Nel libro della Genesi al capitolo 4, Lamec, discendente di Caino, porta alle estreme conseguenze il percorso della violenza fratricida che la Bibbia inizia a raccontarci con l’omicidio di Abele: Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido.Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamec settantasette”. (Gn 4, 23-24)
La “legge del taglione”, riportata in Es 21, 23-25 e passi collegati (Lv 24, 19-20; Dt 19,21) costituisce un passo avanti rispetto alla vendetta sanguinaria e sproporzionata testimoniata da Lamec. “Occhio per occhio” non è una norma di vendetta ma una regolazione legale dei dissidi tra le tribù dei figli di Giacobbe che dava proporzionalità alla pena in risposta al delitto.
Nella stele di diorite esposta al Louvre a Parigi è conservato il testo in accadico cuneiforme che ci trasmette, intatto, il Codice di Hammurabi, sesto re della prima dinastia di Babilonia, risalente al XVIII secolo a. C. Tra le norme riportate sulla stele, troviamo quelle della cosiddetta “legge del taglione” (“Qualora un figlio colpisca suo padre, gli siano troncate le mani. Qualora un uomo cavi un occhio ad un altro, gli sia cavato un occhio. Qualora un uomo rompa un osso ad un altro uomo, gli sia rotto un osso. Qualora un uomo cavi l’occhio di un uomo liberato, o rompa l’osso di un uomo liberato, pagherà una mina d’oro. Qualora un uomo cavi l’occhio dello schiavo di un uomo, o rompa l’osso dello schiavo di un uomo, pagherà metà del valore di esso.”)
Il testo biblico si richiama proprio a questa fonte.
“[…] pagherai vita per vita: occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido.” (Es 21, 23-25)
Nei Vangeli Gesù di Nazareth va oltre questa norma, invitando a “porgere l’altra guancia” e spingendosi fino a chiedere non solo il perdono e la preghiera ma addirittura l’amore nei confronti del nemico. (Mt 5, 38-48// Lc 6, 27-36)
La preghiera insegnata da Gesù ai suoi, il Padre Nostro, si conclude proprio con la petizione che invita al perdono nei confronti di chi ci fa del male. (Mt 6, 12.14-15)
La parabola del servo spietato è esplicativa di questa necessità: la difficoltà a perdonare è fondata sulla inconsapevolezza che il dono di cui siamo “debitori” è incolmabile, se paragonato al credito che vantiamo verso chi ci ha fatto del male (Mt 18, 21-35).
Se però ci fermiamo all’Antico Testamento, c’è un altro modo di “regolare” i conti.
È quello indirizzato alle popolazioni residenti nella “Terra promessa” e non facenti parte del popolo di Israele.
Queste sono destinatarie di una vera e propria “liturgia”, quella della cosiddetta “guerra sacra”, il cui termine non rientra, propriamente, nel vocabolario biblico.
Il termine ricorrente è quello legato ad un comando, attribuito nei testi biblici a IHWH stesso: הַשׁמָדָה “ash’madà” = “sterminio”, presente 92 volte nei passi veterotestamentari.
Nei racconti deuteronomistici, è Dio stesso che conduce la battaglia alla testa del suo popolo per lo sterminio delle popolazioni presenti in Palestina e non appartenenti al popolo di Israele.
A Giosuè viene dato il comando di passare a fil di spada uomini, donne, giovani, vecchi, fino allo stesso bestiame (Gs 6, 16-21).
JHWH, potente in battaglia, avvolto in una armatura invincibile (Es 15,3), scaglia fulmini sui nemici del suo popolo (Gs 10, 10-11), è condotto nell’Arca sui campi di battaglia (Nm 10, 33-36; 1Sam 4). I soldati vengono “consacrati” (Dt 23, 10.15) per compiere, quali sacerdoti nel nome del loro Dio, un atto sacro, combattendo battaglie e guerre che sono volute e condotte da JHWH stesso (Es 17,6; Nm 21, 14; 1Sam 25, 38). La vittoria è, quindi, attribuita al Signore e il “bottino” è sacro e va a lui offerto come un olocausto, votando ogni cosa allo sterminio.
Chi disobbedisce a questo comando, come il re Saul (1Sam 15), compie un atto sacrilego che viene punito.
Questi testi sono fondati al tempo stesso sulla condanna religiosa verso qualsiasi sincretismo che possa deviare i figli di Israele all’idolatria portata avanti da altre nazioni e nasce fin dall’episodio cruento di Mosè che ordina lo sterminio di tutti coloro che si sono prostrati al vitello d’oro tradendo l’unico e vero Dio (Es 32, 26-29).
Cosa dire? Forse che i comandi divini di sterminio delle popolazioni nemiche per l’occupazione della Terra Promessa rivolti a Giosuè prima, a Saul e a Davide durante il loro regno poi, debbano essere colti non solo come il segno di racconti i cui contorni non sono (fortunatamente?) registrabili secondo coordinate scientificamente storiche ma, e qui la domanda diventa grido, giustificazione e fondazione biblica per uno Stato che ha la Bibbia (Antico Testamento) ma non una sua Carta Costituente?
Certo è che gli Ambasciatori israeliani rispondono in modo veemente a chi chiede di fermare questa operazione militare che sta mietendo vittime nella striscia di Gaza oltre ogni garanzia del diritto.
Così, se il direttore RAI (che si è scusato) e il Festival di Sanremo sono accusati dall’Ambasciatore israeliano in Italia di “diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile”, in reazione al cantante Ghali che dal palco della manifestazione canora aveva chiesto: “Stop al genocidio”, non è da meno l’Ambasciatore israeliano presso la Santa Sede che ha accusato il cardinale Pietro Parolin, reo di aver definito come “sproporzionata” la risposta di Israele all’attacco di Hamas, definendo quella del Segretario di Stato Vaticano “una dichiarazione deplorevole”.
L’ambasciatore fa presente che l’azione militare israeliana è pienamente legittima, sia per il fatto che Hamas abbia trasformato Gaza nella più grande base terroristica mai vista, sia perché la popolazione palestinese sostiene pienamente questo progetto, al punto di aver partecipato attivamente agli eventi del 7 ottobre. Le operazioni militari dell’Idf, “… si svolgono nel pieno rispetto del diritto internazionale”. Secondo i dati disponibili, per ogni militante di Hamas ucciso hanno perso la vita tre civili. Tutte le vittime civili sono da piangere, ma nelle guerre e nelle operazioni passate delle forze Nato o delle forze occidentali in Siria, Iraq o Afghanistan, la proporzione era di 9 o 10 civili per ogni terrorista. Quindi, la percentuale dell’Idf nel tentativo di evitare la morte dei civili è circa 3 volte superiore, nonostante il campo di battaglia a Gaza sia molto più complicato, come già detto“.
Purtroppo queste affermazioni non possono essere verificate, né quella sulla complicità della popolazione civile ai piani di Hamas, né quella della partecipazione della stessa all’azione terroristica del 7 ottobre, né quella sui numeri delle vittime civili rispetto ai terroristi.
Quella che è certa è la storia di questi 70 anni del moderno Stato di Israele.
Il credito verso la storia, presentato all’ONU dagli Ebrei dopo l’olocausto di sei milioni di vittime della follia nazista ha portato alla costituzione del moderno Stato d’Israele con la risoluzione 181 del 29 novembre 1947 che condusse il 14 maggio 1948 alla proclamazione della fondazione dello stesso da parte di Ben Gurion e che ha permesso ai discendenti di Abramo di riprendere possesso di quella “Terra promessa” dalla quale erano stati deportati dai romani dopo la distruzione di Gerusalemme nel 70 d. C.
Dal 1948 non c’è stata terra, né pace, né uno Stato per le popolazioni palestinesi che si son viste cambiare la vita dagli eventi. Israele, unica nazione al mondo a non aver ratificato e dunque disatteso oltre 70 risoluzioni dell’ONU dal 1951 ad oggi, quelle relative alla risoluzione della questione palestinese. Una tra le 5 nazioni al mondo, tra le 193, che non ha una Carta Costituzionale.
Ha però la Bibbia (Antico Testamento) e se qualcuno volesse leggerne i passi citati in modo “fondamentalista” non si stupirebbe di quel che da 70 anni accade al popolo palestinese.
Intanto, le democrazie occidentali si apprestano a celebrare Navalny, chiedendo giustizia per la sua morte. Nessuno in Occidente però, accusa di “crimini di guerra” Netanyahu, né sono state organizzate manifestazioni ufficiali per protestare verso questa gestione del conflitto, che ha già prodotto 30mila vittime palestinesi, tra cui il 40% minorenni.
Dobbiamo dunque uscire dalla nostra orbita e riconoscere che in quella dei paesi “BRICS” almeno il Sudafrica abbia avuto la lucidità di chiamare Israele in giudizio davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja.
I discendenti delle vittime dell’Olocausto devono rispondere di una azione genocidiaria che si sta consumando, drammaticamente, nella striscia di Gaza.
La storia si ripete, riproponendo a parti invertite come “sterminatori” coloro che hanno conosciuto l’orrore della Shoà.
APPLICAZIONE DELLA CONVENZIONE SULLA PREVENZIONE E LA PUNIZIONE DEL REATO DI GENOCIDIO NELLA STRISCIA DI GAZA
CRONOLOGIA DELLA PROCEDURA 1-12
I. INTRODUZIONE 13-14
II. COMPETENZA PRIMA FACIE 15-32
1. Osservazioni preliminari 15-18 2. Esistenza di una controversia relativa all’interpretazione, applicazione o
adempimento della Convenzione sul Genocidio 19-30
3. Conclusione sulla competenza prima facie 31-32
III. CLASSIFICA DEL SUDAFRICA 33-34
IV. I DIRITTI DI CUI SI RICHIEDE LA TUTELA E IL LEGAME TRA
TALI DIRITTI E LE MISURE RICHIESTE 35-59
V. RISCHIO DI PREGIUDIZIO IRREPARABILE E URGENZA 60-74
VI. CONCLUSIONE E MISURE DA ADOTTARE 75-84
CLAUSOLA OPERATIVA 86
CORTE DI GIUSTIZIA INTERNAZIONALE
2024
26 gennaio
Elenco generale
N. 192
APPLICAZIONE DELLA CONVENZIONE SULLA PREVENZIONE
E PUNIZIONE DEL REATO DI GENOCIDIO NELLA STRISCIA DI GAZA
(SUDAFRICA contro ISRAELE)
RICHIESTA DI INDICAZIONE DI MISURE PROVVISORIE
ORDINE
Presenti: Presidente DONOGHUE; Vicepresidente GEVORGIAN; Giudici TOMKA, ABRAHAM, BENNOUNA, YUSUF, XUE, SEBUTINDE, BHANDARI, ROBINSON, SALAM, IWASAWA, NOLTE, CHARLESWORTH, BRANT; Giudici ad hoc BARAK, MOSENEKE; Cancelliere GAUTIER.La Corte internazionale di giustizia,
Composto come sopra,
Dopo la deliberazione,
Visti gli articoli 41 e 48 dello Statuto della Corte e gli articoli 73, 74 e 75 del Regolamento della Corte,
Effettua il seguente ordine:
1. Il 29 dicembre 2023, la Repubblica del Sud Africa (di seguito “Sudafrica”) ha depositato nella cancelleria della Corte un ricorso instaurante un procedimento contro lo Stato di Israele (di seguito “Israele”) riguardante presunte violazioni degli obblighi nella Striscia di Gaza ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (di seguito la “Convenzione sul genocidio” o la “Convenzione”).
2. Al termine della sua candidatura, il Sud Africa
“chiede rispettosamente alla Corte di giudicare e dichiarare:
(1) che la Repubblica del Sud Africa e lo Stato di Israele hanno ciascuno il dovere di agire in conformità con i propri obblighi ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, in relazione ai membri del gruppo palestinese, per adottare tutte le misure ragionevoli in loro potere per prevenire il genocidio;
(2) che lo Stato di Israele:
(a) ha violato e continua a violare i propri obblighi derivanti dal Genocidio
Convenzione, in particolare gli obblighi previsti dall’articolo I, letto in combinato disposto con l’articolo II, e gli articoli III (a), III (b), III (c), III (d), III (e), IV, V e VI ;
(b) deve cessare immediatamente qualsiasi atto e misura in violazione di tali obblighi, compresi atti o misure che potrebbero uccidere o continuare a uccidere palestinesi, o causare o continuare a causare gravi danni fisici o mentali ai palestinesi o infliggere deliberatamente a palestinesi gruppo, o continuando a infliggere al proprio gruppo, condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica totale o parziale, e rispettare pienamente gli obblighi derivanti dalla Convenzione sul genocidio, in particolare gli obblighi previsti dagli articoli I, III (a) , III (b), III (c), III (d), III (e), IV, V e VI;
(c) devono garantire che le persone che commettono genocidio, che cospirano per commettere genocidio, che incitano direttamente e pubblicamente al genocidio, che tentano di commettere genocidio e sono complici di genocidio contrario agli articoli I, III (a), III (b), III (c), III (d) e III (e) sono puniti da un tribunale nazionale o internazionale competente, come previsto dagli articoli I, IV, V e VI;
(d) a tal fine e in sostegno degli obblighi derivanti dagli articoli I, IV, V e VI, deve raccogliere e conservare le prove e garantire, consentire e/o non inibire direttamente o indirettamente la raccolta e la conservazione delle prove degli atti di genocidio commessi contro i palestinesi a Gaza, compresi i membri del gruppo sfollati da Gaza;
(e) deve adempiere agli obblighi di riparazione nell’interesse delle vittime palestinesi, incluso ma non limitato a consentire il ritorno sicuro e dignitoso dei palestinesi sfollati con la forza e/o rapiti alle loro case, il rispetto dei loro pieni diritti umani e la protezione contro ulteriori discriminazioni , persecuzioni e altri atti correlati, e provvedere alla ricostruzione di ciò che è stato distrutto a Gaza, in linea con l’obbligo di prevenire il genocidio ai sensi dell’Articolo I; e (f) deve offrire assicurazioni e garanzie contro la ripetizione delle violazioni della Convenzione sul genocidio, in particolare gli obblighi previsti dagli articoli I, III (a), III (b), III (c), III (d), III (e), IV, V e VI.”
3. Nel suo ricorso, il Sudafrica cerca di fondare la giurisdizione della Corte sull’articolo 36, paragrafo 1, dello Statuto della Corte e sull’articolo IX della Convenzione sul genocidio.
4. Il ricorso conteneva una richiesta di indicazione di provvedimenti provvisori presentata con riferimento all’articolo 41 dello Statuto e agli articoli 73, 74 e 75 del Regolamento.
5. In conclusione della sua richiesta, il Sudafrica ha chiesto alla Corte di indicare le seguenti misure provvisorie:
“(1) Lo Stato di Israele sospenderà immediatamente le sue operazioni militari dentro e contro Gaza.
(2) Lo Stato di Israele garantirà che qualsiasi unità armata militare o irregolare che possa essere diretta, sostenuta o influenzata da esso, così come qualsiasi organizzazione e persona che possa essere soggetta al suo controllo, direzione o influenza, non intraprenda alcuna iniziativa contro sostegno alle operazioni militari di cui al punto (1) sopra.
(3) La Repubblica del Sud Africa e lo Stato di Israele, ciascuno in conformità con i propri obblighi ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, nei confronti del popolo palestinese, adotteranno tutte le ragionevoli misure in loro potere per prevenire il genocidio.
(4) Lo Stato di Israele, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, nei confronti del popolo palestinese in quanto gruppo protetto dalla Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, Genocidio, desistere dal commettere tutti gli atti contemplati dall’articolo II della Convenzione, in particolare:
(a) uccidere membri del gruppo;
(b) causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo;
(c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita destinate a realizzarsi
la sua distruzione fisica totale o parziale; E
d) imporre misure destinate a prevenire le nascite all’interno del gruppo.
(5) Lo Stato di Israele, ai sensi del punto (4) (c) di cui sopra, in relazione ai palestinesi, desistere e adotterà tutte le misure in suo potere, inclusa la revoca dei pertinenti ordini, delle restrizioni e/o dei divieti di impedire:
(a) l’espulsione e lo sfollamento forzato dalle proprie abitazioni;
(b) la privazione di:
(i) accesso a cibo e acqua adeguati;
(ii) accesso all’assistenza umanitaria, compreso l’accesso a carburante adeguato,
alloggio, vestiti, igiene e servizi igienico-sanitari;
(iii) forniture e assistenza medica; E
(c) la distruzione della vita palestinese a Gaza.
(6) Lo Stato di Israele dovrà, nei confronti dei palestinesi, garantire che anche il suo esercito
poiché qualsiasi unità armata irregolare o individuo che possa essere diretto, supportato o altrimenti influenzato da esso e qualsiasi organizzazione e persona che possa essere soggetta al suo controllo, direzione o influenza, non commettono alcun atto descritto ai precedenti punti (4) e (5). , o si impegnano in incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio, cospirazione per commettere genocidio, tentativo di commettere genocidio, o complicità in genocidio, e nella misura in cui vi si impegnano, che siano adottate misure verso la loro punizione ai sensi degli articoli I, II, III e IV della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio.
(7) Lo Stato di Israele adotterà misure efficaci per prevenire la distruzione e garantire la conservazione delle prove relative alle accuse di atti che rientrano nel campo di applicazione dell’Articolo II della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio; a tal fine, lo Stato di Israele non agirà per negare o altrimenti limitare l’accesso a Gaza tramite missioni conoscitive, mandati internazionali e altri organismi per contribuire a garantire la conservazione e la conservazione di tali prove.
(8) Lo Stato di Israele presenterà un rapporto alla Corte su tutte le misure adottate per dare effetto alla presente Ordinanza entro una settimana, a partire dalla data della presente Ordinanza, e successivamente ad intervalli regolari come la Corte ordinerà, fino a quando un la decisione finale sul caso spetta alla Corte.
(9) Lo Stato di Israele si asterrà da qualsiasi azione e garantirà che non venga intrapresa alcuna azione che possa aggravare o estendere la controversia davanti alla Corte o renderla più difficile da risolvere.
6. Il Vice-Cancelliere ha immediatamente comunicato al Governo di Israele il ricorso contenente la richiesta di indicazione di misure provvisorie, ai sensi dell’articolo 40, paragrafo 2, dello Statuto della Corte e dell’articolo 73, paragrafo 2, del Regolamento di Corte. Ha inoltre notificato al Segretario Generale delle Nazioni Unite il deposito da parte del Sud Africa dell’Istanza e della Richiesta di indicazione di misure provvisorie.
7. Nelle more della notifica prevista dall’articolo 40, comma 3, dello Statuto della Corte, il Cancelliere aggiunto ha informato tutti gli Stati legittimati a comparire davanti alla Corte del deposito del ricorso e della richiesta di indicazione di provvedimenti provvisori da parte una lettera datata 3 gennaio 2024.
8. Poiché la Corte non comprendeva alcun giudice della nazionalità di una delle Parti, ciascuna Parte ha esercitato il diritto conferitole dall’articolo 31 dello Statuto della Corte di scegliere un giudice ad hoc incaricato della causa. Il Sudafrica ha scelto Dikgang Ernest Moseneke e Israele Aharon Barak.
9. Con lettere del 29 dicembre 2023, il cancelliere aggiunto ha informato le parti che, ai sensi dell’articolo 74, paragrafo 3, del suo Regolamento, la Corte aveva fissato all’11 e al 12 gennaio 2024 le date della trattazione orale sulla richiesta di l’indicazione di misure provvisorie.
10. Nelle udienze pubbliche hanno presentato osservazioni orali sulla richiesta di indicazione di provvedimenti provvisori:
A nome del Sud Africa: SE Sig. Vusimuzi Madonsela,
SE il Sig. Ronald Lamola,
Signora Adila Hassim,
Signor Tembeka Ngcukaitobi,
Signor John Dugard,
Signor Max du Plessis,
Signora Blinne Ní Ghrálaigh,
Signor Vaughan Lowe.
A nome di Israele: signor Tal Becker,
Signor Malcolm Shaw,
Signora Galit Raguan,
Signor Omri Mittente,
Signor Christopher Staker,
Signor Gilad Noam.
