Resoconto Manifestazione per la Pace “Europe for Peace” il 5 novembre 2023 in Piazza San Giovanni, Roma
Autore: Alessandro Manfridi
Articolo pubblicato su https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/sanremo-chiama-kinshasa-e-giuba-rispondono/
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Oggi comincia un Sanremo in cui si ascolterà in qualche modo il presidente ucraino Zelens’kyj, mentre è appena terminato il viaggio di Francesco in Africa dove sono risuonate al riguardo parole molto chiare…
7 febbraio 2023
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Se non ci saranno ulteriori precisazioni dell’ultima ora, gli italiani ascoltaranno un testo del presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj durante la serata finale del prossimo Festival di Sanremo.
Il dramma dell’Ucraina e della sua popolazione è costantemente richiamato dal Vescovo di Roma e sui media vaticani ci sono servizi giornalistici che riferiscono in maniera aggiornata il susseguirsi degli eventi.
Ciò nondimeno gli appelli di Francesco pare vadano controcorrente rispetto alla linea adoperata dagli attori di questo tragico conflitto, che ormai da quasi un anno continuano a ritenere che la soluzione dello stesso debba passare attraverso il continuo invio di armi e il dispiegamento muscolare di forze, leit-motiv tragico e, forse, sempre meno credibile.
Per questo, mettere in relazione l’annunciato intervento sanremese con il viaggio apostolico che il Vescovo di Roma ha vissuto nelle martoriate nazioni della Repubblica Democratica del Congo e del Sud Sudan[1] significa, a mio parere, raccogliere un messaggio che può dare più di una risposta a quel che si sta consumando in terra ucraina.
Nel suo incontro con le autorità, con la società civile e con il corpo diplomatico nel giardino del “Palais de la Nation” a Kinshasa, martedì 31 gennaio 2023[2] Francesco utilizza l’immagine del diamante che ritorna ben dieci volte nelle sue parole.
L’abbondanza di diamanti presenti in questa terra non è meno preziosa delle ricchezze spirituali racchiuse nei cuori umani. Francesco invita ad attuare quelle capacità insite nel cuore dell’uomo, realizzando la giustizia e il perdono, la concordia e la riconciliazione, bandendo ogni violenza ed odio presenti nel cuore e sulle labbra, che sono sentimenti antiumani ed anticristiani.
Purtroppo il veleno dell’avidità ha reso gli stessi diamanti di questo pase insanguinati, giungendo al paradosso che i frutti della sua terra lo rendono “straniero” ai suoi abitanti.
Altra osservazione: il diamante lavorato presenta numerose facce armonicamente disposte. La poliedricità è una ricchezza che va custodita, senza cadere nei tribalismi e nelle contrapposizioni. Ogni interesse di parte porta ad entrare in spirali di odio e di violenza, a svantaggio di tutti.
Molto suggestivo quello che la chimica ci insegna: a seconda della disposizione degli atomi di carbonio, la pietra può realizzare un diamante lucente o, viceversa, una oscura grafite.
Fuor di metafora, il problema non è la natura degli uomini o dei gruppi etnici e sociali, ma il modo in cui si decide di stare insieme: la volontà o meno di venirsi incontro, di riconciliarsi e di ricominciare segna la differenza tra l’oscurità del conflitto e un avvenire luminoso di pace e prosperità
La trasparenza del diamante che rifrange la luce in modo meraviglioso viene paragonata agli esempi di limpidezza cristallina di chi seve la società con incarichi civili e di governo non con lo spirito del potere ma con quello del servizio.
Altra immagine è quella del lavoro necessario perché il diamante grezzo venga lavorato, Qui c’è un appello al valore fondamentale dell’educazione per la promozione delle giovani generazioni, unito alla sofferenza per la constatazione che in questa nazione tanti bambini muoiono, sottoposti a lavori schiavizzanti nelle miniere.
Gli ultimi due richiami sono all’immagine del diamante come dono della terra e dunque l’impegno alla custodia del creato e alla protezione dell’ambiente, di cui Francesco è continuo paladino, come si evince in particolare nella sua enciclica Laudato Sii[3] e nell’ultimo lavoro “The Letter”[4] e, infine, quella del minerale di origine naturale con la durezza più elevata, presa a spunto per un invito alla resistenza pur nelle avversità, per costruire un futuro pacifico, armonioso e prospero.
Nell’omelia all’aeroporto Ndolo[5] il saluto pasquale del Risorto: «Pace a voi!» (Gv 20,19) più che un saluto, è una vera e propria consegna. Egli indica tre sorgenti di pace: il perdono, la comunità e la missione. Cristo mostra le piaghe, insegnandoci che il perdono nasce dalle ferite. Nasce quando le ferite subite non lasciano cicatrici d’odio, ma diventano il luogo in cui fare posto agli altri e accoglierne le debolezze. Allora le fragilità diventano opportunità e il perdono diventa la via della pace.
L’odio e la violenza non sono mai accettabili, mai giustificabili, mai tollerabili, a maggior ragione per chi è cristiano. L’odio genera solo altro odio e la violenza altra violenza.[6]
Riconciliarsi è generare il domani: è credere nel futuro anziché restare ancorati al passato; è scommettere sulla pace anziché rassegnarsi alla guerra; è evadere dalla prigione delle proprie ragioni per aprirsi agli altri e assaporare insieme la libertà.
Nell’incontro con i giovani e i catechisti molto interessante l’immagine della mano operosa e le sue cinque dita: preghiera, comunità, onestà, perdono, servizio [7].
Ritengo che uno dei discorsi più ricchi di spunti sia stato quello alle autorità, alla società civile e al corpo diplomatico a Giuba[8].
Innanzitutto egli sottolinea la condivisione di questo “Pellegrinaggio Ecumenico di Pace” con l’Arcivescovo di Canterbury e con il Moderatore dell’Assemblea generale della Chiesa di Scozia, «perché nella pace, come nella vita, si cammina insieme».
Cita Erodoto, che afferma come in guerra non sono più i figli a seppellire i padri, ma i padri a seppellire i figli (cfr Storie, I,87).
Poi si rifà all’incontro dei due fiumi che genera nel territorio sud sudanese il Nilo Bianco.
