lì dove ne riconoscono un’autorevolezza che non è legata ad una autorità ma ad una testimonianza vissuta.

Seconda implicazione: se l’autorità, quando manca di autorevolezza, potrebbe essere controproducente quando viene imposta per proporre una linea che non corrisponda ad una coerente testimonianza è al tempo stesso assolutamente vero il quadro opposto.

Qui però c’è bisogno di un’educazione profonda, di una disponibilità all’ascolto, di una perspicacia nel leggere i segni che vengono posti e della capacità di “dare voce” a chiunque dimostri di avere ragioni da vendere e strumenti per interpretare le situazioni e proporre delle strade da percorrere.

Anche un giovane può essere guidato dallo “spirito dell’anzianità”.

Anche un illetterato potrebbe dimostrare una sapienza maggiore di chi ha un titolo di laurea.

Anche un “diverso” potrebbe indicare la strada a chiunque abbia timore a rinunciare al “pensiero dominante”.

Quarto elemento è poi, quello delle decisioni concrete.

Chi riconosce la bontà e la verità di chi illumina le situazioni di una luce nuova e decisiva, è chiamato ad una scelta di campo.

Citando l’opera e la persona del caro Silvestro Montanaro, auspichiamo che le sue denunce siano sempre più riconosciute ed accolte da tutti coloro che possono e devono sentirsi chiamati a rispondere con la stessa passione per un mondo sempre più vicino agli obiettivi che oggi si è data l’ONU con la sua Agenda 2030[6].


[1] https://www.agensir.it/chiesa/2015/12/15/papa-francesco-no-alla-globalizzazione-dellindifferenza/

[2] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/da-barbiana-al-mondo-intero/

[3] https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/leredita-di-silvestro-montanaro/

[4] L’impronta mal distribuita (cnms.it)

[5] http://www.quindici-molfetta.it/a-bari-presentazione-del-volume-cercasi-profeti-di-r-d-ambrosio-_19288.aspx

[6] https://unric.org/it/agenda-2030/


 [AM1]

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QUALE SANTITÀ?

Thomas Sankara e Giovanni Paolo II

Per completezza riporto una intervista al Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, il cardinal Marcello Semeraro, riportata da vaticannews

https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-05/dicasteri-vaticano-congregazione-cause-santi-intervista-semeraro.html

Pubblicato su https://www.vinonuovo.it/teologia/etica/quale-santita/

di Alessandro Manfridi

La domanda di Livatino: “Credenti o credibili?” ci aiuta a riconoscere come testimoni donne e uomini al di là di ogni appartenenza religiosa

In queste ultime due settimane di scuola sto facendo vedere ai ragazzi il servizio “e quel giorno uccisero la felicità”[1]. Con questa lezione concludo un percorso di riflessione da me proposto, partito dall’opera di Silvestro Montanaro[2] e ampliato con il magistero di don Tonino Bello[3], le denunce di padre Alex Zanotelli[4], i materiali del Centro Nuovo Modello di Sviluppo[5] per arrivare alle iniziative della Laudato Si’ week[6].

Condividendo ad un caro amico i ritorni che sto avendo dai ragazzi, egli si è lasciato sfuggire un’affermazione: “Sankara è un santo!”

“Un santo!”

Mi viene d’obbligo mettere nero su bianco qualche riflessione.

Parto dalla recente considerazione di don Luigi Ciotti a proposito della beatificazione del giudice Rosario Livatino: “non facciamone ora un santino!”[7]

So che alcune grandi figure, cito tra tutti Daniele Comboni[8], sono state “elevate agli onori degli altari” con il timore che tale evento potesse “snaturarne” la profondità del messaggio, come spiego in queste riflessioni.

Interessante notare come alcuni personaggi che hanno segnato con il loro passaggio la storia del cattolicesimo contemporaneo, ancora oggi vengano ricordati dalla gente senza i loro titoli dovuti alla canonizzazione: dunque non “santo”, “santa” o “san” ma “Padre Pio”, “Madre Teresa” e “Don Bosco”.

Peraltro, altre figure il cui messaggio e la cui testimonianza sono sotto gli occhi del mondo hanno dovuto attendere decenni e, nel caso, un Papa sudamericano, per essere riconosciute nella loro eroicità della fede: Oscar Arnulfo Romero[9], la cui data del martirio viene celebrato nella Chiesa Cattolica da anni come Giornata Mondiale di preghiera e di digiuno per i missionari martiri.

Quella dei martiri della fede, degli uomini e delle donne uccisi non solo a causa del Vangelo ma della difesa dei diritti umani dei poveri e degli ultimi è una delle pagine più preziose di quel capitolo denominato “Ecumenismo spirituale[10]” da Giovanni Paolo II e che ha visto una significativa finestra durante il Grande Giubileo del 2000[11].

Proprio il Pontefice polacco è stato il promotore di una attività esponenziale della Congregazione delle Cause dei Santi che, sotto il suo pontificato, si è proposta come una vera e propria “fabbrica dei santi”, producendo numeri mai realizzati nei secoli precedenti[12].

L’opportunità di riconoscere queste figure e proporle al culto della gente è legata a una politica di promozione della fede che la Chiesa Cattolica ha voluto indicare come sempre più internazionale e presente sui cinque continenti.

Così, insieme con i viaggi apostolici che hanno caratterizzato il secondo pontificato più lungo della Storia della Chiesa[13], la proposta di figure di beati e di santi locali, presenti nelle varie nazioni, ha voluto indicare come “l’azione dello Spirito” si sia fatta presente ovunque in storie, vicende umane e opere promosse ed attuate non solo da personaggi europei, possibilmente consacrati e magari uomini, ma anche da donne, laici, cittadini indigeni presenti in ogni angolo dell’Orbe.

Le motivazioni sono dunque legate ai fini stessi dettati dall’evangelizzazione: proporre esempi mirabili di credenti che ci hanno preceduto nel cammino di vita cristiana, le cui storie e le cui opere sono davanti ai nostri occhi.

Dov’è il limite di questa politica? Dove i suoi punti deboli?

Il primo può essere quello rilevato da don Ciotti o su (San) Daniele Comboni: elevare una figura “agli onori degli altari” comporta il rischio di “angelicarla”, di “sublimarla”, di sottrarla, dunque, a quei risvolti di umanità (anche quelli legati ai propri limiti, ai propri difetti, agli errori personali comunque vissuti durante la propria vicenda umana) che le sono propri, o alle conseguenze di scelte sbagliate che questa stessa persona abbia comunque compiuto in vita; riconoscere, dopo l’articolato percorso che la Congregazione delle Cause dei Santi compie, la “santità” di un individuo, significa affermare che questa persona si trova ora “a destinazione”, in quella visione beatifica che nella teologia cristiano-cattolica è realizzata con l’incontro con Dio nell’Aldilà.

Riconoscere, ad esempio, che un Pontefice sia in Cielo, non sottrae il suo pontificato dai giudizi della storia e dalle conseguenze legate alle sue scelte.

L’ultimo Vescovo di Roma canonizzato prima dei suoi successori dell’ultimo secolo, Pio V, ha il “merito” di essere ricordato grazie alla vittoria di Lepanto.

La lettura storica sul lungo pontificato di San Giovanni Paolo II non può ignorare scelte politiche precise che ne fecero uno dei protagonisti della fine del “Comunismo reale” e al tempo stesso colui che chiuse le possibilità di sviluppo evangelico della Teologia della Liberazione e delle CEB nel continente sudamericano, proprio avverso a qualsiasi rischio di orientamento “a sinistra” ritenuto da evitare. Oggi il Cattolicesimo in questo continente è numericamente in crollo nei confronti di una espansione esponenziale delle chiese evangeliche e pentecostali.

Secondo “limite” della politica delle canonizzazioni: l’indebolimento delle potenzialità del dialogo interreligioso e del dialogo ecumenico, lì dove la focalizzazione dell’attenzione sui “santi” di parte cattolica distoglie lo sguardo dalla considerazione che la difesa dei valori non solo della fede ma anche della giustizia e dei diritti ha portato a pagare con il sangue personaggi accomunati dall’unico spessore morale e impegno civile, pur nella diversità delle fedi professate.

Non posso dimenticare la riflessione di un mio professore di teologia che, in un seminario di studi sulla figura di Simone Weil, affermava che la Chiesa Cattolica non avrebbe esitato a canonizzarla, se solo fosse stato possibile dimostrare che ella aveva ricevuto il battesimo; cosa di cui non abbiamo testimonianze documentali certe[14].