11. Al termine delle sue osservazioni orali, il Sudafrica ha chiesto alla Corte di indicare le seguenti misure provvisorie:
“(1) Lo Stato di Israele sospenderà immediatamente le sue operazioni militari dentro e contro
Gaza.
(2) Lo Stato di Israele garantirà che qualsiasi unità armata militare o irregolare che possa essere diretta, sostenuta o influenzata da esso, così come qualsiasi organizzazione e persona che possa essere soggetta al suo controllo, direzione o influenza, non intraprenda alcuna iniziativa contro sostegno alle operazioni militari di cui al punto (1) sopra.
(3) La Repubblica del Sud Africa e lo Stato di Israele, ciascuno in conformità con i propri obblighi ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, nei confronti del popolo palestinese, adotteranno tutte le ragionevoli misure in loro potere per prevenire il genocidio.
(4) Lo Stato di Israele, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, nei confronti del popolo palestinese in quanto gruppo protetto dalla Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, Genocidio, desistere dal commettere tutti gli atti contemplati dall’articolo II della Convenzione, in particolare:
(a) uccidere membri del gruppo;
(b) causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo;
(c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita destinate a realizzarsi
la sua distruzione fisica totale o parziale; E
d) imporre misure destinate a prevenire le nascite all’interno del gruppo.
(5) Lo Stato di Israele, ai sensi del punto (4) (c) di cui sopra, in relazione ai palestinesi, desistere e adotterà tutte le misure in suo potere, inclusa la revoca dei pertinenti ordini, delle restrizioni e/o dei divieti di impedire:
(a) l’espulsione e lo sfollamento forzato dalle proprie abitazioni;
(b) la privazione di:
(i) accesso a cibo e acqua adeguati;
(ii) accesso all’assistenza umanitaria, compreso l’accesso a carburante adeguato,
alloggio, vestiti, igiene e servizi igienico-sanitari;
(iii) forniture e assistenza medica; E
(c) la distruzione della vita palestinese a Gaza.
(6) Lo Stato di Israele dovrà, nei confronti dei palestinesi, garantire che anche il suo esercito
poiché qualsiasi unità armata irregolare o individuo che possa essere diretto, supportato o altrimenti influenzato da esso e qualsiasi organizzazione e persona che possa essere soggetta al suo controllo, direzione o influenza, non commettono alcun atto descritto ai precedenti punti (4) e (5). , o si impegnano in incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio, cospirazione per commettere genocidio, tentativo di commettere genocidio, o complicità in genocidio, e nella misura in cui vi si impegnano, che siano adottate misure verso la loro punizione ai sensi degli articoli I, II, III e IV della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio.
(7) Lo Stato di Israele adotterà misure efficaci per prevenire la distruzione e garantire la conservazione delle prove relative alle accuse di atti che rientrano nel campo di applicazione dell’Articolo II della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio; a tal fine, lo Stato di Israele non agirà per negare o altrimenti limitare l’accesso a Gaza tramite missioni conoscitive, mandati internazionali e altri organismi per contribuire a garantire la conservazione e la conservazione di tali prove.
(8) Lo Stato di Israele presenterà un rapporto alla Corte su tutte le misure adottate per dare effetto alla presente Ordinanza entro una settimana, a partire dalla data della presente Ordinanza, e successivamente ad intervalli regolari come la Corte ordinerà, fino a quando un la Corte emetterà una decisione definitiva sul caso e tali relazioni saranno pubblicate dalla Corte.
(9) Lo Stato di Israele si asterrà da qualsiasi azione e garantirà che non venga intrapresa alcuna azione che possa aggravare o estendere la controversia davanti alla Corte o renderla più difficile da risolvere.
12. Al termine delle sue osservazioni orali, Israele ha chiesto alla Corte di farlo
“(1) respingere la richiesta di indicazione di misure provvisorie presentata da Sud
Africa;
(2) eliminare la causa dall’Elenco Generale”.
I. INTRODUZIONE
13. La Corte inizia richiamando il contesto immediato nel quale è stata investita della presente causa. Il 7 ottobre 2023, Hamas e altri gruppi armati presenti nella Striscia di Gaza hanno effettuato un attacco in Israele, uccidendo più di 1.200 persone, ferendone migliaia e rapendo circa 240 persone, molte delle quali continuano a essere tenute in ostaggio. A seguito di questo attacco, Israele ha lanciato un’operazione militare su larga scala a Gaza, via terra, aria e mare, che sta causando ingenti perdite civili, vasta distruzione di infrastrutture civili e lo sfollamento della stragrande maggioranza della popolazione di Gaza (vedere paragrafo 46 sotto). La Corte è profondamente consapevole della portata della tragedia umana che si sta verificando nella regione ed è profondamente preoccupata per la continua perdita di vite umane e sofferenza umana.
14. Il conflitto in corso a Gaza è stato affrontato nel quadro di diversi organi e agenzie specializzate delle Nazioni Unite. In particolare, sono state adottate risoluzioni dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (vedi risoluzione A/RES/ES-10/21 adottata il 27 ottobre 2023 e risoluzione A/RES/ES-10/22 adottata il 12 dicembre 2023) e dal Consiglio di Sicurezza (vedi risoluzione S/RES/2712 (2023) adottata il 15 novembre 2023 e risoluzione S/RES/2720 (2023) adottata il 22 dicembre 2023), riferendosi a molti aspetti del conflitto. La portata del presente caso sottoposto alla Corte, tuttavia, è limitata, poiché il Sudafrica ha avviato tale procedimento ai sensi della Convenzione sul genocidio.
II. COMPETENZA PRIMA FACIE 1. Osservazioni preliminari
15. La Corte può adottare provvedimenti provvisori solo qualora le disposizioni invocate dal ricorrente sembrino, prima facie, costituire un fondamento su cui fondare la sua competenza, ma non è necessario che essa si assicuri in modo definitivo di essere competente per quanto riguarda nel merito del caso (vedi Accuse di genocidio ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Ucraina c. Federazione Russa), Misure provvisorie, Ordinanza del 16 marzo 2022, I.C.J. Reports 2022 (I), pp. 217 -218, paragrafo 24).
16. Nel caso di specie, il Sudafrica cerca di fondare la competenza della Corte sull’articolo 36, paragrafo 1, dello Statuto della Corte e sull’articolo IX della Convenzione sul genocidio (si veda il paragrafo 3 supra). La Corte deve quindi anzitutto verificare se tali disposizioni le attribuiscono prima facie la competenza a statuire nel merito, consentendole – qualora ricorrano le altre condizioni necessarie – di adottare misure provvisorie.
17. L’articolo IX della Convenzione sul genocidio prevede:
“Controversie tra le Parti Contraenti relative all’interpretazione, l’applicazione o l’adempimento della presente Convenzione, compresi quelli relativi alla responsabilità di uno Stato per genocidio o per qualsiasi altro atto enumerato nell’articolo III, saranno sottoposti alla Corte internazionale di giustizia su richiesta di una qualsiasi delle parti in causa. controversia.”
18. Il Sudafrica e Israele sono parti della Convenzione sul genocidio. Israele ha depositato il suo strumento di ratifica il 9 marzo 1950 e il Sud Africa ha depositato il suo strumento di adesione il 10 dicembre 1998. Nessuna delle Parti ha formulato una riserva sull’Articolo IX o su qualsiasi altra disposizione della Convenzione.
2. Esistenza di una controversia relativa all’interpretazione, applicazione o adempimento della Convenzione sul genocidio
19. L’articolo IX della Convenzione sul genocidio subordina la giurisdizione della Corte all’esistenza di una controversia relativa all’interpretazione, all’applicazione o all’adempimento della Convenzione. Una controversia è “un disaccordo su una questione di diritto o di fatto, un conflitto di opinioni giuridiche o di interessi” tra le parti (Concessioni di Mavrommatis Palestine, Sentenza n. 2, 1924, P.C.I.J., Serie A, n. 2, p. 11). . Perché esista una controversia, “[i]vrebbe dimostrato che la pretesa di una parte è positivamente contrastata dall’altra” (Africa sudoccidentale (Etiopia v. Sud Africa; Liberia v. Sud Africa), Obiezioni preliminari, Sentenza, I.C.J. Reports 1962, pag. 328). Le due parti devono “avere opinioni chiaramente opposte riguardo alla questione dell’adempimento o del mancato adempimento di determinati obblighi internazionali” (Presunte violazioni dei diritti sovrani e degli spazi marittimi nel Mar dei Caraibi (Nicaragua c. Colombia), Obiezioni preliminari, Sentenza , Rapporti dell’ICJ 2016 (I), pagina 26, punto 50, che cita l’interpretazione dei trattati di pace con Bulgaria, Ungheria e Romania, prima fase, parere consultivo, Rapporti dell’ICJ 1950, pagina 74). Per determinare se esista una controversia nel caso di specie, la Corte non può limitarsi a constatare che una delle parti sostiene che la Convenzione si applica, mentre l’altra lo nega (vedi Accuse di genocidio ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Ucraina c. Federazione Russa), Misure provvisorie, Ordinanza del 16 marzo 2022, I.C.J. Reports 2022 (I), pp. 218-219, punto 28).
20. Poiché il Sudafrica ha invocato come base della giurisdizione della Corte la clausola compromissoria della Convenzione sul genocidio, la Corte deve anche accertare, allo stadio attuale del procedimento, se risulti che gli atti e le omissioni lamentati dal ricorrente siano idonei a rientrare nell’ambito di applicazione di tale convenzione ratione materiae (v. Accuse di genocidio ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Ucraina c. Federazione russa), Misure provvisorie, Ordinanza del 16 marzo 2022, I.C.J. Reports 2022 ( I), pag. 219, punto 29).
21. Il Sudafrica sostiene che esiste una controversia con Israele relativa all’interpretazione, all’applicazione e all’adempimento della Convenzione sul genocidio. Afferma che, prima del deposito della sua domanda, il Sud Africa ha ripetutamente e con urgenza espresso le sue preoccupazioni, in dichiarazioni pubbliche e in varie sedi multilaterali, compreso il Consiglio di Sicurezza e l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che le azioni di Israele a Gaza equivalgono a un genocidio contro Popolo palestinese. In particolare, come indicato in un comunicato stampa rilasciato il 10 novembre 2023 dal Dipartimento delle Relazioni Internazionali e della Cooperazione del Sud Africa, il Direttore Generale del Dipartimento ha incontrato l’Ambasciatore di Israele in Sud Africa il 9 novembre 2023 e lo ha informato che, mentre il Sudafrica “condannava gli attacchi contro i civili di Hamas”, considerava illegale la risposta di Israele all’attacco del 7 ottobre 2023 e intendeva deferire la situazione in Palestina alla Corte penale internazionale, chiedendo un’indagine sulla leadership israeliana per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio. Inoltre, alla ripresa della decima sessione speciale di emergenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 12 dicembre 2023, alla quale era rappresentato Israele, il rappresentante sudafricano presso le Nazioni Unite ha dichiarato specificamente che “gli eventi delle ultime sei settimane a Gaza hanno dimostrato che Israele agisce contrariamente ai suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio”. La ricorrente ritiene che la controversia tra le parti si fosse già cristallizzata in quel momento. Secondo il Sudafrica, Israele ha negato l’accusa di genocidio in un documento pubblicato dal suo Ministero degli Affari Esteri il 6 dicembre 2023 e aggiornato l’8 dicembre 2023, intitolato “Conflitto Hamas-Israele 2023: domande frequenti”, affermando in particolare che “ [l]’accusa di genocidio contro Israele non solo è del tutto infondata in fatto e in diritto, ma è moralmente ripugnante”. Il ricorrente menziona inoltre che, il 21 dicembre 2023, il Dipartimento per le relazioni internazionali e la cooperazione del Sudafrica ha inviato una nota verbale all’ambasciata di Israele a Pretoria. Afferma di aver ribadito, in questa Nota Verbale, la propria opinione secondo cui gli atti di Israele a Gaza costituiscono un genocidio e che il Sud Africa ha l’obbligo di impedire che venga commesso un genocidio. Il ricorrente afferma che Israele ha risposto con una nota verbale datata 27 dicembre 2023. Sostiene tuttavia che Israele, in tale nota verbale, non ha affrontato le questioni sollevate dal Sudafrica.
22. Il ricorrente sostiene inoltre che almeno alcuni, se non tutti, gli atti commessi da Israele a Gaza, in seguito all’attacco del 7 ottobre 2023, rientrano nelle disposizioni della Convenzione sul genocidio. Afferma che, in violazione dell’Articolo I della Convenzione, Israele “ha perpetrato e sta perpetrando atti genocidi identificati nell’Articolo II” della Convenzione e che “Israele, i suoi funzionari e/o agenti, hanno agito con l’intento di distruggere i palestinesi a Gaza, parte di un gruppo protetto dalla Convenzione sul genocidio”. Gli atti in questione, secondo il Sud Africa, includono l’uccisione di palestinesi a Gaza, il causare loro gravi danni fisici e mentali, l’imposizione loro di condizioni di vita calcolate per provocare la loro distruzione fisica e lo sfollamento forzato delle persone a Gaza. Il Sudafrica sostiene inoltre che Israele “ha . . . non è riuscito a prevenire né a punire: il genocidio, l’associazione a delinquere finalizzata a commettere un genocidio, l’istigazione diretta e pubblica al genocidio, il tentato genocidio e la complicità nel genocidio, contrariamente agli articoli III e IV della Convenzione sul genocidio”.
23. Israele sostiene che il Sudafrica non è riuscito a dimostrare la giurisdizione prima facie della Corte ai sensi dell’articolo IX della Convenzione sul genocidio. In primo luogo, si sostiene che non vi è alcuna controversia tra le parti perché il Sudafrica non ha dato a Israele una ragionevole opportunità di rispondere alle accuse di genocidio prima che il Sudafrica presentasse la sua richiesta. Israele sostiene che, da un lato, le dichiarazioni pubbliche del Sudafrica che accusano Israele di genocidio e il deferimento della situazione in Palestina alla Corte penale internazionale e, dall’altro, il documento pubblicato dal Ministero degli affari esteri israeliano, che è stato non rivolte direttamente o indirettamente al Sudafrica, non sono sufficienti a provare l’esistenza di una “opposizione positiva” di vedute, come richiesto dalla giurisprudenza della Corte. Il convenuto sottolinea che, nella Nota Verbale dell’Ambasciata di Israele a Pretoria al Dipartimento delle Relazioni Internazionali e della Cooperazione del Sud Africa, datata 27 dicembre 2023, in risposta alla Nota Verbale del Sud Africa, datata 21 dicembre 2023, Israele aveva suggerito una incontro tra le parti per discutere le questioni sollevate dal Sudafrica, ma sostiene che questo tentativo di aprire un dialogo è stato ignorato dal Sudafrica all’epoca dei fatti. Israele ritiene che le affermazioni unilaterali del Sudafrica contro Israele, in assenza di qualsiasi interazione bilaterale tra i due Stati prima del deposito della domanda, non siano sufficienti per stabilire l’esistenza di una controversia ai sensi dell’articolo IX della Convenzione sul genocidio.
24. Israele sostiene inoltre che gli atti lamentati dal Sudafrica non possono rientrare nelle disposizioni della Convenzione sul genocidio perché non è stata dimostrata, nemmeno prima facie. Secondo Israele, all’indomani delle atrocità commesse il 7 ottobre 2023, di fronte agli attacchi missilistici indiscriminati di Hamas contro Israele, ha agito con l’intenzione di difendersi, di porre fine alle minacce contro di lui e di salvare gli ostaggi. Israele aggiunge inoltre che le sue pratiche volte a mitigare i danni civili e a facilitare l’assistenza umanitaria dimostrano l’assenza di qualsiasi intento genocida. Israele afferma che qualsiasi revisione attenta delle decisioni ufficiali in relazione al conflitto a Gaza presa dalle autorità competenti in Israele dallo scoppio della guerra, in particolare le decisioni prese dal Comitato Ministeriale per gli Affari di Sicurezza Nazionale e dal Gabinetto di Guerra, come nonché dalla Direzione Operativa delle Forze di Difesa Israeliane, dimostra l’enfasi posta sulla necessità di evitare danni ai civili e di agevolare gli aiuti umanitari. A suo avviso, è quindi chiaramente dimostrato che tali decisioni non avevano alcun intento genocida.
25. La Corte ricorda che, al fine di decidere se esistesse una controversia tra le Parti al momento del deposito del ricorso, essa tiene conto in particolare delle dichiarazioni o dei documenti scambiati tra le Parti, nonché degli eventuali scambi effettuati in contesti multilaterali. A tal fine presta particolare attenzione all’autore della dichiarazione o del documento, al destinatario previsto o effettivo e al suo contenuto. L’esistenza di una controversia è questione di accertamento oggettivo da parte della Corte; è una questione di sostanza e non una questione di forma o di procedura (vedi Accuse di genocidio ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Ucraina c. Federazione russa), Misure provvisorie, Ordinanza del 16 marzo 2022, Rapporti ICJ 2022 (I), pp. 220-221, paragrafo 35).
26. La Corte rileva che il Sud Africa ha rilasciato dichiarazioni pubbliche in vari contesti multilaterali e bilaterali in cui ha espresso il proprio parere secondo cui, alla luce della natura, della portata e della portata delle operazioni militari di Israele a Gaza, le azioni di Israele equivalgono a violazioni dei suoi obblighi ai sensi la Convenzione sul genocidio. Ad esempio, alla ripresa della decima sessione speciale di emergenza dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 12 dicembre 2023, alla quale era rappresentato Israele, il rappresentante sudafricano presso le Nazioni Unite ha dichiarato che “gli eventi delle ultime sei settimane a Gaza hanno dimostrato che Israele agisce contrariamente ai suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio”. Il Sudafrica ha ricordato questa dichiarazione nella sua nota verbale del 21 dicembre 2023 all’ambasciata di Israele a Pretoria.
27. La Corte rileva che Israele ha respinto qualsiasi accusa di genocidio nel contesto del conflitto a Gaza in un documento pubblicato dal Ministero degli Affari Esteri israeliano il 6 dicembre 2023 che è stato successivamente aggiornato e riprodotto sul sito web delle Forze di Difesa Israeliane il 15 dicembre 2023 con il titolo “La guerra contro Hamas: rispondere alle vostre domande più urgenti”, affermando che “[l]’accusa di genocidio contro Israele non solo è del tutto infondata in fatto e in diritto, ma è moralmente ripugnante”. Nel documento, Israele afferma anche che “[l]’accusa di genocidio. . . non è solo giuridicamente e fattivamente incoerente, è osceno” e che “non esisteva . . . base valida, in fatto o in diritto, per l’accusa vergognosa di genocidio”.
28. Alla luce di quanto sopra, la Corte ritiene che le parti sembrano avere opinioni chiaramente opposte riguardo al fatto se determinati atti o omissioni presumibilmente commessi da Israele a Gaza equivalgano a violazioni da parte di quest’ultimo dei suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio. La Corte ritiene che gli elementi sopra menzionati siano sufficienti in questa fase per stabilire prima facie l’esistenza di una controversia tra le Parti relativa all’interpretazione, applicazione o adempimento della Convenzione sul genocidio.
29. Per quanto riguarda la questione se gli atti e le omissioni lamentati dal ricorrente sembrano poter rientrare nelle disposizioni della Convenzione sul genocidio, la Corte ricorda che il Sud Africa ritiene che Israele sia responsabile di aver commesso il genocidio a Gaza e di non aver impedito e punire gli atti genocidi. Il Sudafrica sostiene che Israele ha violato anche altri obblighi previsti dalla Convenzione sul genocidio, compresi quelli riguardanti “la cospirazione per commettere un genocidio, l’incitamento diretto e pubblico al genocidio, il tentato genocidio e la complicità nel genocidio”.