La limpida chiarezza delle acque scaturisce dunque dall’incontro. Questa è la via, fratelli e sorelle: rispettarsi, conoscersi, dialogare. Perché, se dietro ogni violenza ci sono rabbia e rancore, e dietro a ogni rabbia e rancore c’è la memoria non risanata di ferite, umiliazioni e torti, la direzione per uscire da ciò è solo quella dell’incontro, la cultura dell’incontro: accogliere gli altri come fratelli e dare loro spazio, anche sapendo fare dei passi indietro. Questo atteggiamento, essenziale per i processi di pace, è indispensabile anche per lo sviluppo coeso della società.
Altra interessante metafora è quella legata alla necessità di mantenere pulito il letto del fiume per prevenire le inondazioni. Egli qui indica la necessità per la vita sociale della lotta alla corruzione: giri iniqui di denaro, trame nascoste per arricchirsi, affari clientelari, mancanza di trasparenza.
Ma la metafora ancora più attuale è quella legata alla necessità di dotare il fiume di argini adeguati.
Anzitutto va arginato l’arrivo di armi che, nonostante i divieti, continuano a giungere in tanti Paesi della zona e anche in Sud Sudan: qui c’è bisogno di molte cose, ma non certo di ulteriori strumenti di morte… tutti i bambini di questo Continente e del mondo, hanno il diritto di crescere tenendo in mano quaderni e giocattoli, non strumenti di lavoro e armi.
Infine, l’esempio del fiume che non conosce confini, ci insegna che «per raggiungere uno sviluppo adeguato è essenziale, oggi più che mai, coltivare relazioni positive con altri Paesi, a cominciare da quelli circostanti.»
Nell’incontro con i vescovi, i sacerdoti, i diaconi, i consacrati, le consacrate e i seminaristi a Giuba[9] Francesco richiama Il ritiro spirituale per le autorità civili ed ecclesiastiche del Sud Sudan presso Santa Marta l’11 aprile 2019, del quale tutti noi ricordiamo il segno incredibile che egli volle fare baciando i piedi dei presenti[10]
Nell’incontro con gli sfollati interni presso la “Freedom Hall” [11] Francesco, accogliendo le storie drammatiche e ricordando il dramma che registra la più grande crisi di rifugiati del Continente, con almeno quattro milioni di sfollati, con l’insicurezza alimentare e la malnutrizione che colpiscono i due terzi della popolazione invita i giovani a
una nuova narrativa dell’incontro, dove quanto si è patito non sia dimenticato, ma venga abitato dalla luce della fraternità; una narrativa che metta al centro non solo la tragicità della cronaca, ma il desiderio ardente della pace. Siate voi, giovani di etnie diverse, le prime pagine di questa narrativa! Se i conflitti, le violenze e gli odi hanno strappato via dai buoni ricordi le prime pagine di vita di questa Repubblica, siate voi a riscriverne la storia di pace!
Il viaggio apostolico si conclude con una significativa omelia durante la celebrazione eucaristica presso il Mausoleo “John Garang” (Giuba) domenica 5 febbraio[12].
Egli invita a riflettere su tre verbi: pregare, operare e camminare.
Gesù ci vuole «operatori di pace» (Mt 5,9), Ecco la pace di Dio: non solo una tregua tra i conflitti, ma una comunione fraterna, che viene dal congiungere, non dall’assorbire; dal perdonare, non dal sovrastare; dal riconciliarsi, non dall’imporsi. Talmente grande è il desiderio di pace del Cielo, che fu annunciato già al momento della nascita di Cristo: «sulla terra, pace agli uomini, che egli ama» (Lc 2,14)
Carissimi, chi si dice cristiano deve scegliere da che parte stare. Chi segue Cristo sceglie la pace, sempre; chi scatena guerra e violenza tradisce il Signore e rinnega il suo Vangelo. Lo stile che Gesù ci insegna è chiaro: amare tutti, in quanto tutti sono amati come figli dal Padre comune che è nei cieli. L’amore del cristiano non è solo per i vicini, ma per ognuno, perché ciascuno in Gesù è nostro prossimo, fratello e sorella, persino il nemico (cfr Mt 5,38-48)
…chi si professa credente non vi sia più spazio per una cultura basata sullo spirito di vendetta; perché il Vangelo non sia solo un bel discorso religioso, ma una profezia che diventa realtà nella storia. Operiamo per questo: lavoriamo per la pace tessendo e ricucendo, mai tagliando o strappando
nel nome di Gesù, delle sue Beatitudini, deponiamo le armi dell’odio e della vendetta per imbracciare la preghiera e la carità; superiamo quelle antipatie e avversioni che, nel tempo, sono diventate croniche e rischiano di contrapporre le tribù e le etnie; impariamo a mettere sulle ferite il sale del perdono, che brucia ma guarisce. E, anche se il cuore sanguina per i torti ricevuti, rinunciamo una volta per tutte a rispondere al male con il male, e staremo bene dentro; accogliamoci e amiamoci con sincerità e generosità, come fa Dio con noi. Custodiamo il bene che siamo, non lasciamoci corrompere dal male!
Alla speranza vorrei associare un’altra parola, la parola di questi giorni: pace. Con i miei Fratelli Justin e Iain, che ringrazio di cuore, siamo venuti qui e continueremo ad accompagnare i vostri passi, tutti e tre insieme, facendo tutto quello che possiamo perché siano passi di pace, passi verso la pace. Vorrei affidare questo cammino di tutto il popolo con noi tre, questo cammino della riconciliazione e della pace a un’altra donna. È la nostra tenerissima Madre Maria, la Regina della pace. Ci ha accompagnato con la sua presenza premurosa e silenziosa. A lei, che ora preghiamo, affidiamo la causa della pace in Sud Sudan e nell’intero Continente africano. Alla Madonna affidiamo anche la pace nel mondo, in particolare i numerosi Paesi che si trovano in guerra, come la martoriata Ucraina.
I drammi del continente africano, non hanno niente di meno drammatico e di meno ingiusto del dramma che sta vivendo il martoriato popolo ucraino (insieme con quelli delle popolazioni del Sud Sudan, dello Yemen, della Siria, della Palestina, del Myanmar e non solo, più volte ricordate nei mesi scorsi negli interventi di Francesco).
Ma la ricetta del Vescovo di Roma è un’altra. Non armi, odio, conflitto. Piuttosto “giustizia, perdono, concordia, riconciliazione”.
Vale per le etnie martoriate delle nazioni della Repubblica Democratica del Congo e del Sud Sudan e con esse per quelle dell’intero continente africano, idealmente abbracciato da questo “Pellegrinaggio Ecumenico di Pace” con l’Arcivescovo di Canterbury e con il Moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia.
Ma vale anche per i popoli fratelli russo e ucraino.