Ricordo anche una significativa testimonianza che registrai anni fa durante alcuni giorni di visita alla Comunità di Bose.

Rimasi colpito dal fatto che nella liturgia della comunità monastica erano ricordate anche figure di testimoni non cattolici: Dietrich Bonhoeffer ad esempio[15].

Ecco, dunque, l’ultimo grande “limite” di ogni “culto dei santi”: esso è – e non può che essere – “di parte”.

Esistono così santi “cattolici”, santi “ortodossi”, “profeti” dell’Islam, personaggi “deificati” nella Storia di tutte le varie Religioni.

Credo che un criterio unificante sia da ritrovare nell’invito del pontefice (San) Paolo VI: il mondo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri[16].

Se dunque il “culto dei santi” non può che essere legato ad ogni singola (e separata) confessione religiosa, il riconoscimento tributato dai popoli, dalle nazioni, da ognuno di noi verso figure di donne e di uomini che siano unanimemente riconosciuti come testimoni di un messaggio e di una passione per la promozione dei valori più condivisi faccia la differenza.

Così non ci sarà alcuna differenza tra Thomas Sankara, Teresa di Calcutta, Ikbal Masih[17], l’Abbè Pierre[18], Ezechiele Ramin[19], Emmeline Pankhurst[20]  e, insieme con loro, tutte quelle vittime senza volto né nome a cui essi hanno provato a dar loro voce.

La quarta, la settima e l’ottava beatitudine evangelica ci consegnato tutte queste persone come quei testimoni dei quali il mondo ha bisogno[21]. Oggi non meno di ieri.


[1] https://www.youtube.com/watch?v=GPCNq-T7yDY

[2] https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/leredita-di-silvestro-montanaro/

[3] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/don-tonino-bello-e-lo-sguardo-dellanima/

[4] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/giubileo-degli-oppressi-unesperienza-da-attuare/

[5] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/da-barbiana-al-mondo-intero/

[6] https://laudatosiweek.org/it/home-it/

[7]Luigi Ciotti sulla beatificazione del giudice Rosario Livatino https://www.youtube.com/watch?v=5RGc1FXnflc

[8] https://www.comboni.org/contenuti/100059

[9] https://www.avvenire.it/chiesa/pagine/14-ottobre-romero-paolo-santi

[10] Giovanni Paolo II Lettera Enciclica UT UNUM SINT https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25051995_ut-unum-sint.html

[11] https://www.agensir.it/quotidiano/2000/4/28/giubileo-dei-nuovi-martiri-il-7-maggio-al-colosseo/

[12] https://www.vatican.va/news_services/liturgy/saints/index_saints_it.html

https://www.vatican.va/news_services/press/documentazione/documents/pontificato_gpii/pontificato_dati-statistici_it.html

[13] https://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/travels.index.html

[14] https://27esimaora.corriere.it/19_febbraio_03/simone-weil-110-anni-nascita-cosi-moderna-essere-giudicata-folle-f747857c-279d-11e9-84f8-838f47b6747c.shtml?intcmp=googleamp

[15] https://www.monasterodibose.it/preghiera/santorale?start=5

[16] PAOLO PP. VI, Discorso ai Membri del «Consilium de Laicis» (2 ottobre 1974): AAS 66, 1974, p. 568

[17] https://www.youtube.com/watch?v=Kl_JCBnP3OI

[18] http://www.emmaus.it/abbe-pierre/

[19] https://www.youtube.com/watch?v=_78llKU8BwM

[20] https://mondointernazionale.com/domina/emmeline-pankhurst

[21] Cfr Mt 5, 1-12 http://www.laparola.net/wiki.php?riferimento=Mt5%2C1-12&formato_rif=vp

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DA BARBIANA AL MONDO INTERO

La cascina del Centro Nuovo Modello di Sviluppo a Vecchiano (PI)

Pubblicato su https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/da-barbiana-al-mondo-intero/

L’esperienza di Francesco Gesualdi e del Centro Nuovo Modello di Sviluppo. Analisi documentate e proposte concrete per un mondo che risponda anche all’appello della LAUDATO SI’

di Alessandro Manfridi

Una lezione con le classi prime sul modello educativo di don Milani per me è d’obbligo all’inizio del percorso scolastico con gli studenti.

Mi basta scrivere alla lavagna: “LA SCUOLA SARÀ SEMPRE MEGLIO DELLA MERDA!” e poi chiedere ai ragazzi se questa frase secondo la loro opinione é stata detta da un professore o da uno studente.

L’attenzione è garantita.

Poi inizio a raccontare loro la storia che ha portato don Lorenzo Milani a fondare la sua “Scuola di Barbiana”.

E racconto le motivazioni che hanno condotto i suoi ragazzi a scrivere il testo de la “Lettera ad una professoressa”, divenuto uno dei manifesti del Movimento del ’68.

La frase, come sappiamo, l’ha proposta uno degli studenti della “Scuola di Barbiana” che, se non avesse avuto la possibilità di vivere quelle dieci ore immerso con i compagni nello studio, nella ricerca, nella fatica, nel confronto, avrebbe dovuto impiegarle a spalare letame nelle stalle insieme con suo padre.

Se in Italia il diritto all’istruzione, attraverso il ciclo della scuola dell’obbligo scolastico, è garantito a livello istituzionale, ciò non è ugualmente previsto ne garantito ai ragazzi di ogni età in tanti altri Paesi; ciò per svariati motivi: povertà, lavoro minorile, mancanza delle scuole o distanza dei plessi più vicini ad ore di cammino, guerre civili, bambini-soldato.

La cosa che mi ha sempre colpito, nella essenziale produzione bibliografica di don Milani, è l’uso delle statistiche illustrate da tabelle e grafici.

Esperienze pastorali[1] e Lettera ad una professoressa[2] le adoperano in maniera corrente, illustrando e avvalorando in maniera decisa le questioni esposte e dando peso alle proposte portate.

Leggere Lettera ad un consumatore del Nord[3]è stato per me un piacevole riabbeverarsi al messaggio educativo della Scuola di Barbiana; trasmesso, come patrimonio, non solo alla scuola italiana (ricordiamo che nel nostro paese sono innumerevoli le scuole statali intitolate al prete fiorentino) ma ben oltre i nostri confini[4].  Anche Papa Francesco ne ha riconosciuto il valore e ha voluto recarsi a visitare questo luogo e la tomba del priore[5].

Il testo della Lettera ad un consumatore del Nord , editato trent’anni fa (1990), riprende esattamente lo stile e le provocazioni della Lettera ad una professoressa, con mirato uso di dati, grafici e tabelle.

Uno sguardo all’indice.

Presentazioni di Alexander Langer e Alex Zanotelli. Titoli capitoli: il tuo consumo, la nostra emarginazione; il tuo consumo, il nostro deficit alimentare; il tuo consumo, il nostro ambiente; il tuo consumo, il nostro sfruttamento; il tuo consumo, il loro guadagno; dal consumo alla solidarietà.

Il filo rosso che lega il Centro Nuovo Modello di sviluppo di Vecchiano (PI)[6] alla scuola di Barbiana è  Francesco Gesualdi, fratello di Michele, lo scomparso presidente della Provincia di Firenze[7]; i due fratelli hanno avuto il privilegio di vivere accanto a don Milani, accolti nella canonica della parrocchia e protagonisti della scuola parrocchiale.

Notevole la trasposizione filmica interpretata da Sergio Castellitto[8].

Francesco, chiamato “Francuccio” da don Milani, parte presto oltre confine per iniziare una esperienza come lavoratore che lo plasmerà sotto gli insegnamenti e la passione del priore di Barbiana.

Da oltre trent’anni le proposte del Centro Nuovo Modello di Sviluppo hanno offerto non solo una serie di pubblicazioni[9] concepite per la didattica scolastica e la divulgazione ma anche una serie di studi, di dossier[10] e soprattutto di campagne[11] operative per promuovere la conoscenza e la pratica di vari strumenti, nell’ottica, appunto, di un nuovo modello di sviluppo.

Nel testo L’altra via da scaricare in PDF[12], la domanda introduce alle possibili risposte:

Cambio di strategie, cambio culturale, cambio organizzativo, trasformazioni possibili solo se ricominciamo da capo, se ripartiamo da alcune domande di fondo: per chi e per che cosa deve essere organizzata l’economia? per i mercanti o per la gente? per l’avere o per l’essere? per il privilegio di pochi o i diritti per tutti? nel rispetto del pianeta o in un’ottica di saccheggio? Se la risposta è che l’economia deve essere organizzata per la gente, allora dobbiamo ripensare l’assetto economico a partire dai bisogni.