30. Allo stato attuale del procedimento, la Corte non è tenuta ad accertare se si siano verificate violazioni degli obblighi di Israele ai sensi della Convenzione sul genocidio. Una constatazione del genere potrebbe essere effettuata dalla Corte solo nella fase dell’esame del merito della presente causa. Come già rilevato (v. supra paragrafo 20), nella fase di pronuncia dell’ordinanza sulla richiesta di indicazione di misure provvisorie, spetta al Tribunale stabilire se gli atti e le omissioni censurati dal ricorrente sembrano idonei a rientrare nell’ambito di applicazione le disposizioni della Convenzione sul genocidio (cfr. Accuse di genocidio ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Ucraina c. Federazione Russa), Misure provvisorie, Ordinanza del 16 marzo 2022, Rapporti I.C.J. 2022 (I), p 222, paragrafo 43). Secondo la Corte, almeno alcuni degli atti e delle omissioni attribuiti dal Sudafrica a Gaza sembrano essere idonei a rientrare nelle disposizioni della Convenzione.
3. Conclusione sulla competenza prima facie
31. Alla luce di quanto precede, la Corte conclude che, prima facie, è competente a conoscere del caso ai sensi dell’articolo IX della Convenzione sul genocidio.
32. Considerata la conclusione di cui sopra, la Corte ritiene di non poter accogliere la richiesta di Israele di cancellare il caso dalla Lista Generale.
III. CLASSIFICA DEL SUDAFRICA
33. La Corte rileva che il convenuto non ha contestato la posizione del ricorrente nel presente procedimento. Ricorda che, nel caso riguardante l’applicazione della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Gambia c. Myanmar), in cui è stato invocato anche l’articolo IX della Convenzione sul genocidio, ha osservato che tutti gli Stati parti della Convenzione La Convenzione ha un interesse comune ad assicurare la prevenzione, la repressione e la punizione del genocidio, impegnandosi ad adempiere agli obblighi contenuti nella Convenzione. Un tale interesse comune implica che gli obblighi in questione siano dovuti da qualsiasi Stato parte verso tutti gli altri Stati parti della relativa convenzione; si tratta di obblighi erga omnes partes, nel senso che ciascuno Stato parte ha interesse a rispettarli in ogni singolo caso. L’interesse comune al rispetto degli obblighi previsti dalla Convenzione sul genocidio implica che qualsiasi Stato parte, senza distinzioni, abbia il diritto di invocare la responsabilità di un altro Stato parte per una presunta violazione dei suoi obblighi erga omnes partes. Pertanto, la Corte ha ritenuto che qualsiasi Stato parte della Convenzione sul genocidio può invocare la responsabilità di un altro Stato parte, anche attraverso l’avvio di un procedimento dinanzi alla Corte, al fine di accertare l’asserito mancato rispetto dei suoi obblighi erga omnes partes ai sensi della Convenzione. Convenzione e di porre fine a tale fallimento (Applicazione della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Gambia c. Myanmar), Obiezioni preliminari, Sentenza, I.C.J. Reports 2022 (II), pp. 516-517, paragrafi 107-108 e 112).
34. La Corte conclude, prima facie, che il Sudafrica è legittimato a sottoporle la controversia con Israele riguardante presunte violazioni degli obblighi derivanti dalla Convenzione sul genocidio.
IV. I DIRITTI DI CUI SI RICHIEDE LA TUTELA E IL LEGAME TRA TALI DIRITTI E LE MISURE RICHIESTE
35. Il potere della Corte di indicare misure provvisorie ai sensi dell’articolo 41 dello Statuto ha per oggetto la salvaguardia dei rispettivi diritti rivendicati dalle parti in una causa, in attesa della sua decisione nel merito. Ne consegue che la Corte deve preoccuparsi di preservare con tali misure i diritti che essa potrà successivamente dichiarare spettanti a ciascuna delle parti. Pertanto, la Corte può esercitare questo potere solo se ritiene che i diritti fatti valere dalla parte che richiede tali misure siano almeno plausibili (si veda, ad esempio, Accuse di genocidio ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio ( Ucraina c. Federazione Russa), Misure provvisorie, Ordinanza del 16 marzo 2022, I.C.J. Reports 2022 (I), p. 223, punto 50).
36. In questa fase del procedimento, tuttavia, la Corte non è chiamata a stabilire in via definitiva se esistano i diritti che il Sudafrica auspica siano tutelati. Deve solo decidere se i diritti rivendicati dal Sudafrica, e per i quali sta cercando protezione, sono plausibili. Inoltre, deve esistere un nesso tra i diritti di cui si chiede la tutela e le misure provvisorie richieste (accuse di genocidio ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Ucraina c. Federazione Russa), misure provvisorie, ordinanza del 16 marzo 2022, ICJ Reports 2022 (I), pagina 224, paragrafo 51).
37. Il Sudafrica sostiene che cerca di proteggere i diritti dei palestinesi a Gaza, così come i propri diritti ai sensi della Convenzione sul genocidio. Si riferisce al diritto dei palestinesi nella Striscia di Gaza di essere protetti da atti di genocidio, tentato genocidio, incitamento diretto e pubblico a commettere un genocidio, complicità nel genocidio e cospirazione per commettere un genocidio. Il ricorrente sostiene che la Convenzione vieta la distruzione di un gruppo o di parte di esso e afferma che i palestinesi nella Striscia di Gaza, a causa della loro appartenenza ad un gruppo, “sono protetti dalla Convenzione, così come lo è il gruppo stesso”. Il Sudafrica sostiene inoltre che cerca di proteggere il proprio diritto a salvaguardare il rispetto della Convenzione sul genocidio. Il Sudafrica sostiene che i diritti in questione sono “almeno plausibili”, poiché sono “fondati su una possibile interpretazione” della Convenzione sul genocidio.
38. Il Sud Africa sostiene che le prove davanti alla Corte “mostrano incontestabilmente un modello di condotta e le relative intenzioni che giustificano una plausibile affermazione di atti genocidi”. Essa contesta, in particolare, la commissione dei seguenti atti con intento genocida: uccisione, cagionamento di gravi danni fisici e mentali, inflizione al gruppo di condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica totale o parziale, e imposizione di misure destinate a prevenire le nascite all’interno del gruppo. Secondo il Sudafrica, l’intento genocida è evidente dal modo in cui viene condotto l’attacco militare israeliano, dal chiaro modello di condotta di Israele a Gaza e dalle dichiarazioni rilasciate dai funzionari israeliani in relazione all’operazione militare nella Striscia di Gaza. Il ricorrente sostiene inoltre che “[l]’incapacità intenzionale del governo di Israele di condannare, prevenire e punire tale incitamento al genocidio costituisce di per sé una grave violazione della Convenzione sul genocidio”.
Il Sudafrica sottolinea che qualsiasi intenzione dichiarata dal convenuto di distruggere Hamas non preclude l’intento genocida di Israele nei confronti dell’intero o parte del popolo palestinese di Gaza.
39. Israele afferma che, nella fase delle misure provvisorie, la Corte deve stabilire che i diritti rivendicati dalle parti in una causa sono plausibili, ma “[s]implicare che i diritti rivendicati siano plausibili non è sufficiente”. Secondo il resistente, la Corte deve considerare anche le affermazioni di fatto nel contesto rilevante, inclusa la questione della possibile violazione dei diritti fatti valere.
40. Israele sostiene che il quadro giuridico appropriato per il conflitto a Gaza è quello del diritto internazionale umanitario e non della Convenzione sul genocidio. Sostiene che, in situazioni di guerra urbana, le vittime civili possono essere una conseguenza involontaria dell’uso legittimo della forza contro obiettivi militari e non costituiscono atti di genocidio. Israele ritiene che il Sudafrica abbia travisato i fatti sul campo e osserva che i suoi sforzi per mitigare i danni durante lo svolgimento delle operazioni e per alleviare le difficoltà e le sofferenze attraverso le attività umanitarie a Gaza servono a dissipare o, per lo meno, a militare contro qualsiasi accusa di intento genocida. Secondo il convenuto, le dichiarazioni dei funzionari israeliani presentate dal Sud Africa sono “nella migliore delle ipotesi fuorvianti” e “non conformi alla politica del governo”. Israele ha anche richiamato l’attenzione sul recente annuncio del suo Procuratore Generale secondo cui “[qualsiasi] dichiarazione che chieda, tra l’altro, danni intenzionali ai civili. . . può costituire un reato penale, compreso il reato di istigazione” e che “[c]attualmente molti casi simili sono all’esame delle autorità di contrasto israeliane”. Dal punto di vista di Israele, né queste dichiarazioni né il suo modello di condotta nella Striscia di Gaza danno luogo ad una “deduzione plausibile” di un intento genocida. In ogni caso, sostiene Israele, poiché lo scopo delle misure provvisorie è quello di preservare i diritti di entrambe le parti, la Corte deve, nel caso di specie, considerare e “bilanciare” i rispettivi diritti del Sud Africa e di Israele. Il convenuto sottolinea che ha la responsabilità di proteggere i suoi cittadini, compresi quelli catturati e tenuti in ostaggio a seguito dell’attacco avvenuto il 7 ottobre 2023. Di conseguenza, sostiene che il suo diritto all’autodifesa è fondamentale per qualsiasi valutazione della situazione attuale.
41. La Corte ricorda che, conformemente all’articolo I della Convenzione, tutti gli Stati parti della Convenzione si sono impegnati a “prevenire e punire” il crimine di genocidio. L’Articolo II prevede che “per genocidio si intende qualunque dei seguenti atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, in quanto tale:
(a) Uccidere membri del gruppo;
(b) Causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo;
(c) Infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita intese a realizzarlo
distruzione fisica totale o parziale;
d) Imporre misure intese a prevenire le nascite all’interno del gruppo;
(e) Trasferimento forzato di bambini del gruppo ad un altro gruppo”.
42. Ai sensi dell’Articolo III della Convenzione sul genocidio, sono vietati anche i seguenti atti: associazione a delinquere finalizzata a commettere un genocidio (Articolo III, paragrafo (b)), istigazione diretta e pubblica a commettere un genocidio (Articolo III, paragrafo (b)). c)), tentativo di genocidio (articolo III, paragrafo (d)) e complicità nel genocidio (articolo III, paragrafo (e)).
43. Le disposizioni della Convenzione mirano a proteggere i membri di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso da atti di genocidio o da qualsiasi altro atto punibile enumerato nell’articolo III. La Corte ritiene che esista una correlazione tra i diritti dei membri di gruppi protetti dalla Convenzione sul genocidio, gli obblighi che incombono sugli Stati parti e il diritto di qualsiasi Stato parte di chiederne il rispetto da parte di un altro Stato parte (Applicazione della Convenzione sul genocidio la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio (Gambia c. Myanmar), Misure provvisorie, Ordinanza del 23 gennaio 2020, I.C.J. Reports 2020, p. 20, par. 52).
44. La Corte ricorda che, affinché gli atti rientrino nell’ambito di applicazione dell’articolo II della Convenzione,
“L’intento deve essere quello di distruggere almeno una parte sostanziale di quel particolare gruppo. Ciò è richiesto dalla natura stessa del reato di genocidio: poiché l’oggetto e lo scopo della Convenzione nel suo insieme è prevenire la distruzione intenzionale di gruppi, la parte presa di mira deve essere sufficientemente significativa da avere un impatto sul gruppo nel suo insieme. .” (Applicazione della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Bosnia ed Erzegovina c. Serbia e Montenegro), Sentenza, I.C.J. Reports 2007 (I), p. 126, par. 198.)
45. I palestinesi sembrano costituire un distinto “gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”, e quindi un gruppo protetto ai sensi dell’Articolo II della Convenzione sul genocidio. La Corte osserva che, secondo fonti delle Nazioni Unite, la popolazione palestinese della Striscia di Gaza comprende oltre 2 milioni di persone. I palestinesi nella Striscia di Gaza costituiscono una parte sostanziale del gruppo protetto.
46. La Corte rileva che l’operazione militare condotta da Israele in seguito all’attacco del 7 ottobre 2023 ha provocato un gran numero di morti e feriti, nonché la massiccia distruzione di case, lo sfollamento forzato della stragrande maggioranza della popolazione e ingenti danni alle infrastrutture civili. Sebbene i dati relativi alla Striscia di Gaza non possano essere verificati in modo indipendente, informazioni recenti indicano che 25.700 palestinesi sono stati uccisi, sono stati segnalati oltre 63.000 feriti, oltre 360.000 unità abitative sono state distrutte o parzialmente danneggiate e circa 1,7 milioni di persone sono state sfollate internamente (vedi Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), Ostilità nella Striscia di Gaza e in Israele impatto segnalato, giorno 109 (24 gennaio 2024)).
47. La Corte prende atto, a questo proposito, della dichiarazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite
Il 5 gennaio 2024, il Segretario generale per gli affari umanitari e il coordinatore degli aiuti di emergenza, Martin Griffiths:
“Gaza è diventata un luogo di morte e disperazione.
. . . Le famiglie dormono all’aperto mentre le temperature precipitano. Le aree in cui ai civili è stato detto di trasferirsi per la loro sicurezza sono state bombardate. Le strutture mediche sono sotto attacco incessante. I pochi ospedali parzialmente funzionanti sono sopraffatti da casi di trauma, gravemente a corto di tutte le forniture e inondati da persone disperate in cerca di sicurezza.
Si sta verificando un disastro sanitario pubblico. Le malattie infettive si stanno diffondendo nei rifugi sovraffollati mentre le fogne traboccano. Circa 180 donne palestinesi partoriscono ogni giorno in questo caos. Le persone si trovano ad affrontare i più alti livelli di insicurezza alimentare mai registrati. La carestia è dietro l’angolo.
Per i bambini in particolare, le ultime 12 settimane sono state traumatiche: niente cibo. No acqua. Niente scuola. Nient’altro che i terrificanti suoni della guerra, giorno dopo giorno.
Gaza è semplicemente diventata inabitabile. La sua gente è testimone quotidiana di minacce alla sua stessa esistenza, mentre il mondo osserva”. (OCHA, “Capo dei soccorsi delle Nazioni Unite: la guerra a Gaza deve finire”, dichiarazione di Martin Griffiths, sottosegretario generale per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti di emergenza, 5 gennaio 2024.)
48. A seguito di una missione nel nord di Gaza, l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha riferito che, al 21 dicembre 2023:
“Un livello senza precedenti della popolazione di Gaza si trova ad affrontare livelli critici di fame, con cibo insufficiente e alti livelli di malnutrizione. Almeno 1 famiglia su 4 si trova ad affrontare “condizioni catastrofiche”: sperimentando un’estrema mancanza di cibo e morendo di fame e avendo fatto ricorso alla vendita dei propri beni e ad altre misure estreme per permettersi un pasto semplice. La fame, la miseria e la morte sono evidenti”. (OMS, “Combinazione letale di fame e malattie per portare a più morti a Gaza”, 21 dicembre 2023; vedere anche Programma alimentare mondiale, “Gaza sull’orlo del baratro perché una persona su quattro affronta la fame estrema”, 20 dicembre 2023. )
49. La Corte prende inoltre atto della dichiarazione rilasciata il 13 gennaio 2024 dal Commissario generale dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), Philippe Lazzarini:
“Sono passati 100 giorni da quando è iniziata la guerra devastante, che ha causato la morte e lo sfollamento di persone a Gaza, in seguito agli orribili attacchi che Hamas e altri gruppi hanno compiuto contro la popolazione di Israele. Sono stati 100 giorni di duro calvario e di ansia per gli ostaggi e le loro famiglie.
Negli ultimi 100 giorni, i bombardamenti prolungati sulla Striscia di Gaza hanno causato lo sfollamento di massa di una popolazione che è in uno stato di flusso: costantemente sradicata e costretta ad andarsene dall’oggi al domani, solo per spostarsi in luoghi altrettanto pericolosi. Questo è stato il più grande spostamento del popolo palestinese dal 1948.
Questa guerra ha colpito più di 2 milioni di persone, ovvero l’intera popolazione di Gaza. Molti porteranno cicatrici per tutta la vita, sia fisiche che psicologiche. La stragrande maggioranza, compresi i bambini, è profondamente traumatizzata.
I rifugi dell’UNRWA, sovraffollati e antigenici, sono diventati la “casa” di oltre 1,4 milioni di persone. Manca tutto, dal cibo all’igiene alla privacy. Le persone vivono in condizioni disumane, dove le malattie si diffondono, anche tra i bambini. Vivono nell’invivibile, con il tempo che scorre veloce verso la carestia.
La situazione dei bambini a Gaza è particolarmente straziante. Un’intera generazione di bambini è traumatizzata e ci vorranno anni per guarire. Migliaia di persone sono state uccise, mutilate e rese orfane. Centinaia di migliaia sono prive di istruzione. Il loro futuro è in pericolo, con conseguenze di vasta portata e di lunga durata”. (UNRWA, “La Striscia di Gaza: 100 giorni di morte, distruzione e sfollamento”, Dichiarazione di Philippe Lazzarini, Commissario Generale dell’UNRWA, 13 gennaio 2024.)
50. Il Commissario generale dell’UNRWA ha inoltre affermato che la crisi a Gaza è “aggravata da un linguaggio disumanizzante” (UNRWA, “La Striscia di Gaza: 100 giorni di morte, distruzione e sfollamento”, dichiarazione di Philippe Lazzarini, Commissario generale dell’UNRWA, 13 gennaio 2024).
51. A questo proposito, la Corte ha preso atto di una serie di dichiarazioni rilasciate da alti funzionari israeliani. Si richiama l’attenzione, in particolare, sui seguenti esempi.
52. Il 9 ottobre 2023, Yoav Gallant, ministro della Difesa israeliano, ha annunciato di aver ordinato un “assedio completo” di Gaza City e che non ci sarebbero stati “elettricità, cibo, carburante” e che “tutto [era] Chiuso”. Il giorno successivo, il ministro Gallant ha dichiarato, parlando alle truppe israeliane al confine di Gaza:
“Ho rilasciato tutte le restrizioni. . . Hai visto contro cosa stiamo combattendo. Stiamo combattendo gli animali umani. Questo è l’Isis di Gaza. Questo è ciò contro cui stiamo combattendo. . . Gaza non tornerà a essere quella di prima. Non ci sarà Hamas. Elimineremo tutto. Se non ci vorrà un giorno, ci vorrà una settimana, ci vorranno settimane o addirittura mesi, raggiungeremo tutti i posti”.
Il 12 ottobre 2023, Isaac Herzog, presidente di Israele, ha dichiarato, riferendosi a Gaza:
“Stiamo lavorando, operando militarmente secondo le regole del diritto internazionale.
Inequivocabilmente. La responsabilità è di un’intera nazione. Non è vera questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti. Non è assolutamente vero. Avrebbero potuto insorgere. Avrebbero potuto combattere contro quel regime malvagio che ha preso il controllo di Gaza con un colpo di stato. Ma siamo in guerra. Siamo in guerra. Siamo in guerra. Stiamo difendendo le nostre case. Stiamo proteggendo le nostre case. È la verità. E quando una nazione protegge la propria casa, combatte. E combatteremo finché non spezzeremo loro la spina dorsale”.
Il 13 ottobre 2023, Israel Katz, allora ministro dell’Energia e delle Infrastrutture di Israele, ha dichiarato su X (ex Twitter):
“Combatteremo l’organizzazione terroristica Hamas e la distruggeremo. A tutta la popolazione civile di Gaza viene ordinato di andarsene immediatamente. Vinceremo. Non riceveranno una goccia d’acqua o una singola batteria finché non lasceranno il mondo”.
53. La Corte prende inoltre atto di un comunicato stampa del 16 novembre 2023, emesso da 37 relatori speciali, esperti indipendenti e membri di gruppi di lavoro facenti parte delle procedure speciali del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite, in cui hanno espresso allarme per “evidenti retorica genocida e disumanizzante proveniente da alti funzionari del governo israeliano”. Inoltre, il 27 ottobre 2023, il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione della discriminazione razziale ha osservato di essere “[altamente] preoccupato per il forte aumento dell’incitamento all’odio razzista e della disumanizzazione nei confronti dei palestinesi a partire dal 7 ottobre”.