Purché i responsabili delle parti inizino a parlare di negoziati, ormai interrotti dieci mesi fa.
[1] https://www.vatican.va/content/francesco/it/travels/2023/outside/documents/congo-sudsudan-2023.html
[2]https://www.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2023/1/31/autorita-repdem-congo.html
[3] https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html
[4] https://youtu.be/Rps9bs85BII
[5] SANTA MESSA OMELIA DEL SANTO PADRE Aeroporto “Ndolo” Mercoledì, 1° febbraio 2023 https://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2023/documents/20230201-omelia-repdem-congo.html
[6] INCONTRO CON LE VITTIME DELL’EST DEL PAESE DISCORSO DEL SANTO PADRE Nunziatura Apostolica (Kinshasa)
Mercoledì, 1° febbraio 2023 https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2023/february/documents/20230201-vittimeest-repdem-congo.html
[7] INCONTRO CON I GIOVANI E CON I CATECHISTI DISCORSO DEL SANTO PADRE “Stadio dei Martiri” (Kinshasa) Giovedì, 2 febbraio 2023 https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2023/february/documents/20230202-giovani-catechisti-repdem-congo.html
[8] INCONTRO CON LE AUTORITÀ, CON LA SOCIETÀ CIVILE E CON IL CORPO DIPLOMATICO DISCORSO DEL SANTO PADRE
Giardino del Palazzo Presidenziale (Giuba) Venerdì, 3 febbraio 2023 https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2023/february/documents/20230203-autorita-sudsudan.html
[9] INCONTRO CON I VESCOVI, I SACERDOTI, I DIACONI, I CONSACRATI, LE CONSACRATE E I SEMINARISTI
DISCORSO DEL SANTO PADRE Cattedrale di Santa Teresa (Giuba) Sabato, 4 febbraio 2023 https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2023/february/documents/20230204-clero-sudsudan.html
[10] RITIRO SPIRITUALE PER LE AUTORITÀ CIVILI ED ECCLESIASTICHE DEL SUD SUDAN DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO Domus Sanctae Marthae Giovedì, 11 aprile 2019 https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/april/documents/papa-francesco_20190411_leaders-sudsudan.html
[11] [11] INCONTRO CON GLI SFOLLATI INTERNI DISCORSO DEL SANTO PADRE “Freedom Hall” (Giuba) Sabato, 4 febbraio 2023 https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2023/february/documents/20230204-sfollati-sudsudan.html
[12] OMELIA DEL SANTO PADREMausoleo “John Garang” (Giuba) Domenica, 5 febbraio 2023 https://www.vatican.va/content/francesco/it/homilies/2023/documents/20230205-omelia-sudsudan.html
Dopo otto mesi di guerra, chiedere con forza un negoziato di pace, non è l’unico modo per evitare una escalation dannosa per tutti?
7 novembre 2022
Sabato 5 novembre sono state realizzate due manifestazioni nazionali di piazza, una a Milano e una a Roma. I mezzi di informazione hanno intervistato i politici che vi hanno partecipato, mossi da una linea opposta. A Milano si chiede di non interrompere l’invio delle armi a Kiev, linea sostenuta da Washington, dalla NATO, dalla UE e dal governo italiano. Manifestazione di piazza organizzata da Calenda e da Renzi. Improprio il confronto con la grande manifestazione di Roma, perché, pur se tra i partecipanti erano presenti anche diverse formazioni della sinistra italiana, a nessun politico è stata data la parola, i nomi delle compagini partitiche non risultano tra gli aderenti ed è stato chiesto alle stesse di non mostrare bandiere di partito. L’intera manifestazione si è definita e si è svolta come una manifestazione apartitica.https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/molte-prospettive-per-un-unico-sguardo-di-pace/
La piattaforma “EUROPE FOR PEACE”, così chiamata perché gli organizzatori vogliono rivolgersi all’Europa oltre che alle istituzioni italiane, è stata coordinata come capofila dalla Rete Italiana Pace e Disarmo e da quella di Sbilanciamoci! e ad essa hanno aderito oltre 500 realtà associative italiane. Il corteo è partito da piazza della Repubblica e ha sfilato fin sotto il palco montato in piazza san Giovanni in Laterano, dove ci sono state testimonianze ed interventi, introdotti da Sergio Bassoli (Rete italiana Pace Disarmo) e Francesca Giuliani (Sbilanciamoci!).
La Giuliani ha letto l’appello che la piattaforma vuole presentare al Governo e al Parlamento per chiedere una trattativa di pace. Sono poi stati mostrati due video messaggi (entrambi sottotitolati) di Katrin (Katya) Cheshire (attivista del Movimento Pacifista Ucraino) che parlava in ucraino e Alexander Belik (Coordinatore del Movimento degli Obiettori di Coscienza Russi) che parlava in inglese. Don Tonio Dell’Olio ha letto la lettera rivolta dal presidente della CEI, il Cardinal Zuppi, ai manifestanti.
Dopo queste testimonianze sono iniziati gli interventi dei rappresentanti delle organizzazioni promotrici ed organizzatrici della manifestazione. Raffaella Bolini (ARCI), si è rivota ai giovani, invitandoli a stare “sempre dalla parte delle vittime… Non consentite che la guerra torni ad essere un valore… Imparate invece il diritto internazionale che dà forza a chi non ha potere… Per l’art. 51 della carta dell’ONU la comunità internazionale ha il dovere di ristabilire la pace: non di partecipare alla guerra, non di farla proseguire, non di armarla!”. Senza dimenticare le carovane di aiuti promosse dai volontari in Ucraina, portando aiuti alle popolazioni di Odessa, Mykolaiv e di altre città – come ha testimoniato Gianpiero Cofano di Stop the War Now.
Gianfranco Pagliarulo (ANPI) ricorda che per la prima volta si parla della guerra atomica come di una possibilità reale, e in Italia si cambiano e aggiornano le testate nucleari. Le “armi nucleari tattiche” sono più potenti di quelle che caddero in Giappone. Non scordiamoci che in Italia le 120 basi NATO non sono solo avamposti militari, sono bersagli. A tal proposito, per la campagna “Italia ripensaci” sulla proibizione delle armi nucleari, Lisa Clark legge un messaggio della hibakusha (sopravvissuta) di Hiroshima Setsuko Thurlow (che ha pronunciato il discorso di accettazione del Premio Nobel per la Pace 2017 assegnato alla International Campaign to Abolish Nuclear Weapons). E Rossella Miccio (Emergency – Associazione ONG Italiane) afferma che Gino Strada sarebbe sato molto contento nel vedere questa piazza: “metteremo fine alla guerra o l’umanità sarà spazzata via dalla guerra”. Dà la sua testimonianza anche Nicolas Marzolino (giovane consigliere Associazione Nazionale Vittime Civili di Guerra) vittima di un ordigno inesploso che evidenzia l’impatto devastante a lungo termine delle guerre e delle armi.