Guida al consumo critico[13] è il testo maggiormente promosso del Centro, ed è una delle sue proposte-chiave. Varie campagne sono state lucidamente proposte dal Centro in questi anni, alcune concluse con successo, altre ancora in corso.

Insieme con Alex Zanotelli, Francuccio Gesualdi è fondatore della Rete di Lilliput[14].

I contenuti ai quali Gesualdi e il Centro si sono dedicati da oltre trent’anni, sono gli stessi che vengono  richiamati dalla Enciclica di Papa Francesco Laudato Si’[15] su un’ecologia integrale e nuovi percorsi di giustizia.

Quando io penso agli strumenti che abbiamo li divido in due: azioni di resistenza, sono tutte quelle che puntano a creare un danno al sistema e togliergli il consenso, sapendo che il sistema si regge sul consenso. L’altro tipo di azioni sono quelle che io chiamo di desistenza, vale a dire che ci sono momenti in cui ci rendiamo conto che diamo un servizio molto più grande se abbiamo la capacità di scendere dal treno e cominciare a mettere in pratica ora e subito delle iniziative che vanno in una direzione contraria rispetto a quelle dominanti. Fra le azioni di resistenza abbiamo la possibilità di poterle dividere in quelle di carattere personale e in quelle di carattere collettivo. Fra le personali la prima è il cosiddetto consumo critico. Noi abbiamo capito che il consumo vissuto in maniera acritica diventa uno strumento di sostegno alle imprese, comprese quelle che si comportano malissimo, ma che se abbiamo la capacità di utilizzare il consumo in maniera critica riusciamo a orientare il comportamento delle imprese, perché lanciamo di continuo il messaggio delle azioni che approviamo e quelle che condanniamo. Ricordatevi che le imprese sono sensibilissime a questo tipo di messaggi che arrivano dai consumatori e loro sanno molto bene che la loro sopravvivenza dipende dalle scelte che fanno i consumatori. Ogni volta che entriamo in un supermercato diciamoci che siamo persone molto potenti, noi abbiamo la possibilità di mettere in ginocchio anche le multinazionali più potenti. Però bisogna crederci e dopo averci creduto bisogna fare i passi necessari. Dal punto di vista collettivo le azioni che abbiamo a disposizione sono molto più vaste e vanno dal boicottaggio alle manifestazioni. Poi abbiamo le scelte di desistenza, vale a dire tentare di attuare delle scelte che sono ispirate a principi diversi e ancora una volta possiamo dividerle in azioni personali e collettive. Fra le azioni personali c’è un nuovo stile di vita che si concretizza anche con la finanza etica con la Banca Etica costituita di recente e l’esperienza delle reti di economia locale[16].

Ricordando la sua relazione al “Giubileo degli oppressi”[17], dobbiamo convenire che un mondo più giusto e un futuro possibile passano solo attraverso l’impegno preciso di ciascuno di noi.

 Non dobbiamo attendere l’overshoot day[18] per svegliarci.


[1] https://www.lef.firenze.it/it/libro/esperienze-pastorali

[2] https://www.lef.firenze.it/it/libro/lettera-a-una-professoressa

[3] Lettera ad un consumatore del Nord (cnms.it)

[4] https://www.avvenire.it/europa/pagine/von-der-leyen-ue-discorso-sullo-stato-dell-unione

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/i-care-faro-per-tutti-una-scelta-da-onorare
[5] Discorso di Papa Francesco a Barbiana – Pellegrinaggio sulla tomba di don Lorenzo Milani

[6] http://www.cnms.it/chi-siamo

[7] https://www.avvenire.it/attualita/pagine/morto-michele-gesualdi

[8] https://www.comingsoon.it/film/don-milani-il-priore-di-barbiana/43125/scheda/

[9] http://www.cnms.it/pubblicazioni-menu

[10] http://www.cnms.it/i-nostri-dossier

[11] Le Campagne per cambiare (cnms.it)

[12] http://www.cnms.it/images/documenti/altravia_0.pdf

[13] Guida al consumo critico – nuova edizione (cnms.it)

[14] Dalla Parte Sbagliata del Mondo – Da Barbiana al consumo critico: storia e opinioni di un militante (cnms.it)

[15] http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

[16] http://www.giovaniemissione.it/mondo/gesualdi.htm

[17] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/giubileo-degli-oppressi-unesperienza-da-attuare/

[18] L’impronta mal distribuita

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GIUBILEO DEGLI OPPRESSI. UN’ESPERIENZA DA ATTUARE

Padre Alex Zanotelli e Beppe Grillo, Protagonisti di un duetto che fa riflettere
ALEX E BEPPE GRILLO – Giovani e Missione

A quattro anni dal Giubileo del 2025 facciamo tesoro di un’esperienza preziosa che ci pone una serie di domande

Alessandro Manfridi

Pubblicato in https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/giubileo-degli-oppressi-unesperienza-da-attuare/

Cosa ci fa Alex Zanotelli nella centrale Villa Comunale, i giardini di piazza Garibaldi nella cittadina barese di Molfetta una tiepida serata di settembre del 2000?

È presto detto. Sta portando avanti un’iniziativa denominata “Carovana della Pace” per le piazze d’Italia che terminerà nel convegno intitolato “Giubileo degli oppressi” e organizzato dalla Provincia italiana dei Padri Comboniani.

A Molfetta la tappa è significativa e fortemente voluta proprio in memoria di don Tonino Bello, il vescovo della diocesi che qui ha la sua sede, scomparso il 20.04.1993, che è stato presidente nazionale di Pax Christi e grande profeta della Pace.

Ma il convegno diventa una occasione preziosa per “guardare il mondo” da un’altra prospettiva.

Il “Grande Giubileo” del 2000[1], quello che sanciva il passaggio simbolico dal secondo al terzo millennio dell’”Era cristiana”, fu preparato da tre anni di riflessione su base trinitaria[2] e venne organizzato in vari “giubilei settoriali”.

Tra le esperienze più forti e di più grande impatto mediatico ed emotivo il programma della settimana del Giubileo dei Giovani che culmino con la veglia e la messa a Tor Vergata, un incontro memorabile con due milioni di giovani e Giovanni Paolo II (io c’ero… fu un esperienza davvero entusiasmante… anche se potrei raccontarne riflessioni di criticità che ne son venute)…

Da questi riflettori puntati per tutto il 2000 sulla Città Eterna, ecco arrivare la proposta “alternativa”, eppure non meno affascinante: un “Giubileo” visto dalla parte degli oppressi, degli sconfitti della storia, di coloro che non hanno diritto di cittadinanza.

È pur vero che la istituzione dei Giubilei, di fondazione biblica nella legislazione levitica, è in buona parte pensata per dare sollievo, partendo da una motivazione religiosa, a tutta una serie di categorie sociali, a partire dagli schiavi che riacquistavano la libertà.

Dunque non una Chiesa dei palazzi, del potere, degli apparati (non che la Chiesa sia solo questo: nello stesso Giubileo del 2000 due delle pagine più significative sono state quella della Purificazione della Memoria con la richiesta pubblica di perdono per gli errori e i mali compiuti dalla Chiesa nella sua storia[3] e quella della Memoria dei Martiri[4], oltre a tante altre pagine significative quell’anno) ma una Chiesa che, per riprendere una espressione di don tonino Bello “deve mettersi a guardare con l’occhio del povero”.

Il convegno si è svolto nel Palazzo dello Sport in Piazzale Atleti Azzurri d’Italia 1 a Verona dalla mattina del 9 a quella del 10 settembre 2000. Preparato dalla Carovana che, dal 2 all’8 settembre, ha toccato le piazze di sette città italiane: Molfetta, Napoli, Pesaro, Bologna, Milano, Brescia, Padova.

“Settembre d’utopia a Verona. UN MILLENNIO SENZA ESCLUSI! NON SOLO UTOPIA! IL GIUBILEO DEGLI OPPRESSI”: così si propone il manifesto dell’evento.

I temi toccati riguardano i quattro grandi temi portanti del Giubileo (biblico): liberazione degli schiavi, restituzione delle terre, condono del debito e distribuzione delle ricchezze.

Relatori della prima giornata Dom Tomàs Balduino (Presidente della Commissione Pastorale per la Terra del Brasile) e Aminata Traorè (ex ministro della cultura e del Turismo del Mali) che con padre Alex Zanotelli hanno animato le serate della Carovana.

Poi Susan George, Francuccio Gesualdi, Scholastica Kimanga, don Luigi Ciotti, Giancarlo Caselli.