54. Secondo la Corte, i fatti e le circostanze sopra menzionati sono sufficienti per concludere che almeno alcuni dei diritti rivendicati dal Sudafrica e per i quali chiede protezione sono plausibili. Questo è il caso del diritto dei palestinesi di Gaza ad essere protetti dagli atti di genocidio e dei relativi atti proibiti identificati nell’Articolo III, e del diritto del Sudafrica di chiedere il rispetto da parte di Israele degli obblighi di quest’ultimo ai sensi della Convenzione.
55. La Corte passa ora alla condizione del nesso tra i diritti plausibili rivendicati dal Sudafrica e le misure provvisorie richieste.
56. Il Sudafrica ritiene che esista un nesso tra i diritti di cui si chiede la tutela e le misure provvisorie che richiede. Essa sostiene, in particolare, che le prime sei misure provvisorie sono state richieste per garantire il rispetto da parte di Israele degli obblighi derivanti dalla Convenzione sul genocidio, mentre le ultime tre sono dirette a tutelare l’integrità del procedimento dinanzi alla Corte e il diritto del Sudafrica ad avere i propri diritti richiesta abbastanza giudicata.
57. Israele ritiene che le misure richieste vadano oltre quanto necessario per tutelare i diritti in via provvisoria e non abbiano quindi alcun nesso con i diritti che si chiede di tutelare. Il convenuto sostiene, inter alia, che la concessione della prima e della seconda misura richiesta dal Sud Africa (si veda il paragrafo 11 supra) invertirebbe la giurisprudenza della Corte, poiché tali misure sarebbero “per la tutela di un diritto che non potrebbe costituire la base di una sentenza sull’esercizio della giurisdizione ai sensi della Convenzione sul genocidio”.
58. La Corte ha già ritenuto (si veda il paragrafo 54 supra) che almeno alcuni dei diritti rivendicati dal Sudafrica ai sensi della Convenzione sul genocidio sono plausibili.
59. La Corte ritiene che, per la loro stessa natura, almeno alcune delle misure provvisorie richieste dal Sudafrica mirano a preservare i plausibili diritti da esso rivendicati sulla base della Convenzione sul genocidio nel caso di specie, vale a dire il diritto dei palestinesi a Gaza di essere protetto dagli atti di genocidio e dai relativi atti proibiti menzionati nell’Articolo III, e il diritto del Sud Africa di chiedere il rispetto da parte di Israele degli obblighi di quest’ultimo ai sensi della Convenzione. Esiste quindi un nesso tra i diritti rivendicati dal Sudafrica, che la Corte ha ritenuto plausibili, e almeno alcune delle misure provvisorie richieste.
V. RISCHIO DI PREGIUDIZIO IRREPARABILE E URGENZA
60. La Corte, ai sensi dell’articolo 41 del suo Statuto, ha il potere di indicare misure provvisorie quando potrebbe essere arrecato un pregiudizio irreparabile a diritti oggetto di un procedimento giurisdizionale o quando l’asserita violazione di tali diritti può comportare conseguenze irreparabili (vedi, ad esempio, Accuse di genocidio ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Ucraina c. Federazione Russa), Misure provvisorie, Ordinanza del 16 marzo 2022, Rapporti I.C.J. 2022 (I), pagina 226, paragrafo 65 ).
61. Tuttavia, il potere della Corte di indicare misure provvisorie sarà esercitato solo in caso di urgenza, nel senso che esiste un rischio reale e imminente che venga arrecato un pregiudizio irreparabile ai diritti rivendicati prima che la Corte si pronunci definitivamente . La condizione di urgenza è soddisfatta quando gli atti suscettibili di causare un pregiudizio irreparabile possono “verificarsi in qualsiasi momento” prima che la Corte prenda una decisione definitiva sul caso (accuse di genocidio ai sensi della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Ucraina c. Federazione Russa), Misure provvisorie, Ordinanza del 16 marzo 2022, I.C.J. Reports 2022 (I), p. 227, punto 66). La Corte deve quindi valutare se tale rischio sussista in questa fase del procedimento.
62. La Corte non è chiamata, ai fini della sua decisione sulla richiesta di indicazione di misure provvisorie, a stabilire l’esistenza di violazioni degli obblighi derivanti dalla Convenzione sul genocidio, ma a determinare se le circostanze richiedono l’indicazione di misure provvisorie per la tutela dei diritti derivanti da tale strumento. Come già osservato, la Corte non può in questa fase effettuare accertamenti definitivi in fatto (si veda il paragrafo 30 supra), e il diritto di ciascuna parte di presentare argomenti nel merito rimane inalterato dalla decisione della Corte sulla richiesta di indicazione delle misure provvisorie le misure.
63. Il Sudafrica sostiene che esiste un chiaro rischio di pregiudizio irreparabile ai diritti dei palestinesi di Gaza e ai propri diritti ai sensi della Convenzione sul genocidio. Essa afferma che la Corte ha ripetutamente constatato che il criterio del pregiudizio irreparabile è soddisfatto quando emergono rischi gravi per la vita umana o altri diritti fondamentali. Secondo il richiedente, le statistiche quotidiane costituiscono una chiara prova dell’urgenza e del rischio di pregiudizi irreparabili, con una media di 247 palestinesi uccisi, 629 feriti e 3.900 case palestinesi danneggiate o distrutte ogni giorno. Inoltre, secondo il Sudafrica, i palestinesi della Striscia di Gaza sono a
“rischio immediato di morte per fame, disidratazione e malattie a causa del continuo assedio da parte di Israele, della distruzione delle città palestinesi, degli aiuti insufficienti concessi alla popolazione palestinese e dell’impossibilità di distribuire questi aiuti limitati mentre cadono le bombe”.
Il richiedente sostiene inoltre che qualsiasi aumento da parte di Israele dell’accesso agli aiuti umanitari a Gaza non costituirebbe una risposta alla sua richiesta di misure provvisorie. Il Sudafrica aggiunge che, “se le violazioni [di Israele] della Convenzione sul genocidio restassero incontrollate”, l’opportunità di raccogliere e conservare prove per la fase di merito del procedimento sarebbe seriamente compromessa, se non persa del tutto.
64. Israele nega che esista un rischio reale e imminente di pregiudizio irreparabile nel caso di specie. Essa sostiene di aver adottato e continua ad adottare misure concrete mirate specificatamente a riconoscere e garantire il diritto all’esistenza dei civili palestinesi di Gaza e di aver facilitato la fornitura di assistenza umanitaria in tutta la Striscia di Gaza. A questo proposito, il convenuto osserva che, con l’assistenza del Programma alimentare mondiale, hanno recentemente riaperto una dozzina di panifici con la capacità di produrre più di 2 milioni di pane al giorno. Israele sostiene inoltre che continua a fornire la propria acqua a Gaza tramite due condutture, che facilita la consegna di acqua in bottiglia in grandi quantità e che ripara ed espande le infrastrutture idriche. Essa precisa inoltre che l’accesso alle forniture e ai servizi medici è aumentato e afferma, in particolare, di aver facilitato la realizzazione di sei ospedali da campo e di due ospedali galleggianti e che altri due ospedali sono in costruzione. Sostiene inoltre che l’ingresso di squadre mediche a Gaza è stato facilitato e che i malati e i feriti vengono evacuati attraverso il valico di frontiera di Rafah. Secondo Israele, sono state distribuite anche tende e attrezzature invernali ed è stata facilitata la consegna di carburante e gas da cucina. Israele afferma inoltre che, secondo una dichiarazione del suo ministro della Difesa del 7 gennaio 2024, la portata e l’intensità delle ostilità stanno diminuendo.
65. La Corte ricorda che, come sottolineato nella risoluzione 96 (I) dell’Assemblea Generale dell’11 dicembre 1946,
“Il genocidio è la negazione del diritto all’esistenza di interi gruppi umani, come l’omicidio è la negazione del diritto alla vita dei singoli esseri umani; tale negazione del diritto all’esistenza sconvolge la coscienza dell’umanità, si traduce in grandi perdite per l’umanità sotto forma di contributi culturali e di altro tipo rappresentati da questi gruppi umani, ed è contraria alla legge morale e allo spirito e agli obiettivi delle Nazioni Unite” .
La Corte ha osservato, in particolare, che la Convenzione sul genocidio “è stata manifestamente adottata per uno scopo puramente umanitario e civilizzatore”, poiché “il suo scopo è, da un lato, di salvaguardare l’esistenza stessa di alcuni gruppi umani e, dall’altro, di confermare e approvare i principi più elementari della moralità” (Riserve alla Convenzione sulla prevenzione e la punizione del crimine di genocidio, parere consultivo, I.C.J. Reports 1951, p. 23).
66. Alla luce dei valori fondamentali che si intende tutelare mediante la Convenzione sul genocidio, la Corte ritiene che i diritti plausibili in questione in questo procedimento, vale a dire il diritto dei palestinesi nella Striscia di Gaza ad essere protetti da atti di genocidio e da atti proibiti correlati identificati nell’articolo III della Convenzione sul genocidio e il diritto del Sudafrica di chiedere il rispetto da parte di Israele degli obblighi assunti da quest’ultimo ai sensi della Convenzione, sono di natura tale che un pregiudizio ad essi può causare un danno irreparabile (vedi Applicazione della Convenzione sulla prevenzione e Punizione del crimine di genocidio (Gambia c. Myanmar), Misure provvisorie, Ordinanza del 23 gennaio 2020, I.C.J. Reports 2020, p 26, par. 70).
67. Durante il conflitto in corso, alti funzionari delle Nazioni Unite hanno ripetutamente richiamato l’attenzione sul rischio di un ulteriore deterioramento delle condizioni nella Striscia di Gaza. La Corte prende atto, ad esempio, della lettera del 6 dicembre 2023, con la quale il Segretario generale delle Nazioni Unite ha portato all’attenzione del Consiglio di Sicurezza le seguenti informazioni:
“Il sistema sanitario a Gaza è al collasso. . .
Nessun posto è sicuro a Gaza.
In mezzo ai continui bombardamenti da parte delle forze di difesa israeliane e senza un riparo o gli elementi essenziali per sopravvivere, mi aspetto che presto l’ordine pubblico crollerà completamente a causa delle condizioni disperate, rendendo impossibile anche un’assistenza umanitaria limitata. Potrebbe verificarsi una situazione ancora peggiore, che potrebbe includere malattie epidemiche e una maggiore pressione per lo sfollamento di massa nei paesi vicini.
Siamo di fronte a un grave rischio di collasso del sistema umanitario. La situazione
sta rapidamente degenerando in una catastrofe con implicazioni potenzialmente irreversibili
palestinesi nel loro insieme e per la pace e la sicurezza nella regione. Un tale risultato deve
essere evitato a tutti i costi”. (Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, doc. S/2023/962, 6 dic.
2023.)
68. Il 5 gennaio 2024, il Segretario generale ha scritto nuovamente al Consiglio di Sicurezza, fornendo un aggiornamento sulla situazione nella Striscia di Gaza e osservando che “[s]auguratamente continuano livelli devastanti di morte e distruzione” (Lettera del 5 gennaio 2024). 2024 del Segretario Generale indirizzata al Presidente del Consiglio di Sicurezza, Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, doc. S/2024/26, 8 gennaio 2024).
69. La Corte prende inoltre atto della dichiarazione rilasciata il 17 gennaio 2024 dal Commissario generale dell’UNRWA al ritorno dalla sua quarta visita nella Striscia di Gaza dall’inizio dell’attuale conflitto a Gaza: “Ogni volta che visito Gaza, sono testimone di come le persone sono sprofondate ulteriormente nella disperazione, e la lotta per la sopravvivenza consuma ogni ora”. (UNRWA, “La Striscia di Gaza: una lotta per la sopravvivenza quotidiana in mezzo alla morte, all’esaurimento e alla disperazione”, Dichiarazione di Philippe Lazzarini, Commissario Generale dell’UNRWA, 17 gennaio 2024.)
70. La Corte ritiene che la popolazione civile nella Striscia di Gaza rimanga estremamente vulnerabile. Ricorda che l’operazione militare condotta da Israele dopo il 7 ottobre 2023 ha provocato, tra l’altro, decine di migliaia di morti e feriti e la distruzione di case, scuole, strutture mediche e altre infrastrutture vitali, nonché sfollamenti su vasta scala (vedi paragrafo 46 sopra). La Corte rileva che l’operazione è in corso e che il Primo Ministro israeliano ha annunciato il 18 gennaio 2024 che la guerra “richiederà molti mesi ancora più lunghi”. Al momento, molti palestinesi nella Striscia di Gaza non hanno accesso ai generi alimentari più basilari, all’acqua potabile, all’elettricità, ai medicinali essenziali o al riscaldamento.
71. L’OMS ha stimato che il 15% delle donne che partoriscono nella Striscia di Gaza rischiano di avere complicazioni e indica che si prevede che i tassi di mortalità materna e neonatale aumenteranno a causa della mancanza di accesso alle cure mediche.
72. In queste circostanze, la Corte ritiene che la catastrofica situazione umanitaria nella Striscia di Gaza corre il serio rischio di peggiorare ulteriormente prima che la Corte emetta la sua sentenza definitiva.
73. La Corte ricorda la dichiarazione di Israele secondo cui ha adottato alcune misure per affrontare e alleviare le condizioni affrontate dalla popolazione nella Striscia di Gaza. La Corte rileva inoltre che il Procuratore Generale di Israele ha recentemente affermato che una richiesta di danno intenzionale ai civili può costituire un reato penale, compreso quello di incitamento, e che diversi casi di questo tipo sono all’esame delle autorità di polizia israeliane. Anche se iniziative come queste vanno incoraggiate, non sono sufficienti a eliminare il rischio che vengano causati danni irreparabili prima che la Corte emetta la sua decisione finale sul caso.
74. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, la Corte ritiene che vi sia urgenza, nel senso che esiste un rischio reale e imminente che venga arrecato un pregiudizio irreparabile ai diritti ritenuti plausibili dalla Corte, prima di dare la sua decisione finale.
VI. CONCLUSIONI E MISURE DA ADOTTARE
75. La Corte conclude, sulla base delle considerazioni che precedono, che sono soddisfatte le condizioni richieste dal suo Statuto per poter indicare misure provvisorie. È quindi necessario, in attesa della sua decisione finale, che la Corte indichi alcune misure per tutelare i diritti rivendicati dal Sud Africa che la Corte ha ritenuto plausibili (v. paragrafo 54 supra).
76. La Corte ricorda che, ai sensi del suo Statuto, quando è stata presentata una richiesta di misure provvisorie, la Corte ha il potere di indicare misure che sono, in tutto o in parte, diverse da quelle richieste. L’articolo 75, comma 2, del Regolamento della Corte fa specifico riferimento a tale potere della Corte. La Corte ha già esercitato tale potere in diverse occasioni in passato (v., ad esempio, Applicazione della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (Gambia c. Myanmar), Misure provvisorie, Ordinanza del 23 gennaio 2020, Rapporti ICJ 2020, pagina 28, paragrafo 77).
77. Nel caso di specie, considerati i termini delle misure provvisorie richieste dal Sudafrica e le circostanze del caso di specie, la Corte constata che non è necessario che le misure da indicare siano identiche a quelle richieste.
78. La Corte ritiene che, per quanto riguarda la situazione sopra descritta, Israele deve, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sul genocidio, nei confronti dei palestinesi di Gaza, adottare tutte le misure in suo potere per impedire la commissione di tutti gli atti all’interno del territorio campo di applicazione dell’articolo II della presente Convenzione, in particolare: a) l’uccisione di membri del gruppo; (b) causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo; (c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica totale o parziale; e (d) imporre misure intese a prevenire le nascite all’interno del gruppo. La Corte ricorda che questi atti rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo II della Convenzione quando sono commessi con l’intento di distruggere in tutto o in parte un gruppo in quanto tale (si veda il paragrafo 44 supra). La Corte ritiene inoltre che Israele debba garantire con effetto immediato che le sue forze militari non commettano nessuno degli atti sopra descritti.
79. La Corte è inoltre del parere che Israele debba adottare tutte le misure in suo potere per prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere un genocidio nei confronti dei membri del gruppo palestinese nella Striscia di Gaza.
80. La Corte ritiene inoltre che Israele debba adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e dell’assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse affrontate dai palestinesi nella Striscia di Gaza.
81. Israele deve inoltre adottare misure efficaci per prevenire la distruzione e garantire la conservazione delle prove relative alle accuse di atti nell’ambito dell’articolo II e dell’articolo III della Convenzione sul genocidio contro membri del gruppo palestinese nella Striscia di Gaza.
82. Per quanto riguarda la misura provvisoria richiesta dal Sud Africa secondo la quale Israele deve presentare un rapporto alla Corte su tutte le misure adottate per dare attuazione alla sua ordinanza, la Corte ricorda che ha il potere, riflesso nell’articolo 78 del Regolamento della Corte, di richiedere alle parti di fornire informazioni su ogni questione connessa all’attuazione delle eventuali misure provvisorie dallo stesso indicate. Alla luce delle specifiche misure provvisorie che ha deciso di indicare, la Corte ritiene che Israele debba presentare alla Corte un rapporto su tutte le misure adottate per dare effetto a quest’Ordine entro un mese, a partire dalla data di questo Ordine. La relazione così fornita sarà poi comunicata al Sudafrica, al quale sarà data la possibilità di presentare alla Corte le sue osservazioni al riguardo.
83. La Corte ricorda che le sue ordinanze sulle misure provvisorie ai sensi dell’articolo 41 dello Statuto hanno effetto vincolante e creano quindi obblighi giuridici internazionali per qualsiasi parte destinataria delle misure provvisorie (accuse di genocidio ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del Crimine di genocidio (Ucraina c. Federazione Russa), Misure provvisorie, Ordinanza del 16 marzo 2022, Rapporti I.C.J. 2022 (I), p. 230, punto 84).
84. La Corte ribadisce che la decisione resa nel presente procedimento non pregiudica in alcun modo la questione della competenza della Corte a trattare il merito della causa o qualsiasi questione relativa alla ricevibilità del ricorso o al merito stesso. Resta salvo il diritto dei governi della Repubblica del Sud Africa e dello Stato di Israele di presentare argomenti riguardo a tali questioni.
85. La Corte ritiene necessario sottolineare che tutte le parti in conflitto nella Striscia di Gaza sono vincolate dal diritto internazionale umanitario. È seriamente preoccupato per la sorte degli ostaggi rapiti durante l’attacco in Israele il 7 ottobre 2023 e da allora detenuti da Hamas e da altri gruppi armati, e ne chiede il rilascio immediato e incondizionato.
86. Per questi motivi,
LA CORTE,
Indica le seguenti misure provvisorie:
(1) Con quindici voti contro due,
Lo Stato di Israele, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, in relazione ai palestinesi di Gaza, adotterà tutte le misure in suo potere per prevenire la commissione di tutti gli atti che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo II della presente Convenzione, in particolare:
(a) uccidere membri del gruppo;
(b) causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo;
(c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita intese a procurarne il benessere fisico
distruzione totale o parziale;
d) imporre misure intese a prevenire le nascite all’interno del gruppo;
A FAVORE: Presidente Donoghue; Vicepresidente Gevorgian; Giudici Tomka, Abraham, Bennouna, Yusuf, Xue, Bhandari, Robinson, Salam, Iwasawa, Nolte, Charlesworth, Brant; Giudice ad hoc Moseneke;
CONTRO: Giudice Sebutinde; giudice ad hoc Barak;
(2) Con quindici voti contro due,
Lo Stato di Israele garantirà con effetto immediato che i suoi militari non commettano gli atti descritti al precedente punto 1;
A FAVORE: Presidente Donoghue; Vicepresidente Gevorgian; Giudici Tomka, Abraham, Bennouna, Yusuf, Xue, Bhandari, Robinson, Salam, Iwasawa, Nolte, Charlesworth, Brant; Giudice ad hoc Moseneke;
CONTRO: Giudice Sebutinde; giudice ad hoc Barak;
(3) Con sedici voti contro uno,
Lo Stato di Israele adotterà tutte le misure in suo potere per prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere un genocidio nei confronti dei membri del gruppo palestinese nella Striscia di Gaza;
A FAVORE: Presidente Donoghue; Vicepresidente Gevorgian; Giudici Tomka, Abraham, Bennouna, Yusuf, Xue, Bhandari, Robinson, Salam, Iwasawa, Nolte, Charlesworth, Brant; Giudici ad hoc Barak, Moseneke;
CONTRO: Giudice Sebutinde;
(4) Con sedici voti contro uno,
Lo Stato di Israele adotterà misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse affrontate dai palestinesi nella Striscia di Gaza;
A FAVORE: Presidente Donoghue; Vicepresidente Gevorgian; Giudici Tomka, Abraham, Bennouna, Yusuf, Xue, Bhandari, Robinson, Salam, Iwasawa, Nolte, Charlesworth, Brant; Giudici ad hoc Barak, Moseneke;
CONTRO: Giudice Sebutinde;
(5) Con quindici voti contro due,
Lo Stato di Israele adotterà misure efficaci per prevenire la distruzione e garantire la conservazione delle prove relative alle accuse di atti che rientrano nel campo di applicazione degli Articoli II e III della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio contro membri della comunità palestinese. gruppo nella Striscia di Gaza;
A FAVORE: Presidente Donoghue; Vicepresidente Gevorgian; Giudici Tomka, Abraham, Bennouna, Yusuf, Xue, Bhandari, Robinson, Salam, Iwasawa, Nolte, Charlesworth, Brant; Giudice ad hoc Moseneke;
CONTRO: Giudice Sebutinde; giudice ad hoc Barak;
(6) Con quindici voti contro due,
Lo Stato di Israele presenterà alla Corte un rapporto su tutte le misure adottate per dare attuazione alla presente Ordinanza entro un mese dalla data della presente Ordinanza.