Giuseppe De Marzo (Rete dei Numeri Pari) ha ricordato che “l’antidoto alle guerre sono i diritti… Agire per la pace significa lottare per la giustizia sociale”. Don Ciotti (Libera), evocando don Tonino Bello a Sarajevo nel dicembre 1992, accenna ad un importante iniziativa, quella della Campagna “Sei per la pace, sei per mille”, e denuncia la logica competitiva del mercato economico come anticamera delle guerre: “tre sole multinazionali detengono il 63% del mercato delle sementi e il 75% degli agrofarmaci, mettendo milioni di contadini nella totale disperazione… Si muore di fame e la fame determina, con le altre 59 guerre, migrazioni epocali. 828 milioni sono coloro che soffrono la fame, 2 miliardi e 300 milioni vivono l’insicurezza alimentare. L’accesso all’acqua potabile è difficile per 4 miliardi di persone. Le mafie vivono, come l’industria delle armi, sui conflitti… La pace si costruisce innanzitutto nel pensiero, occorre pensare la pace e pensarla possibile. Si costruisce anche nel linguaggio. La pace si costruisce nella pratica. I veri pacifisti sono i costruttori di pace, che lavorano per realizzare i diritti, la giustizia, la libertà, la dignità per ogni essere umano”.
Perciò Andrea Riccardi (Comunità di Sant’Egidio) contesta il fatto che “con incredibile leggerezza si è parlato della ricerca di pace come velleitarismo, come buonismo, ancora peggio, come tradimento. Certo, la pace dovrebbe essere giusta, ma la pace è impura perché nasce dalla guerra… Le guerre non finiscono e i popoli si spengono. Vogliamo questo per il popolo ucraino? Bisogna investire di più sul dialogo e sulla diplomazia, coinvolgendo l’ONU e la UE”. E, in conclusione, Maurizio Landini (CGIL) ha gridato con forza che “dopo otto mesi, se non riparte la diplomazia, il rischio è quello della guerra nucleare… Bisogna superare ed eliminare le armi nucleari. Non c’è altra strada che quella di ridurre gli armamenti… Basta con la spesa per le armi, ma investiamo in sanità, cura delle persone, della scuola”.
Da questa piazza, dunque, è venuta una forte richiesta di cambiamento. Perciò è stato molto importante condividere questa manifestazione e farlo con oltre centomila persone presenti in piazza: un’“unità nelle diversità”. Ora bisogna continuare ad operare come “costruttori di pace” e spingere il governo italiano e le istituzioni europee a rivedere la linea finora seguita e iniziare a parlare di pace e a proporre passi concreti perché le parti possano sedersi al tavolo delle trattative e negoziare.
La pace proibita
La pace proibita
«Viviamo nell’era dell’“ARMICENE”: da quando l’uomo ha fatto la sua comparsa sulla Terra, ha iniziato ad armarsi con armi da taglio fino all’era dell’Atomica e sono le armi a determinare il suo destino, oggi come non mai». Con questo testo scritto e narrato dallo street artist Sirante si è aperta la serata condotta da Michele Santoro presso il teatro Ghione in Roma, dal titolo provocatorio ma reale: “La pace proibita”. Elio Germano, poi, ha ricordato nel suo intervento la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, rifacendosi alla testimonianza di Gino Strada, mentre Luciana Castellina, co-fondatrice de Il Manifesto, ha concluso il suo lungo monologo con l’affermazione: «il nostro primo obiettivo non è fermare Putin quanto realizzare la pace».
Perciò la riflessione di Sabina Guzzanti si è concentrata innanzitutto sulla dinamica di un’informazione dettata dalla propaganda. È vero che in ogni dibattito è sempre presente il rappresentante della posizione pacifista o di quella, comunque, critica verso l’operato dell’Occidente. Ciò però avviene per le esigenze dei talk show, che hanno bisogno di mostrare un interlocutore verso cui dibattere. È a questa logica che risponde tale presenza, più che a quella di chi voglia dar voce, indifferentemente, a visioni anche opposte e a proposte diverse per arrivare alla soluzione del conflitto. Coloro che gestiscono la regia della trasmissione sono gli scrittori della sceneggiatura della stessa. La libertà dell’informazione è dunque inficiata dal modo di gestirla e di indirizzarla. È vero, in Italia non si va in carcere per aver espresso la propria opinione, ma si può sempre rischiare di perdere il lavoro per questo motivo.
Per questo Fiorella Mannoia ha eseguito la canzone “Il disertore” di Boris Vian, scritta per protestare contro la gestione della Francia che passava dalla guerra in Indocina a quella in Algeria, ma che illustra bene le ragioni della popolazione che chiede al suo Presidente di non portarla a morire in guerra sui campi di battaglia. Tommaso Montanari (rettore dell’Università di Siena) ha ripreso il testo di Boris Vian nella traduzione, ancora più cruda, che ne ha fatto Luigi Tenco: i destinatari del grido della povera gente mandata a morire in guerra e vittima della guerra non sono chiamati come: “Signor Presidente” ma come “I Padroni della Terra”. Lo stesso Montanari, dopo aver recitato Trilussa e citato don Milani, si è allineato con gli appelli che Papa Francesco sta rivolgendo alle parti da due mesi per la cessazione di questo conflitto.
D’altronde sono reazioni comprensibili se pensiamo alle affermazioni lucide e chirurgiche del generale Fabio Mini, intervistato da Guido Ruotolo, sulle dinamiche del conflitto e dei protagonisti che lo muovono. In ogni caso, se in Italia l’80% degli italiani è contro questa guerra e l’80% dell’informazione è a favore di questa guerra o comunque la ritiene inevitabile, quindi è a favore della sua prosecuzione, c’è qualcosa che non va. Nel mondo ad oggi ci sono 138 guerre in via di svolgimento. Se il servizio informativo ce le mostrasse tutte raccoglierebbe lo stesso orrore, la stessa solidarietà con le vittime e la stessa indignazione che gli spettatori italiani esprimerebbero, chiedendo che sia trovata una soluzione per la pace.