Chiude il Convegno la mattinata del giorno 10 il duetto simpatico ma spunto di molteplici riflessioni tra Alex Zanotelli e il comico genovese Beppe Grillo (non ancora fondatore dei futuri 5 stelle); al termine, le conclusioni dettate dal padre comboniano e la messa presieduta dal vescovo Dom Balduino ed animate da varie comunità etniche africane e sudamericane in presenti sul suolo italiano.

Qualche spigolatura tra gli interventi.

Dom Tomàs Balduino racconta il dramma dei “senza terra”, i campesinos contadini brasiliani che avrebbero diritto a queste terre ma il governo non sbocca la riforma agraria, favorendo i latifondisti; l’imposizione poi delle colture di alcuni prodotti pe le multinazionali alimentari, gli OGM, lo sfruttamento intensivo e distruttivo delle colture, lo strapotere del neocolonialismo, delle multinazionali, del FMI[5].

Susan George (Presidente Observatoire de la mondalisation). Il debito estero non è un problema finanziario, perché la sua cancellazione sarebbe appena percepita dal sistema finanziario, è un problema politico. È l’arma nelle mani dei paesi del Nord per tenere in schiavitù ancora oggi quelli del Sud. E funziona molto meglio del colonialismo! Le crisi finanziarie sono risultate distruttive perché i tassi di aggiustamento imposti dal FMI hanno spinto sotto la soglia della povertà intere fasce di popolazione degli Stati interessati. In Russia con il Comunismo (senza voler fare apprezzamenti ideologici) viveva secondo le statistiche sotto la fascia della povertà il 5% della popolazione. Oggi il 50%. Prima di tutto c’è un’utopia negativa spinta dalle grandi imprese multinazionali industriali e finanziarie è la libertà assoluta dell’investimento, poi c’è la libertà assoluta di flussi di capitale e la libertà assolta di tutti beni e servizi compresi gli organi viventi. L’obiettivo è di mettere tutte le attività umane nel mercato e di farne oggetti di commercio, compresa la salute, l’educazione, l’ambiente, la cultura, etc. Susan George propone delle misure per affrontare queste problematiche al termine del suo intervento[6].

Scolasticha Kimanga racconta il suo lavoro nel movimento dei senza terra in Kenya e a Nairobi. Il colonialismo britannico e l’eredità che ha lasciato è stata distruttiva[7].

Francuccio Gesualdi propone una serie di azioni possibili, percorribili e necessarie per poter dare una risposta al sistema perverso provocato dalla globalizzazione, che promuove solo chi ha le risorse per vivere nel mercato come un consumatore e condanna alla morte tutti gli altri. Consumo critico, boicottaggio, manifestazioni, finanza etica, reti di economia locale[8].

Don luigi Ciotti: moratoria per la pena di morte, senza fissa dimora, indifferenze, percorsi alternativi alle pene carcerarie, osservatorio delle droghe, morti per mafia, debito estero[9].

Giancarlo Caselli: immigrazione, centri di accoglienza, problemi delle carceri[10].

Il duetto tra Beppe Grillo e Zanotelli è davvero da ascoltare[11].

Infine le conclusioni di Alex Zanotelli[12] e l’impegno finale[13].

A oltre vent’anni da questo convegno i “poveri” e con loro la nostra “casa comune” chiedono ancora che ci si impegni per realizzare questi appelli.


[1] http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_letters/2001/documents/hf_jp-ii_apl_20010106_novo-millennio-ineunte.html

[2] http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/apost_letters/1994/documents/hf_jp-ii_apl_19941110_tertio-millennio-adveniente.html

[3] https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_con_cfaith_doc_20000307_memory-reconc-itc_it.html

[4] http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/homilies/2000/documents/hf_jp-ii_hom_20000507_test-fede.html

[5] dom Tomàs Balduino al Giubileo degli Oppressi 2000 (giovaniemissione.it)

[6] Susan George al Giubileo degli Oppressi 2000 (giovaniemissione.it)

[7] Scolasticha Kimanga al Giubileo degli Oppressi 2000 (giovaniemissione.it)

[8] Francesco Gesualdi al Giubileo degli Oppressi 2000 (giovaniemissione.it)

[9] don Luigi Ciotti al Giubileo degli Oppressi 2000 (giovaniemissione.it)

[10] Giancarlo Caselli al Giubileo degli Oppressi 2000 (giovaniemissione.it)

[11] ALEX E BEPPE GRILLO – Giovani e Missione

[12] p. Alex Zanotelli al Giubileo degli Oppressi 2000 (giovaniemissione.it)

[13] documento finale Giubileo degli Oppressi 2000 (giovaniemissione.it)

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UNA SCELTA RESPONSABILE

Pubblicato in https://www.vinonuovo.it/comunita/bibbia-e-liturgia/una-scelta-responsabile/

Nelle scorse settimane i media hanno imperversato nel presentare, a partire da Rai Uno, la scelta di un parroco umbro, Riccardo Ceccobelli, che ha comunicato pubblicamente di aver deciso di lasciare il ministero perché innamorato di una donna.

Ceccobelli non è né il primo né sarà l’ultimo ad arrivare a questa scelta, anche se normalmente questo avviene nella discrezione e nel silenzio, piuttosto che sotto i riflettori.

I gestori della comunicazione sanno che questo è un tema che fa audience e la martellante ripresa della notizia durata per oltre una settimana dimostra che su vicende come questa il dibattito è sempre vivo; tuttavia sarebbe utile uscire dall’alternativa delle posizioni di chi si schiera a favore o contro la scelta del celibato.

Come sappiamo Papa Francesco si è espresso in maniera esplicita a favore del mantenimento dell’attuale prassi.

Dunque, prima di fare indagini sulle opinioni, riferiamoci a ciò che ritiene la normativa giuridica.

È vero che i candidati a ricevere il sacramento dell’Ordine sono chiamati ad accogliere e ad accettare, all’interno della Chiesa Cattolica di Rito Romano, la promessa di celibato, prima della ordinazione diaconale.

È vero che, come alcuni sottolineano, la loro scelta è assunta in maniera libera e non certo coercitiva, se non altro perché si sono preparati a questo passo attraverso sei anni di percorso vissuti in un Seminario Teologico.

Queste promesse vengono in maniera solenne rinnovate ogni anno da tutti i sacerdoti incardinati in una diocesi, durante la Messa Crismale presieduta dal Vescovo, secondo l’uso più diffuso, la mattina del Giovedì Santo.

Bisogna evidenziare che è improprio porre un paragone tra le promesse pronunciate dai candidati prima di ricevere il sacramento dell’Ordine e quelle pronunciate dai fidanzati che si uniscono nel sacramento del Matrimonio.

Secondo la teologia cattolica i tre sacramenti che imprimono il cosiddetto “carattere” e non possono dunque mai essere reiterati, sono i sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine.

Nella celebrazione dei due sacramenti dell’iniziazione come in quello dell’Ordine, l’uso dell’olio del crisma, “significa” la speciale unzione dello Spirito Santo, che “segna”, “sigilla”, “prende dimora” in colui/colei che lo riceve.

Particolare poi l’unzione nel grado del presbiterato dove, invece del segno della croce che avviene sulla fronte nel Battesimo e nella Cresima, al novello sacerdote viene unto tutto il palmo della mano, attraverso il cui uso egli amministrerà i sacramenti dell’Eucaristia e della Riconciliazione; mentre al presbitero che accede al terzo grado dell’Ordine, l’episcopato, viene unto il capo intero, visto che al servizio della sua guida, come vescovo, sarà affidata l’intera Chiesa locale, individuata giuridicamente nel territorio di una diocesi.

Come detto, Battesimo, Cresima e Ordine, i sacramenti che “imprimono il carattere”, non possono mai essere reiterati: non si può essere battezzati una seconda volta; la stessa Chiesa Cattolica che accoglie al suo interno fedeli provenienti da altre Chiese riconosce la validità del loro battesimo, senza ripeterlo.

Così come, quando un fedele che deve assumere il ruolo di “padrino” e, dovendo produrre il certificato di Cresima, riceve la notizia che c’è stato un incendio e sono andati persi i registri cartacei che ne riportano la ricezione, dovrà, insieme col parroco, produrre una testimonianza della Cresima avvenuta, non potendo in alcun modo ripeterla.

Gli altri sacramenti possono invece essere reiterati, la ricezione dell’Eucaristia e della Riconciliazione, quella dell’Unzione degli infermi che può essere ripetuta a seconda delle necessità e, infine, il matrimonio in caso di vedovanza.