A FAVORE: Presidente Donoghue; Vicepresidente Gevorgian; Giudici Tomka, Abraham, Bennouna, Yusuf, Xue, Bhandari, Robinson, Salam, Iwasawa, Nolte, Charlesworth, Brant; Giudice ad hoc Moseneke;
CONTRO: Giudice Sebutinde; Giudice ad hoc Barak.
Fatto in inglese e in francese, facendo fede il testo inglese, al Palazzo della Pace, all’Aja, il ventisei gennaio duemilaventiquattro, in tre esemplari, uno dei quali sarà depositato nell’archivio di la Corte e gli altri trasmessi rispettivamente al Governo della Repubblica del Sud Africa e al Governo dello Stato di Israele.
(Firmato) Joan E. DONOGHUE,
Presidente.
(Firmato) Philippe GAUTIER,
Cancelliere.
Il giudice XUE allega una dichiarazione all’ordinanza della Corte; Il giudice SEBUTINDE allega un’opinione dissenziente all’ordinanza della Corte; I giudici BHANDARI e NOLTE allegano dichiarazioni all’ordinanza della Corte; Il giudice ad hoc BARAK allega un parere separato all’ordinanza della Corte.
Come educatori e formatori, noi docenti siamo particolarmente attenti a sensibilizzare gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado al significato di questo evento.
Contestualizziamo l’odierna ricorrenza.
Da anni rifletto su come questa Giornata possa essere una occasione per spaziare dall’orrore consumato nei campi di sterminio nazisti a quelli perpetuati nella storia in tanti altri genocidi, da quello dei nativi americani a quello del popolo armeno, fino al massacro in Rwanda, Burundi e Sud Sudan, passando per Cina, Russia, Cambogia, e dalle dittature dei paesi latino americani https://www.studenti.it/genocidi-del-novecento-riassunto.htm
Quest’anno, però, sarà impossibile celebrare la Giornata senza fare i conti con il dramma che si sta protraendo in Israele e a Gaza dagli eventi dello scorso 7 ottobre.
Il 29 dicembre 2023, il Sudafrica ha presentato un ricorso presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, avviando un procedimento contro Israele in merito alle presunte violazioni dei suoi obblighi ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio (la “Convenzione sul genocidio”) in relazione ai palestinesi nella Striscia di Gaza. https://www.icj-cij.org/case/192
Israele respinge le accuse che gli sono state mosse contro.
La Corte di Giustizia Internazionale si è espressa con Ordine n.192 del 26 gennaio 2024 “Applicazione della Convenzione sulla prevenzione e punizione del reato di genocidio nella Striscia di Gaza” indicando le seguenti misure provvisorie:
(1) Lo Stato di Israele, in conformità con i suoi obblighi ai sensi della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio, in relazione ai palestinesi di Gaza, adotterà tutte le misure in suo potere per prevenire la commissione di tutti gli atti che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo II della presente Convenzione, in particolare:
(a) uccidere membri del gruppo;
(b) causare gravi danni fisici o mentali ai membri del gruppo;
(c) infliggere deliberatamente al gruppo condizioni di vita intese a procurarne il benessere fisico
distruzione totale o parziale;
d) imporre misure intese a prevenire le nascite all’interno del gruppo;
(2) Lo Stato di Israele garantirà con effetto immediato che i suoi militari non commettano gli atti descritti al precedente punto 1;
(3) Lo Stato di Israele adotterà tutte le misure in suo potere per prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere un genocidio nei confronti dei membri del gruppo palestinese nella Striscia di Gaza;
(4) Lo Stato di Israele adotterà misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse affrontate dai palestinesi nella Striscia di Gaza;
(5) Lo Stato di Israele adotterà misure efficaci per prevenire la distruzione e garantire la conservazione delle prove relative alle accuse di atti che rientrano nel campo di applicazione degli Articoli II e III della Convenzione sulla prevenzione e la repressione del crimine di genocidio contro membri della comunità palestinese. gruppo nella Striscia di Gaza;
Ci sono davvero i presupposti per ritenere che quel che si sta consumando a Gaza si configuri come un “genocidio”?
Joshua Frank, analizza sul campo il risultato combinato di tre azioni messe in atto dall’esercito israeliano: l’avvelenamento delle falde acquifere mediante il versamento delle acque reflue marine nei tunnel di Hamas, l’abbattimento sistematico degli ulivi, una delle principali fonti di sussistenza dei Palestinesi (22% dei campi rasi al suolo), l’utilizzo di bombe al fosforo bianco, tossiche e vietate dai trattati internazionali, sganciate da due mesi sui territori. Lo scopo dichiarato è proprio quello di rendere Gaza un deserto (già il 70% delle abitazioni distrutte) e di conseguenza arrivare ad una inevitabile prossima “nakba”, un esodo forzato delle popolazioni palestinesi. https://comune-info.net/la-striscia-di-terra-bruciata/
Quello che inorridisce ciascun cittadino dotato di senso civico e attenzione ai diritti umani fondamentali è che non solo Hamas neghi il diritto di esistenza allo Stato di Israele ma che Israele neghi la stessa possibilità della costituzione di uno Stato palestinese, proposta come unica soluzione alla ultracinquantennale crisi dall’ONU.
Secondo lo storico Antonio Gibelli le motivazioni che fondano le accuse di genocidio a Israele da parte del Sudafrica sono rintracciabili nelle modalità dell’azione israeliana: uccisioni dirette, morti, malattie e sofferenze provocate, continuità dell’azione, complementarietà tra omicidi di civili e pulizia etnica (spostamento coatto ed espulsione di popolazione).
“Anche a non considerare le dichiarazioni esplicite di ministri israeliani sulla disumanità dei palestinesi e le intenzioni manifestate dai coloni di Cisgiordania, ma tenendo conto dell’intenzione dichiarata da parte del governo israeliano di prolungare ad libitum l’azione in corso, far rientrare tutto questo nella categoria storica del genocidio appare del tutto legittimo e appropriato. Israele mostra chiaramente l’intenzione di sbarazzarsi definitivamente dei Palestinesi, in un modo o nell’altro.”https://comune-info.net/aspettando-le-decisioni-dellaia/
Riccardo Cristiano auspica una nuova narrativa che esca da quella di chi oggi si schiera dall’una o dall’altra parte dividendo il mondo in antisemiti – o antigiudei e islamofobi. Occorre un cambio di passo per la soluzione reale dei problemi, posto che lo si voglia fare https://www.settimananews.it/informazione-internazionale/diario-guerra-25/ .
In tutta questa drammatica escalation, oltre agli appelli ripetuti del Vescovo di Roma, la voce dell’ONU sembra quella più chiara e decisa, anche se totalmente inascoltata e sabotata non solo da Hamas ma anche da Israele, oramai unico Stato al mondo ad aver disatteso oltre settanta risoluzioni delle Nazioni Unite dal 1951 ad oggi.
Cosa dobbiamo dire? Forse che i comandi divini di sterminio delle popolazioni nemiche per l’occupazione della Terra Promessa rivolti a Giosuè prima, a Saul e a Davide durante il loro regno poi, debbano essere colti non solo come il segno di racconti i cui contorni non sono (fortunatamente?) registrabili secondo coordinate scientificamente storiche ma, e qui la domanda diventa grido, giustificazione e fondazione biblica per uno Stato che ha la Bibbia (Antico Testamento) ma non una sua Carta Costituente?
Torniamo in classe, per condividere con i nostri studenti una Giornata che risponda non solo al grido di Auschwitz ma anche a quello di Gaza.
Da quel che ho saputo, Sami predilige incontrare i ragazzi più piccoli, quelli del primo ciclo di istruzione, per condividere il suo messaggio e il suo appello.
Questo particolare mi ricorda i passi evangelici in cui Gesù stesso invita chi lo ascolta a farsi attento alla voce e all’esempio dei bambini, perché “a chi è come loro appartiene il regno di Dio” (Mc 10, 13-16).
Mi sembra un principio ermeneutico prezioso ed interessante.
Se volessimo elevare a “norma di comportamento” l’invito evangelico, questo, forse, cambierebbe qualcosa.
Un esempio interessante lo troviamo nell’iniziativa del World’s Children Prize https://worldschildrensprize.org/ , il “Nobel dei bambini”.
Oggi, fuori di ogni metafora, sogneremmo un mondo in cui gli adulti si mettano alla scuola e all’ascolto dei bambini: che poi sono le prime e più numerose vittime di ogni conflitto prodotto dai loro genitori.
Cosa pensavano i bambini di Auschwitz? Sami, ragazzo a Birkenau nel 1946, ce lo testimonia. Cosa pensano i bambini di Gerusalemme? E quelli di Gaza? E quelli dell’Ucraina, del Sud Sudan, del Myanmar, dello Yemen, della Siria?… L’elenco potrebbe continuare.
Magari se daremo voce e ascolto a loro, piuttosto che agli adulti che non vogliono ascoltare nulla e nessuno, potremmo guardare negli occhi i nostri giovani e dire loro che abbiamo imparato qualcosa dalla lezione dell’Olocausto.
“OFF THE FENCE”: una “parola d’ordine che può diventare foriera di un nuovo orientamento, non solo per la Chiesa Cattolica ma anche per chi cura la “Res publica”, raccogliendo l’annuncio, sempre vivo, del Giubileo.
di Alessandro Manfridi
I prossimi mesi ci condurranno all’apertura della Porta Santa, con cui daremo inizio al Giubileo. Vi chiedo di intensificare la preghiera per prepararci a vivere bene questo evento di grazia e sperimentarvi la forza della speranza di Dio. Per questo iniziamo oggi l’Anno della preghiera, cioèun anno dedicato a riscoprire il grande valore e l’assoluto bisogno della preghiera nella vita personale, nella vitadella Chiesa e del mondo. Saremo aiutati anche dai sussidi che il Dicastero per l’Evangelizzazione metterà a disposizione. (https://m.vatican.va/content/francescomobile/it/angelus/2024/documents/20240121-angelus.html)
Con queste parole pronunciate domenica 21 gennaio al termine dell’Angelus in Piazza San Pietro,Papa Francesco ci ha ricordato che tra un anno vivremo un evento che, da oltre sette secoli, contraddistingue il cammino della cristianità, quello del Giubileo https://www.iubilaeum2025.va/it.html.
Lui stesso ci aveva indicato il 2023 come anno di riflessione sul Concilio Vaticano II a sessant’anni dalla sua apertura che, unito al 2024 celebrato come anno di preghiera, ci stanno preparando al Giubileo, la cui Bolla di indizione dovrebbe essere pubblicata nella prossima Solennità dell’Ascensione, il 9 maggio 2024.
I Giubilei si richiamano alla loro istituzione biblica, normata nel libro del Levitico al capitolo 25. Il sabato è il “settimo giorno”, il “giorno di Dio” per gli ebrei. Il settimo anno, l’”anno sabbatico”, un anno di riposo dei campi. Dopo “sette settimane di anni”, l’anno cinquantesimo è l’anno il cui ingresso è annunciato con il suono dei corni di ariete (“Jobel”), l’anno del Giubileo, anno di liberazione degli schiavi e di attenzione agli ultimi.
Istituiti nella Chiesa di Roma da Papa Bonifacio VIII nel 1300, i Giubilei vengono celebrati dalla cristianità dapprima ogni cinquanta, poi ogni venticinque anni. È un anno dove, in maniera più solenne ed “epocale” si riflette e si celebra l’evento che ricordiamo ogni anno a Natale: la nascita di Gesù, il suo compleanno, la sua venuta che ha diviso il computo della storia in “avanti Cristo” e “dopo Cristo”. Nella storia della Chiesa abbiamo avuto, oltre a 24 giubilei ordinari e tre non celebrati (1800, 1850, 1875), anche nove Giubilei “straordinari” fuori di queste date, l’ultimo il 2016. Tra questi quello della Redenzione nel 1933, computato in riferimento all’anno 33 e i suoi anniversari (anche il 2033 è previsto un ulteriore “Giubileo della Redenzione”).
Quella manifestazione voleva mettere al centro “i festeggiati”, i “primi destinatari” dell’evento giubilare, “i poveri, i prigionieri, gli oppressi” richiamati nella pagina di Isaia letta da Gesù nel Sinedrio (Lc 4, 16-21), che corrono paradossalmente il rischio di essere dimenticati da chi, volendo celebrare la venuta del Messia nella stalla di Betlemme, si dimentica di tutti i richiami alla giustizia sociale e alla liberazione da ogni forma di oppressione e schiavitù che sono il fine dell’anno del Giubileo levitico e della stessa venuta del Cristo.
Sicuramente i temi “sociali”, senza nulla togliere al “primato dello Spirito”, potranno essere un focus fondamentale in questa “finestra” del 2025.
Papa Francesco, al quale l’amico cardinale Hummes al termine del concistoro raccomandò di “non scordare i poveri”, pare molto attento a questi aspetti.
La sua scelta della primo viaggio apostolico a Lampedusa; l’istituzione della “Giornata Mondiale dei poveri” https://archivio.agensir.it/2017/11/18/giornata-mondiale-dei-poveri-cinque-cose-da-sapere/ che precede quella solenne di “Cristo Re”; i suoi richiami continui ai bisogni, ai diritti di tutti e degli ultimi in particolare sono un elemento costante del suo magistero.
La sua richiesta, diretta alla Chiesa Cattolica, di “uscire dalle mura” per operare in mezzo alla gente. L’immagine della Chiesa come “ospedale da campo”.
“OFF THE FENCE”: è la denominazione della produzione che avrebbe realizzato con il Movimento “Laudato si’” il film: “The letterfilm.org” https://www.theletterfilm.org/it/guarda/ ispirato a san Francesco, all’enciclica “Laudato si’” e al messaggio sulla cura della casa comune con tante testimonianze preziosissime.
“OFF THE FENCE”: “fuori dai recinti”. Appunto.
È sicuramente una circostanza liturgica preziosa quella che ci propone il calendario romano, che prevederà da domenica 30 novembre 2024 il ciclo C, quello che ci presenta la lettura domenicale dei passi dal vangelo di Luca.
Il suo Vangelo non è solo noto come “Il Vangelo della Misericordia”, per i passi come quello della parabola di Lc 15, 11-32; in entrambi i suoi scritti il protagonista indiscusso è lo Spirito Santo, che conduce il percorso di Gesù e della chiesa apostolica.
Il medico, discepolo dell’apostolo Paolo, concepisce la sua opera con due movimenti teologicamente fondati: centripeto e centrifugo.
Il terzo Vangelo è il racconto di un cammino (centripeto) che porta Gesù e i suoi fino a Gerusalemme, la “Città Santa”, quella dove si compie il suo disegno di Salvezza con gli eventi della sua Passione, Morte e Risurrezione.
Il libro degli Atti degli Apostoli, anche detto “Vangelo dello Spirito”, continua come seconda parte il tutt’uno con il terzo Vangelo, tracciando un cammino (centrifugo) che, sotto la guida e l’impulso costante dello Spirito Santo, conduce gli apostoli e gli altri evangelizzatori della comunità nata a Pentecoste, da Gerusalemme fino agli estremi confini del mondo conosciuto.
Un movimento centrifugo, appunto. “OFF THE FENCE”. Come piace a Francesco.
E come, sicuramente, il Giubileo 2025 potrà essere caratterizzato.
Il mondo vive problemi epocali che chiamano in causa le Nazioni e i loro responsabili, “gridano” davanti a Dio e agli uomini.
Ognuno di noi è chiamato ad “uscire dai suoi recinti” per trovare soluzioni a quel che queste grida ci impongono: un “nuovo” (!?) modello di sviluppo, una “rinnovata” riscoperta dei valori e dei diritti fondamentali dell’umanità e del Pianeta, un salutare “primato dello spirito/Spirito” che non venga negato in un mondo che, sempre più in mano alle AI, corre il rischio di smarrire la sua dimensione di “ulteriorità” per appiattirsi su un orizzonte del solo “qui ed ora” e del famelico “tutto e subito”.
L’Auxilium apre un percorso interdisciplinare sulla sfida e sull’opportunità che la AI fornisce al mondo dell’Educazione
7 dicembre 2023
Il 17 novembre rimbalza in tutto il mondo la notizia che il consiglio di amministrazione di OpenAI, società californiana apripista mondiale nel campo dell’intelligenza artificiale generativa, avrebbe licenziato il CEO Sam Altman, inventore del rivoluzionario sistema ChatGPT.
La Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilum aveva da tempo programmato il percorso interdisciplinare per l’anno accademico 2023-24 sull’AI (artificial intelligence).
Nel frattempo la notizia di un nuovo movimento religioso che sostituirebbe Dio con un culto indirizzato all’intelligenza artificiale https://www.hwupgrade.it/news/web/rinasce-la-chiesa-dell-ai-e-conta-migliaia-di-fedeli-robot-venerati-come-divinita_122105.html dovrebbe farci riflettere. Non tanto per la proposta in sé – trattandosi di un movimento ancora poco incisivo quanto al numero degli adepti – quanto per le implicazioni sociali, sociologiche, culturali e valoriali: forse l’uomo già da tempo ha sostituito Dio e le Religioni con altri idoli a cui indirizzare mente, cuore, forze, tempo e risorse. L’AI è solo l’ultima tra questi, anche se può “scalare le classifiche” e conquistare sempre più adesioni.
Sabato 18 è stato realizzato all’Auxilium il primo incontro del corso, dal titolo L’intelligenza artificiale: un copilota per la progettazione didattica
Introduce i lavori uno dei membri della Commissione scientifica del percorso interdisciplinare, il professor Michele Kettmajer, autore e designer di cultura e innovazione digitale, docente di Etica del digitale all’Università Cattolica di Benguela (Angola), precursore e fondatore di webtv in Italia.
L’iniziativa di Auxilium si propone come uno sviluppo prezioso delle potenzialità fornite dall’AI, in prospettiva della promozione dei percorsi educativi e didattici. Lo stesso Don Bosco fece partire le tipografie non tanto per contrastare la stampa laica, quanto perché voleva che i suoi ragazzi sapessero come affrontare la tecnologia. La settimana scorsa Elon Musk ha presentato una sua società che impianta i chip nel cervello, ha già oltre trentamila adesioni volontarie. Questo chip permette di muovere gli arti, nel futuro permetterà di essere felici. Il chip costa solo diecimila euro. Nei prossimi dieci anni verranno persi trecento milioni di posti di lavoro secondo le stime. Negli USA i giudici fanno già delle sentenze utilizzando la AI. La polizia di Amsterdam cataloga i ragazzi e l’AI utilizza i dati scolastici. Sono le aziende che devono fare profit a imporre dove deve andare l’AI: oggi Microsoft utilizza una AI potente 10 volte di più rispetto a quelle utilizzate dagli utenti.