Per questo Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, ribalta le accuse rivolte a chi chiede la pace. E alle domande – «Come lo fermate voi Putin? Con le preghiere? Con le manifestazioni? Con i cortei?» – risponde: «Perché? Voi come lo fermate? Con le armi? Con il braccio di ferro? Con la lotta “fino all’ultimo ucraino”?». E cita Gandhi, Martin Luther King, Mandela, Tonino Bello, Capitini, «tutta gente morta ammazzata o morta troppo presto».
Passando all’analisi storica, Fiammetta Cucurnia, vedova di Giulietto Chiesa, ha offerto una lettura degli eventi che hanno portato la Russia ai passaggi degli ultimi decenni: dalla politica di Gorbaciov per una nuova URSS che si relazionasse con le altre Nazioni (con una apertura impensabile prima di lui) alla promessa fatta dalla NATO di non entrare nei paesi limitrofi; dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica all’ingresso di Polonia, Ungheria, Bulgaria e Romania nella NATO; dal disastro provocato a causa del passaggio violento da un’economia socialista ad una economia di mercato, riducendo alla fame milioni di russi sotto Eltsin, al potere consegnato nelle mani dell’attuale presidente Putin. Per quanto riguarda l’Europa, la filosofa Donatella Di Cesare ha evidenziato che il concetto di Stato ha finito per diventare divisivo e dividente: l’Europa che volevamo e che vogliamo deve andare oltre gli Stati e oltre i nazionalismi, per realizzare una politica di coabitazione dei popoli.
Moni Ovadia, dal canto suo, si è rifatto ad una giornalista americana che si era chiesta come mai le forze armate ucraine, a partire dal battaglione Azov, fossero contraddistinte dai simboli e dalle svastiche naziste (e perché questo venga sminuito dai mezzi di informazione occidentali); come mai da decenni un paese NATO come la Turchia “macella” il popolo curdo e nessuno fa nulla. Una giornalista protesta: concentriamoci sul presente! Vauro Senesi, allora, ricorda il giornalista fotoreporter Andy Rocchelli, ucciso in Donbass nel 2014 da un colpo di mortaio che si pensa sia stato volutamente lanciato dall’esercito ucraino, ma che è rimasto impunito. Mentre Santoro ricorda gli eventi che portarono alla “strage di Odessa” (con l’uccisione di 42 ucraini russofoni) nel maggio 2014, video-documentata da Paul Moreira nel 2016, e si chiede come mai Macron e Merkel, che dovevano essere i garanti per la UE, non abbiano fatto sentire la loro voce a Kiev per questi fatti. Fino a due settimane prima dell’invasione russa dell’Ucraina, d’altronde, la stessa UE ha negato la possibile soluzione prevista dalla attuazione degli accordi di Minsk, considerandoli “carta straccia”.
I tre intermezzi con i dati del giornalista del Sole 24 Ore, Gianni Dragoni, ci hanno presentto però, in maniera concreta ed inequivocabile (grazie alle proiezioni Onu), le più profonde ragioni della pace: la guerra sta producendo in primo luogo una drammatica crisi alimentare per la crescita dei prezzi del grano e di tutti gli altri prodotti (a fine mese la Tunisia non avrà più farina!). La crisi economica, dovuta alla crescita dei prezzi, si tradurrà in una inevitabile recessione. Tutto questo porta aa una previsione drammatica: un miliardo e settecento milioni di persone rischiano di finire in povertà! Da notare, invece, che se il PIL degli USA e dell’Italia sono crollati, “tiene” il settore delle armi: Lockeed Martin + 20 miliardi $ (+22%), Raytheon +11,8 miliardi $ (+9%); la Leonardo + 2 miliardi € (+56%).
Se non sono questi dati, da soli, sufficienti a farci considerare che la guerra non è la soluzione ma la causa di mali più gravi e catastrofici, allora, è indubbio dirlo, dobbiamo convenire che abitiamo in un’era che non può non essere riconosciuta come l’ARMICENE.
La vera rivoluzione
Pubblicato su LA VERA RIVOLUZIONE – GLI STATI GENERALI
Mettiamo da parte la fede religiosa e limitiamoci allo spessore morale.
Per tutti coloro che ritengono che Gesù di Nazareth sia un personaggio il cui messaggio non si ferma ai soli credenti ma arriva a chiunque voglia coglierne la proposta, l’esempio, l’appello.
La domanda oggi diretta è: il soldato russo omicida e stupratore ha una madre come ce l’abbiamo io e tu? Ha una compagna, dei figli, una casa, una famiglia dalla quale tornare come la nostra?
Di più: possiamo dire che egli è un “figlio di Dio” come me e te?
Che io sia un credente o meno, se le mie risposte sono positive, allora devo concludere che egli non è diverso da me.
La portata “rivoluzionaria” delle parole del capitolo 6 del vangelo di Luca sono quelle che mi invitano a fare del mio nemico l’oggetto delle mie preghiere; quelle che mi invitano all’impegno di perdonarlo (perché “non sa quello che fa!”, cfr. Lc 23,34); quelle che mi chiedono di arrivare ad AMARLO!
Ma come è possibile amare chi fa del male non tanto a me quanto ai miei cari[1]?
È chiaro che un amore simile è umanamente impossibile.
Ma se siamo disponibili a percorrere questa via, chiedendo che la forza che umanamente non abbiamo ci arrivi con un aiuto “ulteriore”, quale quello che solo l’esperienza del limite ci può consegnare, vedremo cose che non avremo mai immaginato.
Per poter varcare questa soglia e passare dall’esperienza dell’ombra a quella di una nuova luce, promessa dalla speranza che abita in ognuno di noi, è necessario cogliere l’invito di Luca 6 in tutti i suoi passaggi.
Io DEVO convincermi che accogliere questo invito è vitale. Io POSSO mettere in pratica quello che umanamente pare ben altro che una “umana” rivoluzione. Io devo VOLERE che tale rivoluzione possa compiersi, iniziando a porre un seme di cui non vedo ancora i frutti ma la cui promessa potrà portare a farli sbocciare, prima di quanto possa immaginare.
Il pregare, il perdonare, l’amare il mio nemico questo sì, lo disarmerebbe, lo sconfiggerebbe, lo convertirebbe. Come non possono fare le armi, la violenza, la guerra, le vendette, gli omicidi.
E se questa azione fosse non solo dei singoli, ma dei popoli e delle nazioni, vedremo una “rivoluzione” come non abbiamo mai visto sulla faccia della terra.
Siamo sempre in tempo per iniziare a compierla. Oggi più che mai.