Torniamo alla nostra questione.

Il coniuge che pronuncia la sua promessa di fedeltà e riconosce la indissolubilità del suo vincolo matrimoniale, nel momento in cui viene meno a tutto questo pone in essere una situazione che può portare alla rottura del suo matrimonio, attraverso il percorso che sfoci in una separazione o in un divorzio.

Il presbitero o l’episcopo o il diacono che chiedano alla Chiesa di essere dispensati dalla promessa del celibato non pongono in essere la fine del sacramento che, come detto, è ritenuto indelebile dalla teologia cattolica e che, dunque, rimarrà fino alla morte; tant’è che lo stesso Codice di diritto Canonico (cfr. CJC, cann. 976, 986,2) chiede al ministro che sia stato sospeso dall’esercizio del ministero di esercitare il ministero stesso, in casi di necessità quali l’amministrazione dei sacramenti ad un moribondo in assenza di un ministro in esercizio.

Quindi, riassumendo: il coniuge che tradisce suo marito o sua moglie, che risulta infedele alle sue promesse, che arriva ad una decisione di separazione, rompe il vincolo sacramentale e si pone fuori del matrimonio stesso. La Chiesa Cattolica ritiene che tali scelte portino ad una uscita dalla comunione ecclesiale, e per questo motivo (eccettuato la dichiarazione nullità del sacramento riconosciuta dopo un processo canonico) un coniuge che si sposa nuovamente con rito civile dopo un divorzio si dispone che non possa accostarsi ai sacramenti.

Il ministro che decide di sposarsi è invece riconosciuto, dopo il discernimento della Chiesa, libero di farlo.

Egli non ha, propriamente, rinnegato le sue promesse o tradito la sua missione, perché la sua domanda non è quella di lasciare il ministero e di abbandonare le persone che gli sono state affidate.

Non è, dunque, infedele alla stessa maniera di quella che potrebbe essere una infedeltà vissuta tra coniugi.

La sua non è una “infedeltà” ma una “onestà”, perché si rivolge al discernimento della Chiesa per chiedere di essere dispensato dalla sua promessa di celibato, piuttosto che continuare a prometterlo senza più avere in cuore e nella mente di riconoscerlo come un proprio “carisma”. Nel momento in cui la Chiesa accoglie la sua domanda e la riconosce legittima, egli lascia l’esercizio del ministero in rispetto della legge che la Chiesa stessa si è data, quella di servirsi solo di ministri che siano e rimangano celibi.

In merito  al dibattito inerente l’opportunità o meno di cambiare la legge rendendo la scelta del celibato facoltativa e non più obbligatoria, è indubbiamente un passo  non  facile da compiere, dato che si tratta di una legge che ha un millennio di storia; le motivazioni, a mio modo di vedere, non dovrebbero riguardare la necessità di promozione numerica delle vocazioni, quanto l’onestà di dare una luce di verità su tante situazioni.

Certamente un ministro sposato non è migliore di uno che rimanga celibe, e viceversa.

Ognuno ha la sua storia, ognuno deve essere responsabile delle sue scelte.

Una rivisitazione della norma dovrebbe essere motivata da una precisa attenzione a voler fare ordine, dare responsabilità, aiutare ad illuminare nella verità la vita di tutti quei ministri, di tutti quei consacrati, di tutti quei religiosi e quelle religiose che vivono le promesse e i voti a suo tempo pronunciati, non più come una occasione di fecondità ma come la negazione dello stesso percorso vocazionale intrapreso anche da anni e da decenni.

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DON TONINO BELLO AND THE LOOK OF THE SOUL

Post authorBy Alessandro Manfridi

Article date 04/20/2021

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Published on https://www.vinonuovo.it/comunita/esvesperienze-di-chiesa/don-tonino-bello-e-lo-sguardo-dellanima/

“The eyes are the mirror of the soul”.

Quoting Plato’s famous phrase in the Phaedrus, I cannot deny, twenty-eight years after the birth in Heaven of the bishop of Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi Don Tonino Bello (1) that this was certainly worth it for him.

I had the privilege of knowing him in person and, since friends have invited me several times to pass on my memories, I try to share them with you.

I still remember the first time I met him, even if not in person.

I had just gotten off the bus in the town of Bari, looking for a priest I was supposed to meet. Without my knowledge, I found myself with a rather singular scene: a solemn city procession to enter the cathedral, since that day the patron saint St. Conrad was celebrated. I found myself, without having planned it, to enter and participate with the other faithful, a packed church, in the celebration.

I still remember the passion that this bishop transmitted in his homily, he really spoke “from the soul”: it was the Gospel passage that speaks of the inability for a rich man to enter the kingdom of Heaven, “it would be easier for a camel to enter by eye of a needle that for a rich man to enter the kingdom of heaven “(2).

Don Tonino was a Franciscan as a tertiary and deeply attentive “to the power of signs”, rather than “to the signs of power” and his catecheses on the washing of the feet by Jesus, with that only vestment that was granted, the apron of the service, are a wonderful externalization, from the heart, of his choices (3).

As bishop, he had chosen the motto from a verse of Psalm 34: “Let them listen to the humble and rejoice” (4); the pectoral cross not in gold but in olive wood from his land, his beloved Salento; the episcopal ring obtained from the faiths of his parents. He drove around with an old yellow 500. Always available and easy going, to the point of going down to open the door in person when someone rang the intercom in the episcope.

He did not lose this habit until his strength allowed him.

The first personal meeting with him: I found myself attending a dinner, his guests in the episcopio, forty young people, and there was no shortage of those who spoke, filled him with questions and we all listened in admiration to his answers, a bishop so “in hand It was unusual to find it.

Personally, I did not want to intervene, they were all enthusiastic and many did, I remained silent, listening, a little secluded, joyful like everyone else about this welcome and this climate of fraternity.

At the end of the dinner, Don Tonino wanted to accompany us not to the door but down the steps of the episcope to the street. Once again, we were in a group and the interventions continued, we would not have wanted to leave him, it happens like when with a dear friend, time flies quickly. At a certain point, without my realizing it, he approaches me, stares me in the eye and asks me: “What is your name?” I remain incredulous: “Alessandro!”. I don’t remember what he added, a few loving words, like that of a good father. He hit me with his gesture. Don Tonino had noticed my silence, the decision to remain almost hidden, to leave room for others, since everyone was enthusiastic about filling him with questions.

He was a pastor who was attentive to people, enthusiastic and passionate, with a word that touched his heart.

In addition to his episcopal ministry, to his attention to all and to the least, another great testimony was that of his commitment to peace.

As bishop national president of the Pax Christi association, many of his interventions were memorable, including that passionate speech, “On your feet builders of peace” (5).

A decisive magisterium. I cannot forget an interview that saw him broadcast on Rai, they were the days of the first conflict against Iraq, the one due to the invasion of Kuwait. All justified the armed intervention, due to the violation of all international law. He, a voice in the desert, pronounced himself passionately against the embargo, a measure that would strike civilian populations, quoting with an almost prophetic air the vision of Isaiah that contemplates the swords being transformed into plowshares and spears into scythes (6). He seemed to come from another world, a voice that speaks to those who cannot understand it, like the one that has touched all the biblical prophets (7).

Don Tonino’s passion for the cause of peace saw its highest page when the bishop, now undermined by the disease, did not want to fail to participate in the “expedition” organized by “Blessed are the peacemakers” which brought 500 people, who left with the ship from Ancona to Split, to bring solidarity, hope and an announcement for peace to the center of Sarajevo, during the Serbo-Croatian-Bosnian conflict, at the risk of life due to the presence of snipers. It was an event completely silenced by the media, and Don Tonino published his diary of those days, with memorable memories, on the pages of Il Manifesto (8).

Evil had consumed him and forced him to bed. It was said that Don Tonino could no longer receive visitors, as was the custom, at any hour of the day, when some went to visit him. The disease did not allow to decide and plan when he was able to receive, I remember that someone informed that if it was possible whoever wanted it could be called to go to greet him. So I found myself in his room. That afternoon we would have been 40 or 50 people, including lay people, seminarians of the course, celebrants; so many people gathered standing in that bedroom. Don Tonino participated in the celebration of the Mass in bed, dressed in the stole around his neck, the celebration was carried out by the other celebrants. But at the moment of the homily he wanted to speak and resumed that episode he recounted, which has become very famous, of the “Cross as a temporary arrangement”. In the story he narrated that he went on a pastoral visit to one of his parish priests. During the visit he had noticed that in a corner of the sacristy there was an ancient wooden crucifix, removed from its place due to some work in progress. Next to the crucifix there is a sign with the inscription: “Temporary accommodation”. Don Tonino had a start, he turned resolutely to the parish priest: “You mustn’t remove that writing, on the contrary, you must frame it!”