La professoressa Susanna Sancassani del Centro Politecnico di Milano, esperta di interazione tra tecnologia e apprendimento, Responsabile del Centro METID, il servizio di Metodi e Tecnologie Innovative per la Didattica, svolge la relazione sul tema dell’incontro.
Proviamo ad entrare in questo mondo in cui la AI incrocia la didattica.
Intelligenza artificiale: una catastrofe? Dal punto di vista etimologico è realmente uno stravolgimento improvviso, con una discontinuità profonda.
Fine del monopolio umano sull’uso efficace del linguaggio. ChatGPT ora consente di inserire immagini e ne inserisce essa stessa.
Fine della connessione tra fonte e contenuto, perché le informazioni vengono da varie fonti.
La metafora dell’albero della conoscenza intesa come ramificazione delle conoscenze si perde completamente per essere sostenuta dalla metafora della grande rete connettiva sotterranea del bosco.
Sillogismi validi “da sempre” diventano fallaci: fino a ieri si riteneva che tutte le entità in grado di comprendere il linguaggio fossero in grado di usarlo correttamente. Viceversa, la padronanza del linguaggio per la AI non ha nulla a che fare con la comprensione del linguaggio (cfr. La stanza cinese di Searle).
Siamo di fronte a un salto evolutivo nelle logiche di organizzazione della conoscenza.
Quali obiettivi educativi?
I miei studenti cosa devono sapere di diverso o di più per muoversi in questo contesto?
Bisogni indotti in modo diretto: saper progettare e usare sistemi AI. Abilità di identificare, raccogliere, selezionare, organizzare dati sia fisici che digitali per l’AI training nei domini culturali specifici. Per costruire il set di dati bisogna che ci lavorino degli esperti.
Una competenza importante: posso utilizzare l’AI per il mio lavoro specifico?
Se voglio chieder a chat GPT di aiutarmi a programmare la didattica devo raccontargliela traducendola nel suo linguaggio e dandogli le giuste informazioni. Quando ricevo un output dall’AI devo saper utilizzare l’output per agire.
Il tema dell’agire in modo trasformativo sulla realtà stessa.
Bisogni indotti in modo indiretto: contromisure per ridurre i rischi di “effetti collaterali” in un mondo Al_based.
Un testo scritto a mano, un testo scritto computer based o un testo scritto con l’AI è diverso a partire dal mezzo.
Apprendimento, insegnamento, istituzione. Questo strumento è ancora gratuito.
Altro filone prezioso: trans-disciplinarietà. L’AI attinge a varie discipline nel rispondere a i nostri input e immette i nostri lavori dunque in discipline diverse, connesse nell’unica tematica affrontata.
La bellezza di quella biblioteca che parla con me è che non si preoccupa, per rispondere ad una domanda, di dover prendere dal reparto di letteratura o altro ma lavora in una dimensione transdisciplinare.
La realtà ci viene incontro tutta insieme, non divisa per discipline. L’AI ci offre questa grande opportunità di portare nelle nostre aule l’interdisciplinarietà.
Esempi: Guernica e la legge di Ohm. Agopuntura e urbanistica. Rivoluzione e calcolo integrale.
Di fronte a queste possibilità bisogna spingere i nostri studenti a sfruttare queste opportunità.
L’AI fa tre cose: un’analisi descrittiva delle situazioni, l’offerta di due possibilità per capire ed immaginare il futuro: fa delle analisi prescrittive; fa delle analisi predittive.
Chiudo con una mia personale considerazione. Proprio il giorno prima, le diocesi di Porto-Santa Rufina e Civitavecchia-Tarquinia avevano organizzato un convegno sulle dipendenze e il disagio giovanile.
La mattina successiva ci siamo entusiasmiati per le possibilità enormi offerte dalla nuova frontiera dell’AI, che trova nel chatbot ChatGPT un moderno Aeropago denso di prospettive.
Contemporaneamente, migliaia di giovani della nostra società vivono ai margini della vita sociale e delle possibilità culturali e lavorative presenti e future, rese oggi potenzialmente esponenziali dall’AI.
Ancora: come un amico sacerdote missionario in Benin mi testimoniava, nella scuola fondata dalla sua parrocchia si lavora tutt’oggi con la lavagna e i gessetti. Per questi ragazzi possedere un PC significa essere una persona “ricca”, nessuno di loro può permettersi questo.
La mia domanda sorge dunque spontanea: la AI potrà essere una innovazione preziosa che aiuterà a migliorare le condizioni di vita degli uomini? O le sue enormi potenzialità verranno sfruttate solo dalle aziende che fanno profitti a vantaggio di pochi e a danno di molti, così come ben illustrava profeticamente nella sua “Lettera a don Piero” don Milani ormai settanta anni fa?
Per le suore di Maria Ausiliatrice e per la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium l’intenzione è certa. Come fece don Bosco con le tipografie, così, oggi, questo percorso interdisciplinare vuole essere un primo passo per aiutare i giovani, e tra loro i più svantaggiati, ad avere strumenti per padroneggiare la nuova frontiera dell’AI.
La scorsa settimana a Ladispoli si è svolto un convegno sulle dipendenze e il disagio giovanile organizzato dalle diocesi di Porto-Santa Rufina e Civitavecchia-Tarquinia.
In apertura dell’incontro l’assessore Margherita Frappa ha ricordato quanto fino a poco tempo fa si ritenesse che le agenzie educative protagoniste della formazione dei giovani fossero fondamentalmente la scuola e la famiglia. Uno studioso diceva: “Per educare i ragazzi ci vuole un villaggio”. È così. Ci vuole una rete di realtà: famiglia, scuola, istituzioni, associazioni che devono intercettare i giovani e prendersi cura di loro. Ogni anno muoiono suicidi 400 giovani, i media non ne parlano per evitare emulazione. Eppure oggi c’è una forma di nichilismo giovanile in coloro che disperatamente sentono di non avere un futuro.
Perciò, per il vescovo Gianrico Ruzza, ascoltare il grido dei giovani significa assumere un compito preciso che come Chiesa e come società dobbiamo svolgere. Purtroppo non ci sono ancora le risposte. Oggi di fatto i giovani sono davvero pochi nelle nostre comunità. Ma di sicuro questo ascolto fa emergere un elemento ricorrente: la tristezza. Molte volte i giovani sono tristi, non hanno la passione per la vita.
Secondo Don Giovanni Carpentieri, prete della diocesi di Roma ed educatore professionale impegnato nell’educativa di strada con l’associazione “Fuori Della Porta Odv”, ne consegue che siamo ad un punto di non ritorno. Abbiamo una fascia di giovani dai 12 ai 22 anni che non arriva da nessuna parte, non arriva alle scuole, ai servizi sociali, al lavoro; arriva o al pronto soccorso o al penale; i centri di giustizia non sanno più dove collocarli. C’è un problema fondamentale che è quello della salute mentale. Risultano diffuse e devastanti problematiche comportamentali e dipendenza dalle sostanze: “noi andiamo ad incontrare le comitive pomeridiane di giovani per le strade una volta a settimana. Andiamo allo stesso muretto, stesso gruppo, per due mesi. Quello che siamo stati capaci di intercettare è veramente allucinante. Questo approccio non è evangelizzazione di strada, non è missione, non è: – ti porto il vangelo -. Se ti metti in questo range di comunicazione dopo tre incontri ti mollano. Per ogni location c’è un approccio diverso: andiamo nelle strade, nelle discoteche. SE NON VAI A CERCARLI NON ARRIVANO DA NESSUMA PARTE E SI PERDONO, MUOIONO. È facile agganciarli. Le cose più difficile vengono dopo. Tu porti delle cose, una merenda, si fermano a mangiare e li agganci, poi ci stanno le carte. Dopo l’incontro, viene il secondo momento, la presa in carico, quando i ragazzi si aprono e ci espongono i loro bisogni, ad esempio quello di fare ripetizioni scolastiche. Il terzo momento è l’accoglienza. Io in casa famiglia non ho nessun profilo istituzionale, sono l’ultimo dei volontari. Il problema è che molti di questi ragazzi non vengono indirizzati alle comunità perché molte volte i SERT per questione di badget non refertano l’uso di quelle che definiscono “droghe leggere”. In casa famiglia non entrano, in comunità non li fanno entrare, dove posso metterli questi ragazzi? Basterebbero 2-3 ore a settimana. I corsi di formazione sono importanti. I professori possono istradare sia gli adolescenti ma anche quei genitori che si fanno le canne con i figli. Andate a consultare le statistiche del Ministero degli Interni. Consultando i dati sugli accessi ai SERT degli adolescenti, è impressionante l’uso e l’abuso che fanno delle sostanze. Nei cannabis shop la grammatura che si vende diventa effetto stupefacente. Le lobby sabotano ogni intervento giudiziario svolto a impedire la commercializzazione della cannabis”.
Incalza don Giovanni: “Quando andiamo a pescare questi ragazzi? Noi dobbiamo stare nelle periferie esistenziali dove il Signore stava, ci sono argini di azione pastorale infinite, possiamo fare di tutto. Gli interventi possono essere a bassa, media, o alta soglia. Gli interventi a bassa soglia sono quando il disagio è presente nella comitiva ma ancora pascola. Gli interventi a media soglia sono i più difficili. Cominciano quando il disagio è tangente in due punti nella vita del ragazzo, sono interventi i più difficili da inquadrare, possono scendere sulla bassa o salire sull’alta soglia. Gli interventi ad alta soglia sono secanti in due punti, il penale e la sanità, il disagio non è più latente ma diffuso in vera e propria deviazione. I fallimenti sono stati tanti, i successi altrettanti. L’itinerario è quello di saper riprendere, come dice Charles Peguy, di iniziare sempre da capo”.
Dopo l’invito finale alla lettura del libro Il funambolo di Jean Genet – per trovare spunti di una pastorale nuova – don Giovanni lancia l’idea di “inventare” nella formazione accademica universitaria una figura professionale di “incontratore sociale”, un lavoro sociale. E propone di istituire un bando. Seconda proposta, secca, per questi ragazzi coinvolti in dipendenze ed evasione da ogni contesto sociale che hanno bisogno di un riordino nei loro bioritmi: servirebbe una ASL che vada un po’ più sul sociale. C’è bisogno di percorsi di educazione alla salute e bisogna farli. Altrimenti i funerali si moltiplicheranno. Serve un villaggio per educare un ragazzo ma il villaggio non funziona, qui dobbiamo cambiare la situazione. I tentativi sempre migliorabili. Dobbiamo fare delle cose nuove. Qual è la speranza l’orizzonte che noi diamo a questi ragazzi?
Non a caso l’auspicio finale del vescovo Ruzza è che possano crearsi vari gruppi di volontari adulti che raccolgano questo invito andando ad incontrare i giovani sulle strade, avendo come riferimento formativo e di coordinamento le Caritas delle diocesi di Porto Santa Rufina e Civitavecchia-Tarquinia. La messe è molta, servono gli operai…
La guerra è sempre una sconfitta, per tutti. Ma chi la conduce ritiene sia un “male necessario”
di Alessandro Manfridi
Che cosa accomuna il magistero sociale di Papa Francesco, il segretario dell’ONU Antonio Guterres e gli interventi che si sono succeduti sul palco di piazza San Giovanni nella manifestazione “La via Maestra” , tenuta con un richiamo alla Costituzione il 7 ottobre?
Durante l’incontro del Consiglio di sicurezza del 31 ottobre l’ambasciatore israeliano, Gilad Erdan, si è appuntato sulla giacca blu una stella di gialla sul petto come azione dimostrativa contro il Consiglio stesso che non ha ancora apertamente condannato Hamas.
il segretario generale, Antonio Guterres, pur ribadendo che non si possono giustificare gli orribili e inauditi atti di terrore compiuti da Hamas il 7 ottobre e la priorità del rilascio degli ostaggi, invita a considerare come
“gli attacchi di Hamas non sono avvenuti nel vuoto, perché il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione […]Dobbiamo chiedere a tutte le parti in causa di sostenere e rispettare gli obblighi derivanti dal diritto umanitario internazionale; di prestare costante attenzione, nella conduzione delle operazioni militari, a risparmiare i civili; di rispettare e proteggere gli ospedali e di rispettare l’inviolabilità delle strutture delle Nazioni Unite che oggi ospitano più di 600.000 palestinesi. L’incessante bombardamento di Gaza da parte delle forze israeliane, il livello di vittime civili e la distruzione di quartieri continuano a crescere e sono profondamente allarmanti. Piango e onoro le decine di colleghi dell’ONU che lavorano per l’UNRWA – purtroppo almeno 35 – uccisi nei bombardamenti su Gaza nelle ultime due settimane. Proteggere i civili non significa ordinare a più di un milione di persone di evacuare a sud, dove non ci sono ripari, cibo, acqua, medicine e carburante, e poi continuare a bombardare il sud stesso. Sono profondamente preoccupato per le chiare violazioni del diritto umanitario internazionale a cui stiamo assistendo a Gaza. Voglio essere chiaro: nessuna parte di un conflitto armato è al di sopra del diritto internazionale umanitario.”
Secondo alcuni analisti, purtroppo, Israele avrebbe violato oltre settanta risoluzioni delle Nazioni Unite dal 1951 ad oggi. Certo, secondo il diritto internazionale, quel che propone l’ONU non è vincolante se non ratificato dalle nazioni interessate.
Le reazioni da parte di Israele non si sono fatte attendere: il ministro degli Esteri Eli Cohen, presente a New York, ha rifiutato di incontrare Guterres dopo il suo discorso, mentre l’ambasciatore israeliano Gilad Erdan ne ha invocato le dimissioni immediate. Lo stesso ha poi affermato che il suo Paese negherà il visto di ingresso ai funzionari delle Nazioni Unite dopo l’intervento al Palazzo di Vetro.
Pare che l’intervento del Segretario Generale, critico verso tutte le parti in campo e preoccupato di ulteriori funesti sviluppi della crisi in Medio Oriente, abbiano avuto come effetto l’accusa mossa verso di lui quasi quale un simpatizzante delle posizioni palestinesi, fin a giustificare in qualche maniera il terrorismo.
Lo stesso può dirsi per tutti coloro che sono critici verso la gestione bellica del conflitto in Ucraina, che si sono riuniti a giugno alla conferenza internazionale a Vienna e poi in oltre 200mila a Roma e in altre capitali europee il 7 ottobre. Dal palco di piazza San Giovanni tutti hanno condannato unanimemente l’azione di Hamas, le cui notizie arrivavano in tempo reale ai relatori; al tempo stesso, hanno ribadito come sia necessario promuovere un negoziato per la cessazione del conflitto anche in Ucraina e che la via del delle armi ad oltranza non solo non risolve le varie crisi ma può solo peggiorarne le conseguenze.
Il 26 ottobre, poi, visti i quattro incontri non efficaci tenuti nel Consiglio di sicurezza, è stata votata all’Assemblea Generale dell’ONU una risoluzione predisposta dalla Giordania e proposta da 47 Stati che chiedono il cessate il fuoco a Gaza https://www.youtube.com/live/W9wAZVTlAZM?si=NHXIQ6SsFedkIEZn . Il documento non è vincolante. È stato approvato da 120 paesi, 14 sono stati contrari e 45 si sono astenuti, fra questi l’Italia.
La risoluzione A/ES-10/L.25 https://digitallibrary.un.org/record/4025113?ln=en , dopo aver richiamato tredici risoluzioni prodotte dal Consiglio di Sicurezza dal 1967 al 2016 sulla questione palestinese, condanna “tutti gli atti di violenza contro i civili palestinesi e israeliani, compresi tutti gli atti di terrorismo e gli attacchi indiscriminati, nonché tutti gli atti di provocazione, incitamento e distruzione […] Chiede il rilascio immediato e incondizionato di tutti i civili tenuti illegalmente prigionieri, chiedendone la sicurezza, il benessere e un trattamento umano nel rispetto del diritto internazionale”, chiede una tregua immeditata e duratura delle ostilità, “Richiede inoltre la fornitura immediata, continua, sufficiente e senza ostacoli di beni e servizi essenziali ai civili in tutta la Striscia di Gaza, inclusi ma non limitati a acqua, cibo, forniture mediche, carburante ed elettricità, sottolineando l’imperativo, ai sensi del diritto umanitario internazionale, di garantire che i civili non siano privati dei beni indispensabili alla loro sopravvivenza […]Riafferma che una soluzione giusta e duratura al conflitto israelo-palestinese può essere raggiunta solo con mezzi pacifici, sulla base delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite e in conformità con il diritto internazionale, e sulla base della soluzione a due Stati”.
Particolarmente, la risoluzione si oppone fermamente alle indicazioni di Israele che chiede ai palestinesi di spostarsi nella zona Sud di Gaza.
È evidente la contrapposizione tra Israele e l’ONU.
E il magistero del vescovo di Roma? Oramai da tempo egli parla di “terza guerra mondiale a pezzi”, di diritti umani per gli immigrati, di globalizzazione dell’indifferenza, di attenzione alla “casa comune”.
Perché il suo magistero, considerato autorevole e corrispondente a problemi reali, è generalmente rispettato ma di fatto non accolto da scelte concrete dalle Nazioni?
Forse il suo “essere innocuo” è dovuto alla scelta precisa di denunciare i mali che opprimono le odierne società, senza spingersi a “fare nomi e cognomi” di chi ha responsabilità precise di fronte a questi mali stessi.
Può tornare prezioso riascoltare quell’intervento di don Tonino Bello alla assemblea dei “Beati i costruttori di pace” a Verona nel 1989 https://youtu.be/jHHPNE7WG5I?si=7V89ONwExPpWvz5- . Oggi tutti sono concordi nel ritenere che la pace sia un bene a cui aspirare. Ma se iniziamo a capire che per costruire la pace è necessario, come ci chiede il profeta Isaia, per il quale giustizia e pace sono un binomio inscindibile, combattere tutte le dinamiche di ingiustizia sociale, a livello nazionale e internazionale, questo ci costringerà a analizzare e dire la verità sulle cause di guerre, fame, sfruttamento delle risorse, violazione sistematica su scala mondiale dei diritti umani.
Purtroppo la mancanza di pace e di giustizia miete vittime innocenti a più riprese. La crisi in Terra Santa ne è solo un ulteriore e drammatico capitolo.
L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha prodotto il 26 ottobre 2023 la risoluzione A/ES-10/L.25.
Il documento, non vincolante, è stato approvato da 120 paesi; 14 contrari e 45 astenuti, tra i quali l’Italia.
Le motivazioni italiane sono dovute alla mancanza, nel documento, di una condanna esplicita di Hamas, della legittimazione di Israele all’autodifesa e del rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi.
Abbiamo tradotto in italiano il documento.
Alla lettura del documento risulta presente sia la condanna dell’atto terroristico, come la richiesta di rilascio degli ostaggi.
L’ONU chiede alla popolazione di non spostarsi a Sud, come indicato dalle autorità israeliane, a motivo della precarietà dell’intera situazione.
Nel penultimo punto si richiama alle precedenti soluzioni ONU, tredici delle quale sono richiamate esplicitamente nel documento.
La sera del 1 novembre 2023 è andata in onda su RAI UNO in prima serata il programma “Intervista con Papa Francesco”. (1)
Il direttore del TG1, Gian Marco Chiocci, ha rivolto a Papa Francesco un’insieme di domande su svariati temi: la crisi in Israele, le armi, le guerre, l’antisemitismo, la guerra russo-ucraina, gli immigrati e le immigrazioni, le donne nella Chiesa, il Sinodo, il celibato dei preti, l’accoglienza degli omosessuali, gli abusi e la pedofilia, i momenti difficili, il futuro della Chiesa tra conservatorismo e Tradizione, la paura del dolore, un Papato innovatore, il magistero sul clima, finendo con una serie di domande “personali”.
Cos’ha provato con gli eventi del 7 ottobre, il terrorismo di Hamas e i bombardamenti su Gaza?