[1] https://www.vinonuovo.it/teologia/pensare-la-fede/quando-perdonare-significa-tornare-alla-vita/
STOP THE WAR NOW
STOP THE WAR NOW
ALESSANDRO MANFRIDI:9 Aprile 2022
Pubblicato su STOP THE WAR NOW – GLI STATI GENERALI
Sapete cosa mi ha raccontato l’altro giorno un’amico che ha partecipato alla Carovana della pace #stopthewarnow a Leopoli?
“I polacchi si fanno in quattro per accogliere i profughi ucraini… ma non si fanno alcuno scrupolo per respingere i profughi siriani e quelli afgani…”.
Dove sta il vangelo?
Se il mio fratello non è più il mio prossimo ma conta solo la sua nazionalità, è chiaro che oggi il mondo è diviso e la mentalità che si coltiva è quella della “caccia al nemico!”.
Non dimentico un’intervista su RAI Uno ad una donna ucraina in lacrime i primi giorni del conflitto: “Anche i giovani soldati russi sono figli come i figli miei, il loro sangue è sangue di esseri umani come il nostro!”.
Ora invece è probabile che, dopo un mese di conflitto, le voci che chiedono la cessazione del conflitto siano sopravanzate da quelle dell’odio che vedono in ogni soldato russo uno stupratore, un criminale, un nemico che merita la morte.
Pubblicato su Non c’è pace senza giustizia – VinoNuovo.it
Lo studio della storia umana è davvero qualcosa di impressionante.
Sono praticamente settemila anni, da quando sono apparse le prime civiltà, che gli uomini si sono fatti la guerra, da quelle tribali a quelle tra imperi (solo in occidente studiamo quelli assiro, babilonese, persiano, macedone, romano, fino allo scontro tra impero islamico/ottomano e cristiano di oriente e di occidente) per passare alle guerre tra i moderni stati nazionali che hanno visto la luce sul continente europeo negli ultimi cinque secoli. Per concludersi con la storia di un imperialismo coloniale perpetuato in particolare dalle “nazioni cristiane” negli ultimi due secoli, che è sfociato in due “guerre mondiali” e nell’uso dell’atomica su Hiroshima e Nagasaki nel 1945.
A confronto, le ragioni della pace hanno visto proprio nell’era contemporanea, il XX secolo, il fiorire delle vicende e degli insegnamenti di alcuni grandi personaggi: da Gandhi, padre dell’indipendenza indiana nel 1947[1]; a Giovanni XXIII con il suo magistero di pace che sventò la crisi nucleare di Cuba nel 1962[2] e che ci ha donato un testamento attualissimo con la PACEM IN TERRIS[3]; a Martin Luther King, il cui discorso al Lincoln Memorial del 28 agosto 1963 è tra i più citati nella storia[4]; a Nelson Mandela nel nuovo paradigma di convivenza tra bianchi e neri in Sudafrica[5]; per finire al lascito che ci consegnano i protagonisti del Nobel della pace[6] e di tutte le organizzazioni nate per conseguirla[7].
Perché la pace possa attuarsi c’è bisogno però che essa vada a pari passo con la giustizia.
Ce lo ricorda don Tonino Bello, in quel formidabile intervento all’Arena di Verona il 30 aprile 1989, dove citando il profeta Isaia invitava: “In piedi, costruttori di pace!”.
Lo ricorda in maniera forte e passionale durante la sua partecipazione alla trasmissione “Samarcanda”, condotta da Michele Santoro, il 21 febbraio 1991, quando, difendendo le ragioni della pace durante il conflitto NATO-Iraq per l’invasione del Kuwait, ricordava che “oltre alla gente che muore sotto le bombe, ogni due secondi che noi stiamo qui a parlare, ci sono tre persone che muoiono per fame…”. Ci vorrebbe un nuovo ordine internaziale, che, a partire da una ridefinizione degli obiettivi dell’economia globale, garantisca la giustizia alle popolazioni mondiali, perché, ove non c’è giustizia minima sui diritti fondamentali delle popolazioni, “noi di pace ne vedremo poca”[8].
La testimonianza di Don Tonino Bello trova un coronamento enorme nella spedizione di pace a Sarajevo nel dicembre 1992[9].
Sotto il coordinamento organizzativo di don Albino Bizzotto e dell’associazione “Beati i costruttori di pace” 500 persone si imbarcarono, accompagnati da don Tonino Bello e da Mons. Luigi Bettazzi, da Ancona a Split, per recarsi in pullman nella martoriata Sarajevo in pieno conflitto serbo-croato-bosniaco, mettendo a rischio la propria vita per dare ragione dei motivi della giustizia, della speranza e della pace contro quelli della violenza, delle armi e della guerra.
Esattamente a trent’anni da quella spedizione, dal 31 marzo al 3 aprile scorsi, si è realizzata un’identica “Carovana della pace”, lanciata dalla Comunità “Papa Giovanni XXIII”, che ha visto l’adesione di 159 organizzazioni e la partecipazione, con sessanta automezzi, di 200 volontari che da Gorizia si sono recati via Slovenia, Ungheria e Polonia in Ucraina a Leopoli, dove hanno portato un milione di euro di aiuti umanitari, realizzato incontri con le autorità locali, vissuto una marcia per la pace per le strade della cittadina e portato in Italia 300 profughi ucraini.
Qui potete trovare le foto, i video, i passaggi di quest’esperienza a L’viv, uniti alla possibilità di aderire a prossime simili iniziative[10].
In questo mese di conflitto, da più parti ci sono state voci che hanno messo in dubbio la realizzabilità delle proposte di chi si rifà alle ragioni della pace.
È ovvio che i due elementi principali necessari ad un’alternativa non violenta all’uso di una resistenza armata sono quelli di un’educazione popolare alla non violenza attiva, fatta di boicottaggio e non collaborazione; Gandhi ha avuto bisogno di anni per condurre a tutto questo il popolo indiano, salvo poi sventare una guerra civile durante la costituzione dei due stati nazionali dell’India e del Pakistan. Ma la vicenda indiana, come quella sudafricana e non solo, dimostrano che un’alternativa nonviolenta all’uso delle armi è possibile.
Altro elemento è quello della realizzazione e della ricezione di una corretta informazione. Anche qui, il successo della vicenda indiana è dovuto anche ai servizi cinematografici e giornalistici degli inviati dell’epoca, a partire dall’epica “marcia del sale”.