And from this episode he built his own announcement that he actualized with us that afternoon.

“Guys, don’t worry! The cross? It is a temporary accommodation! How long are you on the cross? A few hours? But, after that, everything changes! Things are transformed! “

He spoke in a faint voice. His body is skeletal. His face hollowed out, devoured by disease. But his eyes. His eyes alive, penetrating, full of love. He stared at each of us, he spoke to us with determination, with certainty, with evangelical parrhesia. Him, a man now on the threshold. Him, crucified by excruciating pain and swept away by an inexorable disease. He was talking to us. He cheered us up. He encouraged us. He spurred us on. He invited us to look at life with the eyes of hope, with the certainty of faith, with joy in our hearts. “Come on, guys! Fear not! Do not be afraid! The cross? It’s a temporary accommodation! “

Even now, writing, I cannot help being moved.

The last farewell, on the day of the funeral. The celebration was organized outdoors, on the harbor.

Mons. Mariano Magrassi OSB, Archbishop of Bari-Bitonto and president of the CEP presided over the function, concelebrants all the Apulian bishops and other bishops, dozens and dozens of priests and about fifty thousand people. In the video I reproduce, the famous prayer of Don Tonino “Give me, Lord, a spare wing” was transmitted, which was set to music and sung for the first time during this celebration (9). I remember the final procession, the song touched the soul. I had set out to hold back the emotions and I was trying to do it. But when we went on, I looked up: women, men, young people, children, old people, simple people and distinguished people, all, without exception, were broken in tears. A people who mourned their shepherd, their father, their friend, their brother. I too could not help myself. In front of this scene the emotion took me from within and I burst into tears, participating in this sincere tribute. He had left us a man, a pastor, a bishop who had spoken to the hearts of the people, without distinction, with passion, love, benevolence and evangelical freshness. He was not only a writer but a great speaker and his writings and his interventions, transcribed, occupy eight volumes (10).

In the years that followed, I had the opportunity to meet and listen to the precious testimonies of others who met him in person and knew him.

It is truly an ever new and continuous discovery.

Pope Francis himself wished to remember him with his visit (11).

I am sure that his testimony will continue to make many people fall in love, believers and non-believers, because a true man, a man who dedicated and gave his life, giving a deep sense of gratitude and hope, speaking to hearts and proposing himself, even after the episcopal election, as he did: “don’t call me your Excellency, Monsignor Antonio Bello. I will always be Don Tonino for everyone ”. And his eyes spoke. One look was enough for him.

(1) Don Tonino Foundation https://www.fondazionedontonino.it/

(2) Cf. Mt 19, 23-30.

(3) Each other’s feet https://www.dontoninobello.info/as2-356/

(4) Audiant et laetentur https://www.conoscidontonino.it/audiant-et-laetentur/

(5) Assembly of the “Blessed are the builders of Peace”, Arena di Verona, 20-22.02.1986 https://www.youtube.com/watch?v=8ZQ24suxmuU

(6) Cf.Is 2: 1-5

(7) Don Tonino, the “uncomfortable” words of a free man – Vatican Newshttps: //www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-04/tonino-bello-papa-francesco-alessano-molfetta-visita -words.html

(8) Conversation with his brother Trifone Bello https://www.youtube.com/watch?v=UkDdTnzKflA

(9) Molfetta-funeral of Don Tonino Bello

(10) https://www.dontoninobello.info/

(11) https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-molfetta-don-tonino-bello The Pope: Don Tonino help us to be “Church of the apron” (avvenire.it)

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DON TONINO BELLO Y LA MIRADA DEL ALMA

Autor de la publicación Por Alessandro Manfridi

Fecha del artículo 20/04/2021

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Publicado en https://www.vinonuovo.it/comunita/esventure-di-chiesa/don-tonino-bello-e-lo-sguardo-dellanima/

“Los ojos son el espejo del alma”.

Citando la famosa frase de Platón en el Fedro, no puedo negar, veintiocho años después del nacimiento en el cielo del obispo de Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi Don Tonino Bello (1) que ciertamente valió la pena para él.

Tuve el privilegio de conocerlo en persona y, como los amigos me han invitado varias veces a transmitir mis recuerdos, trato de compartirlos contigo.

Todavía recuerdo la primera vez que lo conocí, aunque no en persona.

Acababa de bajarme del autobús en la ciudad de Bari, buscando a un sacerdote al que se suponía que debía conocer. Sin darme cuenta, me encontré con una escena bastante inusual: una procesión solemne de la ciudad para entrar a la catedral, desde ese día se festejaba el patrón San Conrado. Me encontré, sin haberlo planeado, para entrar y participar con los demás fieles, una iglesia abarrotada, en la celebración.

Todavía recuerdo la pasión que este obispo transmitió en su homilía, realmente habló “desde el alma”: era el pasaje del Evangelio que habla de la incapacidad de un rico para entrar en el reino de los cielos, “sería más fácil para un camello para entrar por el ojo de una aguja para que un rico entre en el reino de los cielos “(2).

Don Tonino fue un franciscano como terciario y profundamente atento “al poder de los signos”, más que a “los signos del poder” y sus catequesis sobre el lavamiento de los pies por Jesús, con esa única vestidura que le fue otorgada, el delantal. de servicio, son una maravillosa exteriorización, desde el corazón, de sus elecciones (3).

Como obispo, había elegido el lema de un versículo del Salmo 34: “Escuchen a los humildes y se regocijen” (4); la cruz pectoral no de oro sino de madera de olivo de su tierra, el amado Salento; el anillo episcopal obtenido de la fe de los padres. Conducía con un viejo 500 amarillo. Siempre disponible y tranquilo, hasta el punto de bajar a abrir la puerta en persona cuando alguien toca el intercomunicador en el episcopio.

No perdió este hábito hasta que sus fuerzas se lo permitieron.

El primer encuentro personal con él: me encontré asistiendo a una cena, sus invitados en el episcopio, cuarenta jóvenes, y no faltaron los que hablaron, lo llenaron de preguntas y todos escuchamos con admiración sus respuestas, un obispo tan “en la mano Era inusual encontrarlo.

Personalmente, no quise intervenir, todos estaban entusiasmados y muchos lo hicieron, me quedé en silencio, escuchando, un poco apartado, alegre, como todos, de esta acogida y este clima de fraternidad.

Al final de la cena, Don Tonino quiso acompañarnos no a la puerta sino a bajar los escalones del episcopio hasta la calle. Una vez más, estábamos en grupo y las intervenciones continuaron, no hubiéramos querido dejarlo, pasa como cuando con un querido amigo el tiempo vuela rápido. En cierto momento, sin que me dé cuenta, se me acerca, me mira a los ojos y me pregunta: “¿Cómo te llamas?” Sigo incrédulo: “¡Alessandro!”. No recuerdo lo que añadió, unas palabras cariñosas, como las de un buen padre. Su gesto me impactó. Don Tonino había notado mi silencio, la decisión de permanecer casi escondido, de dejar espacio para los demás, ya que todos estaban entusiasmados con llenarlo de preguntas.

Era un pastor atento a la gente, entusiasta y apasionado, con una palabra que tocaba el corazón.

Además de su ministerio episcopal, su atención a todos y a los menos, otro gran testimonio fue el de su compromiso por la paz.

Como obispo presidente nacional de la asociación Pax Christi, muchas de sus intervenciones fueron memorables, incluido el apasionado discurso “Constructores permanentes de la paz” (5).

Un magisterio decisivo. No puedo olvidar una entrevista que lo vio retransmitida por Rai, eran los días del primer conflicto contra Irak, el de la invasión de Kuwait. Todos justificaron la intervención armada, por la violación de todo el derecho internacional. Él, una voz en el desierto, se pronunció apasionadamente contra el embargo, medida que golpearía a la población civil, citando con aire casi profético la visión de Isaías que contempla las espadas transformándose en rejas de arado y las lanzas en guadañas (6). Parecía venir de otro mundo, una voz que habla a los que no pueden entenderla, como la que ha tocado a todos los profetas bíblicos (7).