Ogni guerra è una sconfitta, non si guadagna nulla con la guerra. Questi sono due popoli che dovrebbero vivere insieme con due Stati e Gerusalemme con uno statuto speciale.
Questa è l’ora più buia ed una sconfitta in più, dalla Seconda Guerra Mondiale le guerre non si sono mai fermate.
Ma il vero problema è che oggi gli investimenti che danno più rendita sono quelli sull’industria delle armi.
Io telefono tutti i giorni al viceparroco egiziano nella parrocchia cattolica di Gaza, Padre Youssef, che in parrocchia ospitano 563 persone, cristiani e musulmani, bambini ammalati curati dalle suore di Madre Teresa.
Sembra che la guerra non faccia più notizia, come se ci stessimo abituando all’orrore.
Ricordo la preghiera in piazza San Pietro da me voluta allo scoppio della guerra in Siria che oggi è quasi dimenticata.
Potrebbe esserci una ulteriore escalation ma penso che la saggezza umana possa fermare queste cose. Ci sono tante altre guerre che non sentiamo vicine come quelle in Israele ed in Ucraina: Kivu, Yemen, Rohingya in Myanmar.
Lei teme un rigurgito dell’antisemitismo?
Purtroppo rimane nascosto.
Nel conflitto russo-ucraino non sempre gli ucraini sono stati all’altezza delle vostre iniziative.
Gli ucraini sono stati un popolo martire, fin con Stalin e adesso qualsiasi cosa fa rivivere loro questo. Io li capisco ma devono fermarsi, ci vuole la pace.
Io il secondo giorno della guerra ho sentito di andare e sono andato nell’Ambasciata russa, dando la mia disponibilità ad incontrare Putin. L’ambasciata si è comportata molto bene nel liberare le persone che potevano essere liberate. Il dialogo si è fermato là. Lavròv mi ha scritto ringraziandomi e dicendomi che per adesso non era necessario. Io volevo visitare entrambe le parti.
A proposito dell’indifferenza, c’è quella per gli immigranti. L’Europa ha lasciato sola l’Italia?
Io sono figlio di migranti. In argentina siamo 46 milioni, 6 nativi e gli altri tutti figli di immigranti.
Oggi è drammatica. Cipro, Grecia, Malta, Italia e Spagna sono i paesi interessati dall’arrivo dei migranti.
Vediamo la crudeltà dei lager libici.
Raccomando di leggere un libro “Hermanito” il libro-testimonianza in spagnolo di un immigrato del Ghana sulle crudeltà dell’immigrazione.
È vero che l’Europa deve essere solidale con questi cinque paesi.
Un’altra cosa: noi abbiamo bisogno di immigranti perché non facciamo figli.
Io penso alla Svezia che ha fatto un buon lavoro integrando i migranti che venivano dalle dittature sudamericane.
I ragazzi dell’attacco terroristico dell’aeroporto in Belgio erano migranti non inseriti.
Abbiamo bisogno di una politica paneuropea per gli immigrati.
L’apertura alle donne nella Chiesa, con le “madri sinodali”: che futuro nella Chiesa per le donne?
Al momento ci sono più donne che lavorano ai vertici dei dicasteri vaticani: la vicegovernatrice dello Stato del Vaticano è una donna, una suora, è lei che comanda; nel Consiglio per gli Affari Economici che sono sei cardinali e sei laici, cinque tra i laici sono donne; la segretaria del Dicastero per la Vita Consacrata è una donna, dello Sviluppo Umano è una donna, nella commissione per scegliere i vescovi ci sono tre donne. Le donne capiscono cose che noi non capiamo, credo che vanno inserite nel lavoro normale della Chiesa.
Per quel che riguarda le Ordinazioni, lì c’è un problema teologico, non amministrativo. Il principio petrino è quello della giurisdizione; il principio mariano invece è più importante, perché la Chiesa è donna.
Che bilancio dà sul Sinodo?
Un bilancio positivo. Si è parlato di tutto in tutta libertà. Si è fatto un documento che va studiato per la seconda sessione, quella di settembre. San Paolo VI si era accorto che la Chiesa d’Occidente aveva perso il senso della sinodalità, che invece è vissuto dalle Chiese Orientali e ha voluto reintrodurla.
Per quel che riguarda il celibato dei preti: la sua abolizione potrebbe favorire un aumento delle vocazioni?
È una legge positiva, non naturale, i preti nelle Chiese Cattoliche Orientali si possono sposare mentre nella Chiesa Cattolica Occidentale è una legge che risale al XII Secolo. Potrebbe essere abolita questa legge ma non credo che questo aiuti; c’è un altro problema. Una cosa molto brutta che hanno alcuni preti: sono “zitelli” invece che padri, a volte si rivestono di sacralità e perdono il contatto con la gente. Una volta ho trovato un prete di 65 anni, parroco in tre paesini di montagna con 500 abitanti a parrocchia che mi ha detto che conosceva uno per uno i suoi parrocchiani, fino al nome dei loro cani. Questi preti inseriti sono veri padri di comunità.
Nel Sinodo si è toccato anche il tema dell’omosessualità. Lei è soddisfatto del dibattito?
Quando io dico che la Chiesa deve accogliere tutti, questa è una grande verità. La Chiesa non si deve domandare come sei e deve accogliere tutti; poi dentro la Chiesa ognuno cresce nella sua appartenenza cristiana. Il principio è questo: la Chiesa riceve tutti coloro che possono essere battezzati, quindi le persone; non è invece tenuta ad accogliere al suo interno alcune organizzazioni che chiedono di entrarvi a far parte, perché non ha il dovere di accoglierle con il battesimo come figlie di Dio.
Nel nostro ultimo incontro lei ricordò come Papa Ratzinger le ha consegnato due scatoloni di documenti dicendole che lei doveva proseguire il lavoro iniziato dal suo predecessore. A che punto siamo?
Ho continuato. C’è da fare tanta pulizia, erano tutti casi di abusi, alcuni della curia sono stati mandati via. È stato coraggioso Papa Ratzinger, ha affrontato il problema, ha fatto tanti passi e poi ha consegnato i lavori a me e la cosa va avanti. L’abuso, sia di coscienza, sia sessuale, sia di qualsiasi cosa, non va tollerato, è il contrario del Vangelo, che è servizio, non abuso. Ci sono tanti episcopati che hanno lavorato molto bene. Noi non abbiamo la cultura. Una statistica: dal 42 al 46% degli abusi sono nelle famiglie e la gente ha l’abitudine di coprire tutto.
C’è ancora da fare, noi non dobbiamo fermarci.
Quel’è stato il momento più difficile del suo pontificato?
Forse con la guerra siriana. Non ero abituato. Il Signore ha sempre aiutato a risolvere o almeno ad avere pazienza.
Dopo di lei che Chiesa sarà? Una Chiesa che torna al passato o guarda al futuro?
C’è sempre la malinconia del passato, portata avanti dagli “indietristi”. La Chiesa è sempre in cammino e deve crescere con i tre principio di Vincenzo di Lerins: deve crescere dalla radice. Una Chiesa che si stacca dalla radice va indietro, questo non è conservatorismo ma sana tradizione. Oggi ad esempio si dice che la pena di morte non è un bene, ma nel passato la pena di morte, la schiavitù, erano considerate normali, anche la coscienza morale cresce, il possesso delle armi atomiche speriamo nel futuro siano riconosciute come un male…
Lei una volta ha detto che non ha paura della morte ma del dolore. Di che cosa altro ha paura un Papa?
Le piccole paure vengono. In questo momento la guerra in Terra Santa mi fa un po’ di paura. Ma poi si risolve tutto davanti al Signore. Non che le paure se ne vanno ma rimangono in modo umano. È buono avere delle paure.
Secondo alcuni il suo è un pontificato per certi versi innovatore, sono arrivati a definirla un “Papa di sinistra”. Lei si sente tale?
A me non piace, sono qualifiche che non sono reali. Non significa niente dire: “ di destra, è di sinistra?”. Le vere qualifiche sono: “è coerente? Non è coerente?”. “Le cose che propone sono coerenti con le radici o sono cose strane?”. Penso a san Paolo VI, lui era un innovatore e gli hanno dato del sinistrorso, del comunista. Sono qualifiche non esatte.
La Santa Sede ha sottoscritto gli accordi sul clima. Lei teme che l Cop 28 finirà in un nulla di fatto?
Andrò il 1 dicembre a Dubai, sarò tre giorni al Cop 28. Ricordo quando sono andato a Stasburgo, il presidente Hollande ha inviato il Ministro dell’Ambiente Ségolène Royal al Parlamento Europeo e parlando mi ha chiesto di far uscire prima di Parigi la mia Enciclica sull’ambiente ed io ho fatto uscire la Laudato Si’. L’incontro di Parigi è stato il più bello, quelli seguenti sono tornati indietro. Ci vuole coraggio. Dopo cinque funzionari importanti di aziende petrolifere hanno chiesto appuntamento con me, tutti per giustificarsi. Ci vuole coraggio. Un paese che è un’isola del Pacifico sta comprando terre in Samoa per trasferirsi, perché tra vent’anni sarà completamente sommerso dalle acque. Siamo ancora in tempo per fermarci e dare un futuro ai nostri nipoti. Io cito sempre i pescatori di San Benedetto del Tronto che puliscono tonnellate di plastica dal mare.
Le faccio delle domande non usuali. Quand’è stata l’ultima volta che è stato al mare?
A me piace il mare. Nel 1975. Nel 1976 c’è stato il colpo di Stato in Argentina e non son tornato più.
Prima di prendere i voti si era mai fidanzato?
Si, una ragazza molto buona, lavorava nel cinema, poi si è sposata e ha avuto i suoi figli.
Cosa le manca della vita di prima?
L avita di prima sono bei ricordi. La mamma ci insegnava le opere liriche, ogni sabato la radio di Stato ne trasmetteva una.
La sua fede ha mai vacillato?
Nel senso di perderla: no. Ma nel senso di non sentirla, si. Di camminare al buio e di chiedersi: “Dove sta il Signore?” Si sente che il Signore si nasconde, ti lascia da solo; oppure a volte siamo noi che ci allontaniamo da lui. Quando noi ci rivolgiamo al Signore e gli diciamo<<. “Perché non risolvi questa situazione?” Lui ci risponde: “Non ho la bacchetta magica!” Il Signore non è Mandrake! È un’altra cosa!
Questi ultimi tempi lei ci ha fatto un po’ preoccupare per la sua salute. Come sta?
Vivo ancora, sai? Ho il problema del ginocchio che sta migliorando e posso camminare bene; poi mi sono operato alla pancia, prima per dei diverticoli e mi hanno tolto un pezzo di colon trasversale, poi per le aderenze, adesso posso mangiare di tutto.
L’ultima domanda: tra Messi e Maradona chi preferisce?
Pelé. Un uomo di un cuore, ho parlato con lui una volta su un aereo, un uomo di un’umanità così grande. I tre sono grandi, ognuno con la sua specialità.
Il capo dei rifugiati delle Nazioni Unite, informando il Consiglio di Sicurezza, lancia un appello per il cessate il fuoco per fermare la “spirale di morte” mentre la crisi umanitaria attanaglia Gaza
Il capo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati ha lanciato oggi un appello al Consiglio di Sicurezza per chiedere un cessate il fuoco umanitario a Gaza, sottolineando l’urgente necessità che i suoi 15 membri superino le loro differenze, si uniscano e risolvano una serie di conflitti che hanno provocato l’incredibile numero di 114 milioni di sfollati in tutto il mondo.
“Il conflitto a Gaza è l’ultimo – e forse il più grande – tassello di un pericoloso puzzle di guerra che si sta rapidamente chiudendo intorno a noi”, ha detto al Consiglio Filippo Grandi, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, sottolineando che più di 2 milioni di abitanti di Gaza, metà dei quali bambini, stanno attraversando un inferno sulla Terra.
“Un cessate il fuoco umanitario, abbinato ovviamente ad una sostanziale fornitura di aiuti umanitari all’interno di Gaza, può almeno fermare questa spirale di morte”, ha detto al Consiglio, “e spero che supererete le vostre divisioni ed eserciterete la vostra autorità nel richiederne uno. Il mondo sta aspettando che lo facciate.
Questo è un momento grave a livello globale e le scelte attuali del Consiglio avranno ripercussioni per le generazioni a venire, ha avvertito. “Continuerete a permettere che questo puzzle di guerra venga completato da atti aggressivi, dalla vostra disunione o da pura negligenza? Oppure farete i passi coraggiosi e necessari per uscire dall’abisso?”
Analizzando le crisi in molte altre parti del mondo, tra cui Siria e Ucraina, ha affermato che l’UNHCR e altre organizzazioni umanitarie stanno lottando con carenze di finanziamenti mentre devono far fronte a 114 milioni di rifugiati e sfollati. L’UNHCR stesso ha bisogno di 600 milioni di dollari entro la fine di quest’anno e “le prospettive per il prossimo anno sono fosche”. Da parte sua, l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA) rimane cronicamente sottofinanziata, ha aggiunto.
L’Alto Commissario ha informato il Consiglio sei giorni dopo che questo non era riuscito ad adottare nessuno dei due progetti di risoluzione concorrenti – uno degli Stati Uniti, l’altro della Federazione Russa – che affrontavano la guerra e la crisi umanitaria a Gaza che ha fatto seguito all’attacco del 7 ottobre contro Israele da parte di Hamas. (Vedi comunicato stampa SC/15464.)
Durante il dibattito che è seguito, i delegati hanno chiesto che gli aiuti umanitari siano garantiti insieme alla risoluzione dei conflitti, e a chiesto processi per il ritorno dignitoso dei rifugiati e modi alternativi per affrontare le carenze di finanziamenti.
Il rappresentante del Ghana ha affermato che, nonostante gli encomiabili sforzi dell’UNHCR, la situazione non sta migliorando a causa dell’escalation dei conflitti e degli effetti dei disastri naturali e causati dall’uomo. Nel Sahel e nel Corno d’Africa, più di 20,5 milioni di persone sono sfollate, ha affermato, chiedendo un maggiore impegno nei confronti dei meccanismi multilaterali per affrontare la situazione.
Il rappresentante del Giappone ha affermato che, con il numero degli sfollati globali in aumento, la comunità internazionale deve pensare oltre l’assistenza immediata. Dovrebbero essere elaborate soluzioni durevoli per garantire stabilità a lungo termine, combinando strategie di sviluppo con sforzi di costruzione della pace.
Il portavoce degli Emirati Arabi Uniti ha affermato che affrontare le cause profonde degli sfollamenti si dimostrerebbe più efficiente ed economico per la comunità internazionale, mentre il rappresentante dell’Ecuador ha chiesto azioni coordinate rafforzate per combattere le reti criminali transnazionali organizzate e la tratta di esseri umani.
Il rappresentante della Federazione Russa ha affermato che la creazione di condizioni favorevoli per il ritorno dei rifugiati è fondamentale per raggiungere la stabilizzazione a lungo termine in Siria. Il delegato cinese ha affermato che i paesi che hanno le principali responsabilità per il problema dei rifugiati dovrebbero intensificare la loro assistenza ai rifugiati e ai paesi che li ospitano.
Il rappresentante degli Stati Uniti ha affermato che il suo Paese, durante il Forum Globale sui Rifugiati che si terrà a Ginevra dal 13 al 15 dicembre, inviterà la comunità internazionale a guardare oltre i tradizionali donatori e organizzazioni umanitarie verso una più ampia coalizione di agenzie di sviluppo, nonché del settore privato e gli attori della società civile. Non si può più fare affidamento sulle soluzioni del XX secolo per i problemi del XXI secolo, ha affermato.
BRIEFING
FILIPPO GRANDI, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, ha affermato che i 114 milioni di rifugiati e sfollati a livello globale sono un sintomo tangibile ma talvolta trascurato dell’attuale disordine estremo del mondo. Lo sfollamento forzato è una conseguenza dell’incapacità di sostenere la pace e la sicurezza, e il conflitto brutale è il suo principale motore. Il disprezzo del diritto internazionale sta diventando la norma, come si è visto negli attacchi di Hamas contro i civili israeliani e nell’uccisione di civili palestinesi nell’operazione militare israeliana in corso. Più di 2 milioni di abitanti di Gaza, metà dei quali bambini, stanno attraversando l’inferno sulla Terra. “Un cessate il fuoco umanitario, abbinato ovviamente ad una sostanziale fornitura di aiuti umanitari all’interno di Gaza, può almeno fermare questa spirale di morte”, ha detto al Consiglio, “e spero che supererete le vostre divisioni ed eserciterete la vostra autorità nel richiederne uno. Il mondo sta aspettando che lo facciate.
Si spera che il cessate il fuoco possa essere il primo passo verso la ripresa del cammino verso la soluzione del conflitto israelo-palestinese, ha proseguito. Nel corso degli anni, compresi quelli in cui era a capo dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente (UNRWA), una soluzione è sempre stata descritta come sfuggente, quando in realtà è stata deliberatamente trascurata, messa da parte perché non più necessaria e perfino ridicolizzata. Affrontare la violenza, seguita dal cessate il fuoco, è stato ritenuto più opportuno che concentrarsi su una pace reale. “Spero che ora, in mezzo agli orrori della guerra, possiamo almeno vedere quanto sia stato grave l’errore di calcolo”, ha detto, sottolineando che non può esserci pace senza una giusta soluzione al conflitto, compresa l’impegno per una fine del conflitto israeliano.
“Il conflitto a Gaza è l’ultimo – e forse il più grande – pezzo di un pericoloso puzzle di guerra che si sta rapidamente chiudendo intorno a noi”, ha detto. In Sudan, dove quasi 6 milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie case, la violenza sta peggiorando, ma il mondo è scandalosamente in silenzio. In Libano una persona su quattro è un rifugiato palestinese o siriano. Nel Sahel centrale, l’instabilità politica e l’emergenza climatica stanno causando il caos, mentre nella Repubblica Democratica del Congo una violenza spaventosa e diffusa costringe ogni giorno le persone ad abbandonare le proprie case. I 100.000 rifugiati fuggiti dal Nagorno-Karabakh nel giro di pochi giorni sono stati il risultato di un altro conflitto irrisolto lasciato cuocere a fuoco lento per decenni.
“Ogni nuova crisi sembra spingere quelle precedenti in un pericoloso oblio, ma restano con noi”, ha detto, ricordando che 11 milioni di persone sono state sfollate in Ucraina in seguito all’invasione russa. “La loro sofferenza non deve essere dimenticata e anche questo conflitto deve essere risolto”. Il Consiglio deve affrontare tutte queste crisi con una voce forte e unita, “portando con sé l’autorità che la Carta […] ma che il mondo non sente più, affogato com’è nelle rivalità e nelle divisioni”.
Mentre agli operatori umanitari viene chiesto di raccogliere i cocci, di aiutare più persone in più luoghi e di cercare di tenere insieme più cose, viene speso poco capitale politico per fare la pace, ha detto, sottolineando gli sforzi in Siria per creare condizioni per i rifugiati di ritornare volontariamente, così come le situazioni in Burundi, Myanmar e Afghanistan. Tuttavia, gli operatori umanitari hanno bisogno di risorse e l’UNHCR ha urgente bisogno di 600 milioni di dollari entro la fine dell’anno. Le prospettive per il 2024 sono fosche poiché i grandi donatori stanno tagliando gli aiuti e altri non si impegnano nel sostegno multilaterale. L’UNRWA è stata cronicamente sottofinanziata, mentre altri – tra cui il Programma alimentare mondiale (WFP), il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (UNICEF) e il Comitato internazionale della Croce Rossa (ICRC) – si trovano ad affrontare la stessa crisi finanziaria. “La gravità del momento non può essere sopravvalutata […] Continuerete a permettere che questo puzzle della guerra venga completato da atti aggressivi, dalla vostra disunione o da pura negligenza? Oppure farete i passi coraggiosi e necessari per uscire dall’abisso?”