Viceversa, a Sarajevo nel 1992 ci fu il silenzio di tutti i media del tempo, televisioni e carta stampata, se si escludono le pagine de “Il Manifesto” che pubblicò il diario scritto da don Tonino Bello in quei giorni[11].
A tal riguardo, pare che dopo trent’anni qualcosa sia cambiato, dato che della “Carovana della pace” a L’viv hanno parlato carta stampata[12] e telegiornali nei giorni scorsi.
Forse merito, anche, di un costante appello da parte del Vescovo di Roma che dall’inizio del conflitto invoca una risoluzione di pace.
La guerra in Ucraina, che è entrata in casa nostra come nessun altro conflitto negli ultimi decenni, può essere dunque occasione preziosa non solo per recepire l’appello e l’anelito alla pace che ognuno di noi riconoscerebbe.
Deve essere occasione per un’azione attiva contro quelle dinamiche che sono all’origine di ogni conflitto bellico: un’economia che non ha lo sviluppo umano al centro dei suoi obiettivi; un’industria delle armi che vuole mettere a tacere ogni voce per la pace, tacciandola di utopismo.
Memori dell’insegnamento biblico e non solo, nessuna pace sarà mai realizzabile, se non si lavora per rimuovere le cause di ingiustizia che in maniera strutturale costringono intere popolazioni ad una vita subumana. La voce profetica di padre David Maria Turoldo, nel suo intervento del 1967 a Milano, può ben riassumere questa realtà, con parole accorate che si fanno preghiera, visione e, al tempo stesso, appello[13].
[1] (21) Gandhi. La forza della nonviolenza. Presentazione – YouTube
[2] (21) Giovanni XXIII e la crisi di Cuba. Presentazione – YouTube
[3] Pacem in Terris (11 aprile 1963) | Giovanni XXIII (vatican.va)
[4] “I Have A Dream” di Martin Luther King – discorso integrale con sottotitoli in italiano – YouTube
[5] Nelson Mandela: la vita e la storia | Studenti.it
[6] Premio Nobel.org (www-nobelprize-org.translate.goog)
[8] Gli interventi di don Tonino Bello a Samarcanda (21.2.1991) – Bing video
[9] (21) Don Tonino Bello Sarajevo 1992 Missione popolare nonviolenta Popular nonviolent mission – YouTube
[10] Stop the war now – Azione di Pace nonviolenta in Ucraina – 1 Aprile
[11] Missione popolare nonviolenta Sarajevo dicembre 1992.pdf – Google Drive
[12] Il popolo della pace verso Leopoli (avvenire.it)
[13] Il Blog di Enzo Bianchi – Il Blog di Enzo Bianchi
Pubblicato su https://www.glistatigenerali.com/geopolitica/la-pace-non-puo-attendere/
Gandhi nell’indipendenza indiana nel 1947[1].
Giovanni XXIII nella crisi nucleare di Cuba nel 1962[2].
Don Tonino Bello nella spedizione di pace a Sarajevo nel 1992[3].
Thomas Sankara nella sua testimonianza politica[4].
E ci aggiungiamo il dramma degli schiavi della tratta, che ci ricorda che la pace senza giustizia non può essere conseguita[5].
La testimonianza di questi enormi personaggi è oggi attuale più che mai.
Il pacifismo e il movimento pacifista internazionale non è una via utopista.
La logica delle armi è sempre una logica perdente, distruttiva, cieca.
L’alternativa è possibile.
Partiamo dal diffondere una cultura ed una mentalità che ci faccia capire che la pace non è un’illusione ma l’unica strada percorribile.
[1] https://youtu.be/3ivtXntUWyY
[2] https://youtu.be/Q0_4BrpqUAM
[3] https://youtu.be/FY3A8EH1x-o
Se la profezia è visione che va oltre, quella di Francesco è un’analisi realista che si fa appello
di Alessandro Manfridi
Pubblicato su https://www.glistatigenerali.com/diritti-umani_immigrazione/profezia-no-realismo-puro/
L’intervista realizzata in diretta televisiva con Papa Francesco il sei febbraio sera ci propone una serie di riflessioni.
Al di là di qualsiasi appartenenza religiosa od ecclesiale, il colloquio con il Vescovo di Roma può essere ascoltato da chiunque, dato che gli argomenti sono di ampio respiro ed inducono a varie riflessioni[1].
Francesco è intervistato su tematiche ed eventi sui quali più volte si è espresso.
Migranti, solidarietà, aggressività, impegno a perdonare, futuro della Chiesa, preghiera, amicizia.
Riproponiamo le sue parole a ritroso, spigolando tra le sue affermazioni, con l’invito a seguire l’intervista sulla rete.
L’amicizia è qualcosa di molto importante, gli amici veri sono necessari ed è fondamentale poter contare su di loro.
La preghiera è un’esperienza simile a quella del bambino, che sa di poter contare sul genitore al quale si rivolge. San Paolo stesso ci dice che dobbiamo rivolgerci a Dio come ci rivolgeremmo ad un “papà”. E il bambino stesso, quando pone una domanda al genitore, non attende la sua risposta né la sua risposta è il suo interesse maggiore. Quel che conta per il bambino è stare al centro delle attenzioni di coloro ai quali si rivolge e sapere di essere amato da loro e di poter contare su di loro.
Sul futuro della Chiesa, cita la EVANGELI NUNTIANDI[2] di Paolo VI e il documento di Aparecida[3] ai quali ha attinto per la EVANGELI GAUDIUM[4]. Una chiesa in cammino verso il futuro, una chiesa in pellegrinaggio ma che viene frenata dai suoi peccati di mondanità spirituale che genera il clericalismo e fa crescere la rigidità, dove l’ideologia prende il posto del vangelo. Gli atteggiamenti pastorali da evitare: i il pelagianesimo, che è un andare avanti con le proprie forze e lo gnosticismo che è una spiritualità disincarnata.
Per quel che riguarda il male che tanti uomini fanno, è importante riconoscere che quello del perdono è un diritto che ogni uomo deve ricevere se lo chiede, accanto al pagamento di persona per il male commesso.
La sofferenza subita dai bambini è qualcosa di inspiegabile.
Perché soffrono i bambini? Io trovo una sola strada: soffrire con loro. Su questo è stato un gran maestro Dostoevskij.
Invito a leggere il primo capitolo dell’enciclica FRATELLI TUTTI[5] sul tema delle OMBRE: questo fa un’analisi sui motivi che ci impediscono un vero cambiamento dei problemi sociali.