La pasión de Don Tonino por la causa de la paz vio su página más alta cuando el obispo, ahora minado por la enfermedad, no quiso dejar de participar en la “expedición” organizada por “Bienaventurados los pacificadores” que reunió a 500 personas, que se fueron con el barco de Ancona a Split, para llevar solidaridad, esperanza y un anuncio de paz al centro de Sarajevo, durante el conflicto serbo-croata-bosnio, con riesgo de vida por la presencia de francotiradores. Fue un hecho completamente silenciado por los medios de comunicación, y Don Tonino publicó su diario de esos días, con recuerdos memorables, en las páginas de Il Manifesto (8).

El mal lo había consumido y lo había obligado a acostarse. Se decía que don Tonino ya no podía recibir visitas, como era la costumbre, a cualquier hora del día, cuando algunos iban a visitarlo. La enfermedad no le permitía decidir y planificar cuándo podía recibir, recuerdo que alguien informó que si era posible se podía llamar a quien quisiera para que fuera a saludarlo. Así que me encontré en su habitación. Esa tarde hubiéramos sido 40 o 50 personas, entre laicos, seminaristas del curso, celebrantes; tanta gente se reunió de pie en ese dormitorio. Don Tonino participó en la celebración de la Misa en la cama, vestido con la estola al cuello, la celebración fue realizada por los demás celebrantes. Pero en el momento de la homilía quiso hablar y retomó ese episodio que relató, que se ha hecho muy famoso, de la “Cruz como arreglo temporal”. En la historia narró que realizó una visita pastoral a uno de sus párrocos. Durante la visita había notado que en un rincón de la sacristía había un antiguo crucifijo de madera, retirado de su lugar debido a algunos trabajos en curso. Junto al crucifijo hay un cartel con la inscripción: “Alojamiento temporal”. Don Tonino tuvo un sobresalto, se volvió resueltamente hacia el párroco: “¡No debes quitar esa escritura, al contrario, debes enmarcarla!”

Y a partir de este episodio construyó su anuncio que esa tarde actualizó con nosotros.

“¡Chicos, no se preocupen! ¿La Cruz? ¡Es un alojamiento temporal! ¿Cuánto tiempo estás en la cruz? ¿Unas pocas horas? Pero, después de eso, ¡todo cambia! ¡Las cosas se transforman! “

Habló con voz débil. El cuerpo es esquelético. El rostro hundido, devorado por la enfermedad. Pero los ojos. Ojos vivos, penetrantes, llenos de amor. Nos miraba a cada uno, nos hablaba con determinación, con certeza, con parresía evangélica. Él, un hombre ahora en el umbral. Él, crucificado por un dolor insoportable y barrido por una enfermedad inexorable. Nos habló. Nos animó. Nos animó. Nos espoleó. Nos invitó a mirar la vida con ojos de esperanza, con la certeza de la fe, con alegría en el corazón. “¡Vamos chicos! ¡No temáis! ¡No tengas miedo! ¿La Cruz? ¡Es un alojamiento temporal! “

Incluso ahora, escribiendo, no puedo evitar que me conmuevan.

La última despedida, el día del funeral. La celebración se organizó al aire libre, en el puerto.

Mons. Mariano Magrassi OSB, arzobispo de Bari-Bitonto y presidente del CEP presidió la función, concelebrantes todos los obispos de Apulia y otros obispos, decenas y decenas de sacerdotes y unas cincuenta mil personas. En el video que reproduzco se transmitió la famosa oración de Don Tonino “Dame, Señor, un ala de repuesto”, que fue puesta a música y cantada por primera vez durante esta celebración (9). Recuerdo la procesión final, la canción tocó el alma. Me había propuesto contener las emociones y estaba tratando de hacerlo. Pero cuando continuamos, miré hacia arriba: mujeres, hombres, jóvenes, niños, ancianos, gente sencilla y gente distinguida, todos, sin excepción, estaban destrozados en lágrimas. Un pueblo que lloraba a su pastor, a su padre, a su amigo, a su hermano. Yo tampoco pude evitarlo. Frente a esta escena la emoción me tomó desde adentro y rompí a llorar, participando de este sincero homenaje. Nos había dejado un hombre, un pastor, un obispo que había hablado al corazón del pueblo, sin distinción, con pasión, amor, benevolencia y frescura evangélica. No solo fue un escritor sino un gran orador y sus escritos e intervenciones, transcritos, ocupan ocho volúmenes (10).

En los años siguientes, tuve la oportunidad de conocer y escuchar los valiosos testimonios de otras personas que lo conocieron en persona y lo conocieron.

Es verdaderamente un descubrimiento siempre nuevo y continuo.

El mismo Papa Francisco quiso recordarlo con su visita (11).

Estoy seguro que su testimonio seguirá enamorando a muchas personas, creyentes y no creyentes, porque un verdadero hombre, un hombre que se dedicó y dio su vida, dando un profundo sentido de gratitud y esperanza, hablando a los corazones y proponiendo. él mismo, incluso después de la elección episcopal, como lo hizo: “No me llame su excelencia, monseñor Antonio Bello. Siempre seré Don Tonino para todos ”. Y sus ojos hablaron. Una mirada fue suficiente para él.

(1) Fundación Don Tonino https://www.fondazheredontonino.it/

(2) Cfr. Mt 19, 23-30.

(3) Los pies del otro https://www.dontoninobello.info/as2-356/

(4) Audiant et laetentur https://www.conoscidontonino.it/audiant-et-laetentur/

(5) Asamblea de “Bienaventurados los constructores de la paz”, Arena di Verona, 20-22.02.1986 https://www.youtube.com/watch?v=8ZQ24suxmuU

(6) Véase Isaías 2: 1-5.

(7) Don Tonino, las palabras “incómodas” de un hombre libre – Vatican Newshttps: //www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-04/tonino-bello-papa-francesco-alessano-molfetta-visita -words.html

(8) Conversación con su hermano Trifone Bello https://www.youtube.com/watch?v=UkDdTnzKflA

(9) Molfetta-funeral de Don Tonino Bello

(10) https://www.dontoninobello.info/

(11) https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-molfetta-don-tonino-bello El Papa: Don Tonino ayúdanos a ser “Iglesia del delantal” (avvenire.it)

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Costruttori di ponti Giustizia e solidarietà

DON TONINO BELLO E LO SGUARDO DELL’ANIMA

Pubblicato su https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/don-tonino-bello-e-lo-sguardo-dellanima/

http://www.parrocchiemarrubiu.it/modules.php?modulo=mkNews&idcontent=1869

Gli occhi sono lo specchio dell’anima”.

Citando la famosa frase di Platone nel Fedro, non posso negare, a ventotto anni dalla nascita al Cielo del vescovo di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi don Tonino Bello (1) che questo sia valso senz’altro per lui.

Ho avuto il privilegio di conoscerlo di persona e, dato che gli amici mi hanno invitato più volte a tramettere i miei ricordi, provo a condividerli con voi.

Ricordo ancora la prima volta che lo conobbi, anche se non di persona.

Ero appena sceso dalla corriera nella cittadina barese, alla ricerca di un sacerdote che avrei dovuto incontrare. Senza che ne fossi a conoscenza, mi trovai con una scena alquanto singolare: una processione solenne cittadina d’ingresso nella cattedrale, giacché quel giorno si celebrava il patrono san Corrado. Mi ritrovai, senza averlo programmato, ad entrare e a partecipare con gli altri fedeli, chiesa gremita, alla celebrazione.

Ricordo ancora la passione che questo vescovo trasmetteva nella sua omelia, parlava davvero “dall’anima”: si trattava del brano evangelico che parla dell’incapacità per un ricco di entrare nel regno dei Cieli, “sarebbe più facile per un cammello entrare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel regno dei Cieli” (2).

Don Tonino era francescano come terziario e profondamente attento “al potere dei segni”, più che “ai segni del potere” e le sue catechesi sulla lavanda dei piedi da parte di Gesù, con quell’unico paramento che si sia concesso, il grembiule del servizio, sono una meravigliosa esternazione, dal cuore, delle sue scelte (3).

Come vescovo, aveva scelto il motto da un versetto del Salmo 34: “Ascoltino gli umili e si rallegrino” (4); la croce pettorale non in oro ma in legno di ulivo della sua terra, l’amato Salento; l’anello episcopale ottenuto dalle fedi dei genitori. Girava con una vecchia cinquecento gialla. Sempre disponibile e alla mano, al punto di scendere ad aprire il portone di persona quando qualcuno citofonava in episcopio.

Questa abitudine non la perse fino a quando le forze glielo permisero.

Il primo incontro personale con lui: mi trovai a partecipare a una cena, suoi ospiti in episcopio, quaranta giovani, e lì non mancava chi prendeva la parola, lo riempiva di domande e tutti ascoltavamo ammirati le sue risposte, un vescovo così “alla mano” era insolito trovarlo.