DICHIARAZIONI
FRANCESCA MARIA GATT (Malta) ha affermato che, nel contesto della crisi a Gaza, il Consiglio ha la responsabilità collettiva di rispettare il diritto internazionale umanitario e garantire la consegna di aiuti vitali. I civili devono essere tutelati, gli spostamenti forzati prevenuti e i bisogni primari soddisfatti. Ha fatto eco alle richieste del Segretario Generale e di centinaia di organizzazioni umanitarie per un cessate il fuoco per consentire la consegna di aiuti a tutti coloro che ne hanno bisogno. Ha inoltre espresso preoccupazione per i 42 milioni di bambini sfollati a livello globale, molti dei quali sono soli e a rischio di reclutamento da parte di gruppi armati. Passando al Mediterraneo centrale, ha affermato che i paesi in prima linea come Malta hanno bisogno di sostegno, oltre a partenariati per gestire i flussi di rifugiati. La guerra della Federazione Russa in Ucraina sta portando sofferenze oltre i confini europei, esacerbando l’insicurezza alimentare e causando ulteriori sfollamenti, ha aggiunto.
HAROLD ADLAI AGYEMAN (Ghana) ha affermato che, nonostante gli encomiabili sforzi dell’UNHCR, la situazione non sta migliorando a causa dell’escalation dei conflitti e degli effetti combinati dei disastri naturali e causati dall’uomo. Nel Sahel e nel Corno d’Africa sono oltre 20,5 milioni le persone sfollate, ha affermato, chiedendo un maggiore impegno nei meccanismi multilaterali per affrontare la situazione. Inoltre, gli Stati membri devono rispettare gli obblighi derivanti dal Global Compact per i rifugiati e dal Global Compact per la migrazione. Ha inoltre incoraggiato la cooperazione tra quadri multilaterali e meccanismi regionali, aggiungendo che si dovrebbe prestare maggiore attenzione al rafforzamento dei meccanismi regionali di allarme rapido. “Sottolineiamo l’importanza di mobilitare il sostegno per affrontare i deficit di governance e di sviluppo che sono alla radice di molti conflitti e instabilità politica”. Occorre prestare maggiore attenzione anche ad altri fattori aggravanti, come il cambiamento climatico e dare priorità alla resilienza climatica nei paesi colpiti.
ADRIAN DOMINIK HAURI (Svizzera) ha affermato che gli aiuti umanitari devono andare di pari passo con gli sforzi di risoluzione e prevenzione dei conflitti. “Chiediamo a tutte le parti di garantire un accesso umanitario rapido, sicuro e senza ostacoli in conformità con il diritto umanitario internazionale”. Una migliore prevenzione dei conflitti richiede che il Consiglio e le missioni di mantenimento della pace intraprendano maggiori azioni sul legame tra cambiamento climatico, pace e sicurezza, ha affermato, citando la Missione delle Nazioni Unite in Sud Sudan (UNMISS) come un buon esempio di come le operazioni di mantenimento della pace possano essere potenziate per rispondere meglio ai rischi climatici. È inoltre fondamentale garantire la protezione degli sfollati, il 40% dei quali sono bambini, particolarmente vulnerabili ai rapimenti, allo sfruttamento sessuale e al reclutamento da parte di gruppi terroristici. Osservando che la Svizzera, in collaborazione con il CICR, ha istituito l’Alleanza globale per i dispersi in seguito all’adozione da parte del Consiglio della risoluzione 2474 (2019) sulle persone scomparse nei conflitti armati, ha affermato che gli Stati membri devono attuare tale risoluzione attraverso azioni concrete.
MARIA ZABOLOTSKAYA (Federazione Russa), sottolineando che più di 50.000 siriani sono tornati nel loro Paese nel 2022, ha affermato che la creazione di condizioni favorevoli per il ritorno dei rifugiati e degli sfollati interni è un passo importante per raggiungere la stabilizzazione a lungo termine in Siria. “Notiamo gli sforzi dell’Ufficio [UNCHR] per risolvere i problemi degli sfollati interni e dei rifugiati ucraini”, ha aggiunto, ricordando che dopo il colpo di stato incostituzionale di Kiev del 2014, centinaia di migliaia di russi e residenti di lingua russa in Ucraina sono venuti in Russia. Dal febbraio 2022, più di 5 milioni di persone hanno lasciato le regioni della Repubblica popolare di Donetsk, della Repubblica popolare di Luhansk, di Kherson e di Zaporizhzhia e si sono trasferite in varie regioni della Russia. Ha inoltre richiamato l’attenzione sulla tragica situazione dei rifugiati provenienti dall’Africa. “Per molti di coloro che cercano di raggiungere l’Europa, il Mar Mediterraneo è diventato una fossa comune”, ha detto, accusando i paesi europei di proteggere il loro “giardino fiorente” dagli ospiti provenienti dalla giungla. Ha chiesto all’Alto Commissario di mantenere l’attenzione sulla regione del Mediterraneo e di esercitare un’influenza sull’Unione Europea per garantire il suo rispetto degli obblighi internazionali.
YAMANAKA OSAMU (Giappone) ha promesso il fermo sostegno del suo Paese all’UNHCR, di cui è uno dei principali contribuenti. Condannando il brutale attacco terroristico di Hamas contro Israele, ha chiesto il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi. “Allo stesso tempo, la situazione umanitaria a Gaza è catastrofica”, ha affermato, sottolineando la necessità di aumentare l’assistenza per soddisfare i bisogni urgenti del popolo palestinese di cibo, acqua, carburante e medicine. “È importante per noi raddoppiare i nostri sforzi diplomatici affinché la situazione si calmi e non si estenda a tutta la regione”. Con il numero degli sfollati globali che supera i 110 milioni, la comunità internazionale deve pensare oltre l’assistenza immediata che, sebbene essenziale, è solo una parte della soluzione. Dovrebbero essere elaborate soluzioni durevoli per garantire stabilità a lungo termine, combinando strategie di sviluppo con sforzi di costruzione della pace. In tale contesto, ha messo in luce l’impegno multilaterale del suo Paese, sottolineando il nesso umanitario sviluppo-pace, in previsione del secondo Forum globale sui rifugiati di dicembre.
NICOLAS DE RIVIÉRE (Francia) ha parlato di una catastrofe umanitaria a Gaza, dove gli aiuti stanno solo arrivando, aggiungendo che gli effetti si stanno già facendo sentire in Libano, che già ospita centinaia di migliaia di rifugiati. Con il crescente numero di conflitti, la crescente insicurezza alimentare e le conseguenze del cambiamento climatico, l’UNHCR sta assistendo le persone più vulnerabili che mai. Le nuove sfide includono il Sudan, dove quasi 6 milioni di persone hanno abbandonato le proprie case, e lo sfollamento di oltre 100.000 persone nel Nagorno-Karabakh. Inoltre, dopo la guerra di aggressione della Federazione Russa contro l’Ucraina, l’Europa ha visto il più grande spostamento di popolazione dalla Seconda Guerra Mondiale, ha affermato. La Francia, che ospita più di 115.000 rifugiati ucraini, resterà mobilitata per rispondere alle emergenze e aumenterà significativamente il suo contributo all’UNHCR nel 2022 e nel 2023. Spetta al Consiglio di Sicurezza creare le condizioni per una soluzione duratura delle crisi in modo da affrontare le cause profonde dello sfollamento, ha aggiunto.
ROBERT A. WOOD (Stati Uniti) ha affermato che tutti i civili devono essere protetti in tutti i conflitti, compreso quello tra Israele e Hamas. Ha osservato che i funzionari delle Nazioni Unite descrivono la situazione in Sudan come una crisi di sfollati in più rapida crescita, mentre i rifugiati nel vicino Ciad hanno un disperato bisogno di sostegno internazionale. Gli ucraini in fuga dall’invasione della Federazione Russa, i Rohingya nei campi in Bangladesh e le persone a Gaza hanno tutti bisogno di aiuto. Dal 2021, gli Stati Uniti hanno contribuito con più di 1 miliardo di dollari all’UNRWA, ma è necessario molto più aiuto. Sottolineando la necessità di dare priorità all’azione e di impegnarsi in nuovi modi di lavorare, ha affermato che gli Stati Uniti inviteranno il prossimo Forum Globale sui Rifugiati a guardare oltre i donatori e le organizzazioni umanitarie tradizionali verso una più ampia coalizione di agenzie di sviluppo, nonché del settore privato e delle organizzazioni umanitarie, gli attori della società civile, affinché possa esserci una risposta più sostenibile. Non si può più fare affidamento sulle soluzioni del XX secolo per i problemi del XXI secolo, ha aggiunto.
ARIAN SPASSE (Albania) ha affermato che le situazioni di conflitto nel mondo, tra cui Ucraina, Myanmar, Somalia, Afghanistan e Medio Oriente, offrono poche speranze che l’elevato numero di sfollati diminuisca. La situazione impone un’azione immediata ai massimi livelli. Il Consiglio può contribuire ad assistere le popolazioni vulnerabili, anche attraverso soluzioni sostenibili che affrontino le cause profonde degli sfollamenti, nonché ad adoperarsi per prevenire e risolvere i conflitti. La portata e la complessità della situazione che coinvolge gli sfollati richiedono una maggiore cooperazione e sostegno a livello internazionale, ha affermato, aggiungendo che assistenza e condivisione degli oneri devono essere forniti ai paesi a basso e medio reddito che ospitano la maggior parte dei rifugiati. Ha anche messo in luce l’Alleanza umanitaria del settore privato del suo paese, avviata a settembre, che aiuta a mobilitare le risorse nei giorni di crisi, in aderenza ai principi degli aiuti umanitari delle Nazioni Unite.
EUFRÁSIO JOSÉ MARIA IRACHANDE GOUVEIA (Mozambico) ha affermato che i rifugiati sono spesso vulnerabili e bisognosi di protezione, ma la loro dura prova è spesso aggravata da un’accoglienza ostile e da pregiudizi amplificati dalla loro demonizzazione. Ancora più preoccupante, ha aggiunto, il trattamento selettivo dei rifugiati in base ai loro luoghi di origine, oltre a intere piattaforme elettorali costruite sulla politica della paura, del nativismo e dell’identità che hanno acquisito legittimità – qualcosa che era impensabile qualche anno fa. Il Mozambico ospita oggi più di 28.000 rifugiati e richiedenti asilo, oltre a 700.000 sfollati interni. La maggior parte dei paesi come il Mozambico che ospitano i rifugiati sono quelli che non si sottraggono ai propri obblighi internazionali, ma allo stesso tempo sono quelli che si trovano ad affrontare molteplici sfide. Il Mozambico sostiene pienamente il nobile lavoro dell’UNHCR volto a proteggere e salvare vite umane e a costruire futuri migliori per i rifugiati, gli sfollati interni e gli apolidi del mondo, ha affermato.
JAMES KARIUKI (Regno Unito), rilevando che il numero di persone costrette ad abbandonare le proprie case ha raggiunto un livello record, ha affermato che questa tendenza è purtroppo destinata a continuare poiché nuove emergenze, anche a Gaza, spingono i limiti di un sistema umanitario già messo a dura prova. Il Consiglio ha un ruolo nell’affrontare l’aumento degli sfollati, ha affermato, sottolineando la necessità di far luce sulle crisi trascurate. A tal fine, ha messo in luce i 5,5 milioni di dollari aggiuntivi di sostegno umanitario forniti dal Regno Unito ai Rohingya fuggiti dalla pulizia etnica in Myanmar e che hanno cercato rifugio in Bangladesh nel 2017. Il Consiglio, e coloro che hanno influenza, devono insistere affinché esistano le condizioni che consentano ai rifugiati di ritornare in modo sicuro, volontario e dignitoso. Al prossimo Forum Globale sui Rifugiati di dicembre, il Regno Unito si impegnerà a promuovere iniziative in materia di istruzione, inclusione e protezione per i rifugiati e i paesi ospitanti.
GHASAQ YOUSIF ABDALLA SHAHEEN (Emirati Arabi Uniti) ha affermato che gli Stati devono garantire che tutti gli sfollati interni e i rifugiati abbiano accesso ai servizi di base. Ciò richiede un rafforzamento del coordinamento con le organizzazioni umanitarie competenti e le agenzie delle Nazioni Unite, nonché una maggiore cooperazione con i governi ospitanti. Ha detto che quasi 2 milioni di persone nella Striscia di Gaza sono state sottoposte a continui bombardamenti israeliani per tre settimane. Di conseguenza, due terzi della popolazione di Gaza vivono in condizioni difficili. Ha aggiunto che la prolungata crisi dei rifugiati Rohingya non sta ricevendo sufficiente attenzione da parte della comunità internazionale e ha sollecitato l’intensificazione degli sforzi diplomatici per trovare una soluzione. È necessario affrontare il deterioramento delle condizioni umanitarie che i Rohingya devono affrontare e creare condizioni adeguate per il loro ritorno volontario, sicuro, sostenibile e dignitoso in una patria stabile. È inoltre necessario compiere sforzi per affrontare le cause profonde degli sfollamenti, ha affermato, sottolineando che un simile approccio sarebbe efficiente ed economicamente vantaggioso per la comunità internazionale.
GENG SHUANG (Cina), sottolineando che il deficit di finanziamenti umanitari continua ad ampliarsi e ora ammonta al 40%, ha affermato che molte agenzie umanitarie sono costrette ad abbassare il loro livello di assistenza e che innumerevoli famiglie sono costrette a soffrire il freddo e la fame nelle
più dure condizioni. Con gli sforzi di soccorso e protezione dei rifugiati che si trovano ad affrontare enormi difficoltà, la comunità internazionale deve mobilitare risorse e creare la massima sinergia nel sostenere istituzioni multilaterali come l’UNHCR. I paesi sviluppati devono rispettare i loro impegni di assistenza, ha affermato, aggiungendo che i paesi che hanno le principali responsabilità per il problema dei rifugiati dovrebbero intensificare il loro aiuto ai rifugiati e ai paesi che li ospitano. Ha chiesto a Israele di dare ascolto alle richieste di cessate il fuoco e di fermare il trasferimento forzato dei rifugiati palestinesi, aggiungendo che sono necessari anche corridoi umanitari e sostegno costante all’UNRWA. Ha continuato affermando che l’UNHCR dovrebbe continuare a dare priorità all’Africa nel suo lavoro.
HERNÁN PÉREZ LOOSE (Ecuador) ha riconosciuto le cause politiche, economiche e climatiche dello sfollamento, aggiungendo però di essere particolarmente preoccupato per coloro che sono sfollati a causa della violenza. Nel 2022, più della metà di tutti i richiedenti rifugio provenivano da Siria, Ucraina e Afghanistan, ha affermato, sottolineando: “Questa tendenza continuerà sicuramente quest’anno”. Ricordando che l’Ecuador ha il maggior numero di rifugiati ufficialmente riconosciuti in America Latina e nei Caraibi, ha affermato che è essenziale consolidare i partenariati a livello nazionale, regionale e globale per promuovere una migrazione sicura, ordinata, regolare e responsabile, e garantire i diritti delle persone in situazione di mobilità umana. Ha chiesto il rafforzamento delle azioni coordinate per combattere le reti criminali organizzate transnazionali e la tratta di esseri umani, e ha anche chiesto ai donatori di contribuire a superare il deficit finanziario dell’UNHCR.
CHRISTOPHE NANGA (Gabon), sottolineando che gli ultimi dati dell’UNHCR non includono le disastrose conseguenze della situazione a Gaza dal 7 ottobre, ha affermato che i conflitti armati rimangono la principale causa del fenomeno dei rifugiati, insieme agli effetti corrosivi del cambiamento climatico e della degradazione ambientale. Lo sfollamento di massa è indissolubilmente legato alla negazione dei diritti ed espone gli sfollati a ulteriori violazioni dei loro diritti una volta che sono in movimento. Il fatto che il 90% dei nuovi rifugiati nella prima metà di quest’anno provenisse dalla Repubblica Democratica del Congo, dall’Afghanistan, dal Myanmar, dall’Ucraina, dalla Somalia e dalla regione dell’America Latina e dei Caraibi giustifica la grande attenzione delle Nazioni Unite verso quelle popolazioni e le loro circostanze angoscianti. Ha attirato l’attenzione sul contributo di 2 milioni di dollari del Gabon all’UNHCR per aiutare ad affrontare gli effetti a catena della crisi in Sudan sui paesi vicini come il Ciad e la Repubblica Centrafricana.
MAURO VIEIRA, Ministro degli Affari Esteri del Brasile e Presidente del Consiglio per il mese di ottobre, è intervenuto a titolo nazionale, affermando che i paesi a basso e medio reddito hanno generosamente mantenuto aperti i loro confini e ospitano circa il 90% di tutti gli sfollati. Sottolineando che gli sfollati forzati stanno pagando un prezzo elevato per l’incapacità della comunità internazionale, in particolare del Consiglio di Sicurezza, di garantire la pace, ha affermato che le misure di governance delle frontiere devono essere conformi al diritto internazionale umanitario, compreso il divieto di espulsioni collettive, il principio di uguaglianza e non discriminazione, il diritto di chiedere asilo e i diritti dei bambini. Il sistema di protezione dei rifugiati del Brasile si basa sul rispetto della dignità umana, ha affermato, sottolineando che il Brasile ha concesso visti umanitari alle persone colpite dalle crisi in Afghanistan, Siria, Haiti e Ucraina, accogliendo e integrando anche i venezuelani arrivati nel paese dal 2017. Qualsiasi misura relativa allo spostamento forzato della popolazione civile o di singoli civili da Gaza che non sia coerente con il diritto internazionale deve essere revocata, ha aggiunto.
Il Sig. GRANDI, rispondendo ai commenti e alle osservazioni sollevate, ha sottolineato che l’UNHCR non ha il mandato di operare nei Territori Palestinesi Occupati, che è di responsabilità dell’UNRWA. In questo contesto, ha chiesto un forte sostegno a quell’agenzia “poco finanziata”, che conosce fin troppo bene, avendola diretta lui stesso. Ha sottolineato la necessità di consentire più forniture attraverso i confini di Gaza il più presto possibile prima che la crisi umanitaria diventi insostenibile, e per la quale un cessate il fuoco umanitario – menzionato da diversi oratori – è una priorità. Ha ribadito la sua preoccupazione per l’impatto della crisi nella regione e oltre, compreso il rischio che si sovrapponga ad altre situazioni, come in Libano, che ospita 1 milione di siriani e rifugiati palestinesi. Ha chiesto la fine della guerra e la ricerca di una soluzione politica.
Sui punti sollevati dal rappresentante della Federazione Russa riguardo al ritorno dei rifugiati siriani, lui ha dichiarato di essere impegnato nel dialogo con il governo siriano sulla creazione delle condizioni per il loro ritorno. Queste includono l’azione di Damasco sui loro diritti e tutele, così come il loro accesso ai servizi e alle case, e il sostegno internazionale. Sulla situazione nel Mediterraneo centrale, ha sottolineato l’arrivo di persone dalle recenti aree di conflitto, comprese quelle dal Sudan e dalla Siria, e ha elogiato gli sforzi per affrontare questi flussi complessi. Tuttavia, se non si affrontano le cause profonde, il rischio che i flussi migratori aumentino è elevato. Per quanto riguarda gli sfollati interni, che rappresentano due terzi dei 114 milioni di sfollati forzati nel mondo, ha sottolineato l’incontro tenutosi oggi per cercare soluzioni con gli Stati membri interessati. Ha ringraziato il portavoce del Mozambico per la sua dichiarazione, aggiungendo che spera di visitare presto quel paese.
Per quanto riguarda il cambiamento climatico e il suo legame con sfollamenti e conflitti, come dimostrato nel Sahel e nel Corno d’Africa, ha affermato che tali collegamenti saranno discussi alla prossima Conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, comprese le risorse per affrontare questo aspetto della crisi climatica. Ha continuato sottolineando il “drammatico” deficit finanziario affrontato dalle organizzazioni umanitarie, con l’UNCHR che ha ancora bisogno di 600 milioni di dollari “per fare semplicemente il lavoro che dobbiamo fare”. Inoltre, ha auspicato che il Consiglio si impegni a trovare soluzioni al conflitto, fornendo così le basi necessarie affinché la sua organizzazione possa affrontare la difficile situazione delle persone sfollate a causa del conflitto.