UN UOMO PUÒ GUARDARE UN ALTRO UOMO DALL’ALTO IN BASSO SOLO QUANDO LO AIUTA A RIALZARSI.
Giocare con i figli, non spaventarsi. Essere vicino, parlare con i figli.
Va educata l’aggressività. Ce n’è una positiva per andare avanti ed una distruttiva che COMINCIA CON LA LINGUA, CON IL CHIACCHERICCIO che nelle famiglie, nei quartieri, DISTRUGGE L’IMPRONTA DIGITALE, L’IDENTITÀ.
«Papà perché il fiume non canta più?» «La verità, figlio mio, è perché il fiume non c’è più!» (Roberto Carlos) Se le cose non cambiano entro trent’anni il mondo sarà inabitabile, dobbiamo prenderci carico della Madre Terra.
Una cosa molto brutta è il girarsi dall’altra parte.
È necessario TOCCARE, FARSI CARICO DELL’ALTRO, se noi non tocchiamo con le mani il dolore della gente non potremo mai capirla.
Coi migranti quello che si fa è criminale. Quando si respingono i poveri si respinge la pace. Questi migranti soffrono, passano nei lager, dopo aver rischiato la vita si vedono respingere. È importante che ogni paese possa dire quanti migranti può accogliere e lo faccia. Un migrante integrato è una risorsa per un paese.
IL MIGRANTE SEMPRE VA ACCOLTO, VA ACCOMPAGNATO, VA PROMOSSO E VA INTEGRATO.
Il fatto che il Mediterraneo sia oggi il cimitero più grande d’Europa ci deve far pensare.
La morte di diciannove migranti per assideramento al confine tra la Grecia e la Turchia è solo uno tra i tanti segnali della cultura dell’indifferenza. C’è un problema di categorizzazione. Ci sono diverse categorie. Al primo posto delle categorie ci sono le guerre, al secondo la categoria delle persone.
Guerra ideologica, guerra di potere, guerre commerciali e tante fabbriche di armi.
Con un anno senza la vendita delle armi si può dare da mangiare e fornire educazione a tutto il mondo.
Francesco ripresenta quelle che sono indicazioni da lui tante volte espresse.
L’impegno sarà non solo quello di pregare per lui e, per chi non crede, non sa o non può almeno di mandargli buoni pensieri, buone ondate.
Il giusto impegno sarà quello di riconoscere la bontà di queste indicazioni e di cercare di farne tesoro, come già tanti già fanno, passo dopo passo.
[1] https://www.raiplay.it/video/2022/02/Sua-Santita-Papa-Francesco—Che-Tempo-Che-Fa-06022022-b952f77e-474f-4d8b-bba2-153e49b646e3.html
[2] https://www.vatican.va/content/paul-vi/it/apost_exhortations/documents/hf_p-vi_exh_19751208_evangelii-nuntiandi.html
[3] https://it.zenit.org/2007/05/31/conferenza-di-aparecida-riassunto-del-documento-finale/
[4] https://www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html
[5] https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html
Animali? Sì, grazie
pubblicato in Animali? Sì, grazie! – VinoNuovo.it
Perché gli animali sono un dono e un bene prezioso per ciascuno di noi.
di Alessandro Manfridi
“Gli animali sono migliori degli uomini”. In che senso?
Tra gli animali, nessuno ha le capacità dell’uomo: attraverso la ragione ogni essere umano è capace di osservare e studiare i pesci del mare, costruire navi per navigarlo e i sottomarini per raggiungere i fondali più profondi.
Osservando gli uccelli del cielo riesce a costruire aerei ed elicotteri, fino ai razzi per arrivare nello spazio.
Non esiste alcun essere vivente che ha le capacità dell’uomo.
Secondo la Bibbia, egli è stato creato da Dio “a sua immagine e somiglianza” e a lui Dio ha affidato tutto ciò che ha creato, perché lo amministrasse.
Eppure, se l’uomo mal utilizza le sue capacità, può arrivare a distruggere la vita sulla terra.
L’uomo è l’unico essere vivente che uccide per avidità e non per necessità.
Gli animali domestici amano l’uomo e da questo vengono accuditi mentre gli animali selvatici per legge di natura uccidono altri animali ma solo per nutrirsi.
Possono allora gli animali insegnarci qualcosa? Forse si, a volte più di quanto possa fare l’uomo quando utilizza il suo intelletto con egoismo distruttivo.
Molti sono rimasti disorientati davanti all’affermazione di papa Francesco nella sua ultima udienza generale che, già per la seconda volta, ha manifestato la sua disapprovazione per le famiglie che non hanno bambini eppure possiedono animali domestici.
L’affermazione che la presenza di animali domestici sarebbe in qualche modo “antagonista” a quella dei bambini rischia di non dare giustizia né agli uni né agli altri.
Se una famiglia non arriva ad accogliere un figlio, non necessariamente questo avviene per egoismo.
È necessario appellarsi alle politiche sociali e al mondo del lavoro perché, per molte famiglie, accogliere un bambino diviene impossibile dove vengono a mancare lavoro e politiche sociali dedicate a sostenere e a promuovere la famiglia.
I veri oggetti degli egoismi degli uomini non sono dunque riconducibili ai nostri amici animali, quelli che san Francesco chiamava “fratelli” e “sorelle” e che, sicuramente, sono un dono prezioso per ciascuno di noi; l’assenza dei figli che caratterizza il nostro tempo, forse è più riconducibile a decisioni politiche-sociali e a condizioni economiche che non consentono più la crescita di una famiglia numerosa come tempi passati.
Riguardo agli animali si tratta di esseri viventi e portatori di benefici affettivi, psicologici e spirituali per tutti gli esseri umani che si relazionano con loro, che si tratti di bambini o di anziani, di normodotati o di disabili, di single o di coppie.
La vita di tanti santi ne è un esempio, da Antonio Abate a Francesco d’Assisi, da Antonio di Padova a Rocco di Montpellier a Giovanni Bosco.
Senza dimenticare gli animali nella Bibbia.
Ormai da tempo l’attenzione al mondo animale è stata riconosciuta anche a livello accademico non più nelle sole facoltà di Medicina Veterinaria ma negli stessi studi teologici, con gli studi di bioetica animale.
Papa Francesco ha anche trasmesso nel suo magistero una importante enciclica attenta alla nostra “casa comune”, la “LAUDATO SI'”.
“Fino a quando non avrai amato un animale, una parte della tua anima rimarrà sempre senza luce”
(Anatole France)
Chi ha vissuto in prima persona questa esperienza potrà confermarlo.