Personalmente, non mi andava di intervenire, erano tutti entusiasti e molti lo facevano, io rimasi in silenzio, in ascolto, un po’ defilato, gioioso come tutti di questa accoglienza e di questo clima di fraternità.

Al temine della cena don Tonino ci volle accompagnare non all’uscio ma giù per le scalinate dell’episcopio fin sulla strada. Ancora una volta, eravamo in gruppo e continuavano gli interventi, non avremmo voluto lasciarlo, avviene come quando con un caro amico il tempo vola velocemente. A un certo punto, senza che me ne rendessi conto, mi si avvicina, mi fissa negli occhi e mi chiede: “Come ti chiami?” Io rimango incredulo: “Alessandro!”. Non ricordo cosa abbia aggiunto, qualche parola affettuosa, quale quella di un buon padre. Mi colpì il suo gesto. Don Tonino si era accorto della mia silenziosità, della decisione di rimanere quasi nascosto, per lasciare spazio ad altri, visto che tutti erano entusiasti di riempirlo di domande.

Era un pastore attento alle persone, entusiasta ed appassionato, con una parola che toccava il cuore.

Oltre al suo ministero episcopale, alla sua attenzione per tutti e per gli ultimi, altra grande testimonianza fu quella del suo impegno per la pace.

Come vescovo presidente nazionale dell’associazione Pax Christi furono memorabili tanti suoi interventi, tra i quali quel discorso appassionato, “In piedi costruttori di pace” (5).

Un magistero deciso. Non posso dimenticare una intervista che lo vide in trasmissione in Rai, erano i giorni del primo conflitto contro l’Iraq, quello dovuto all’invasione del Kuwait. Tutti giustificavano l’intervento armato, dovuto alla violazione di ogni diritto internazionale. Egli, voce nel deserto, si pronunciava con passione contro l’embargo, misura che si sarebbe abbattuta contro le popolazioni civili, citando con piglio quasi profetico la visione di Isaia che contempla le spade trasformarsi in vomeri e le lance in falci (6). Sembrava uscito da un altro mondo, una voce che parla a chi non la può capire, come quello che è toccato a tutti i profeti biblici (7).

La passione di don Tonino per la causa della pace vide la sua pagina più alta quando il vescovo, ormai minato dalla malattia, non volle mancare nel partecipare alla “spedizione” organizzata da “Beati i costruttori di pace” che portò 500 persone, partite con la nave da Ancona a Split, a portare solidarietà, speranza e un annuncio per la pace al centro di Sarajevo, durante il conflitto Serbo-Croato-Bosniaco, a rischio della vita per la presenza di cecchini. Fu un avvenimento completamente taciuto dai media, e don Tonino pubblicò il suo diario di quei giorni, con ricordi memorabili, sulle pagine de Il Manifesto (8).

Il male lo aveva consumato e costretto a letto. Fu detto che don Tonino non poteva più ricevere visite, come era uso fare, ad ogni ora del giorno, quando alcuni andavano a trovarlo. La malattia non permetteva di decidere e programmare quando egli fosse stato in grado di ricevere, ricordo che qualcuno informò che se fosse stato possibile chi lo desiderava poteva essere chiamato per andare a salutarlo. Così mi ritrovai nella sua stanza.  Quel pomeriggio saremmo stati 40 o 50 persone, tra laici, seminaristi del corso, preti celebranti; tante persone riunite in piedi in quella stanza da letto. Don Tonino partecipava alla celebrazione della Messa allettato, rivestito della stola al collo, la celebrazione veniva portata avanti dagli altri celebranti. Ma al momento dell’omelia volle prendere la parola e riprese quell’episodio da lui raccontato, che è diventato celeberrimo, della “Croce come sistemazione provvisoria”. Nel racconto egli narrò di essersi recato in visita pastorale da un suo parroco. Durante la visita aveva notato che in un angolo della sacrestia si trovava un antico crocifisso ligneo, rimosso dal suo posto a causa di alcuni lavori in corso. Accanto al crocifisso un cartello con una scritta: “Sistemazione provvisoria”. Don Tonino ebbe un sussulto, si rivolse deciso al parroco: “Quella scritta non la devi togliere, anzi, me la devi incorniciare!”

E da questo episodio costruì il suo annuncio che quel pomeriggio attualizzava con noi.

“Ragazzi, non vi preoccupate! La croce? È una sistemazione provvisoria! Quanto si sta in croce? Qualche ora? Ma, dopo, tutto cambia! Le cose si trasformano!”

Parlava con un filo di voce. Il corpo ischeletrito. Il volto scavato, divorato dalla malattia. Ma gli occhi. Gli occhi vivi, penetranti, pieni d’amore. Fissava ciascuno di noi, ci parlava con determinazione, con certezza, con parresia evangelica. Lui, un uomo ormai sulla soglia. Lui, crocifisso da dolori lancinanti e spazzato via da una malattia inesorabile. Parlava a noi. Ci rincuorava. Ci incoraggiava. Ci spronava. Ci invitava a guardare alla vita con gli occhi della speranza, con la certezza della fede, con la gioia nel cuore. “Coraggio, ragazzi! Non temete! Non abbiate paura! La croce? È una sistemazione provvisoria!”

Ancora adesso, scrivendo, non posso evitare di commuovermi.

L’ultimo saluto, il giorno del funerale. La celebrazione fu organizzata all’aperto, sul porto.

Presiedette la funzione Mons. Mariano Magrassi OSB, Arcivescovo di Bari-Bitonto e presidente della CEP, concelebranti tutti i vescovi pugliesi ed altri vescovi, decine e decine di sacerdoti e circa cinquantamila persone. Nel video che riproduco veniva trasmessa la famosa preghiera di don Tonino “Dammi, Signore, un’ala di riserva” che fu musicata e cantata per la prima volta durante questa celebrazione (9). Ricordo la processione finale, il canto toccava l’anima. Io mi ero riproposto di trattenere le emozioni e cercavo di farlo. Ma quando proseguimmo, alzai lo sguardo: donne, uomini, giovani, bambini, anziani, gente semplice e persone distinte, tutti, senza eccezione, erano rotti in pianto. Un popolo che piangeva il suo pastore, il suo padre, il suo amico, il suo fratello. Anch’io non potevo trattenermi. Davanti a questa scena la commozione mi prese da dentro e scoppiai in pianto, partecipe di questo tributo sincero. Ci aveva lasciato un uomo, un pastore, un vescovo che aveva parlato al cuore della gente, senza distinzioni, con passione, amore, benevolenza e freschezza evangelica. Non è stato solo uno scrittore ma un grande oratore e i suoi scritti e i suoi interventi, trascritti, occupano otto volumi (10).

Negli anni che sono seguiti ho avuto occasione di incontrare ed ascoltare le testimonianze preziose di altri che lo hanno incontrato di persona e conosciuto.

È veramente una scoperta sempre nuova e continua.

Lo stesso Papa Francesco ha voluto ricordarlo con la sua visita (11).

Sono certo che la sua testimonianza continuerà a far innamorare tante persone, credenti e non credenti, perché un uomo vero, un uomo che ha dedicato e donato la sua vita, donando un senso profondo di gratitudine e di speranza, parlando ai cuori e proponendosi, anche dopo l’elezione episcopale, come faceva: “non chiamatemi Eccellenza, Monsignor Antonio Bello. Sarò sempre per tutti don Tonino”. E i suoi occhi parlavano. Gli bastava uno sguardo.

(1) Fondazione don Tonino https://www.fondazionedontonino.it/

(2) Cfr. Mt 19, 23-30.

(3) Gli uni i piedi degli altri https://www.dontoninobello.info/as2-356/

(4) Audiant et laetentur https://www.conoscidontonino.it/audiant-et-laetentur/

(5) Assemblea dei “Beati i costruttori di Pace”, Arena di Verona, 20-22.02.1986 https://www.youtube.com/watch?v=8ZQ24suxmuU

(6) Cfr Is 2, 1-5

(7) Don Tonino, le parole “scomode” di un uomo libero – Vatican News https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-04/tonino-bello-papa-francesco-alessano-molfetta-visita-parole.html

(8) Colloquio con il fratello Trifone Bello https://www.youtube.com/watch?v=UkDdTnzKflA

(9) Molfetta-funerali di Don Tonino Bello

(10) https://www.dontoninobello.info/

(11) https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-molfetta-don-tonino-belloIl Papa: don Tonino ci aiuti a essere «Chiesa del grembiule» (avvenire.it)