7 Marzo 2024
Settembre 1991. Pontificio Seminario “Pio XI” di Molfetta. Il seminario regionale con gli studenti più numeroso d’Italia. Al rientro dalle vacanze in famiglia, i 180 giovani trovano i lavori in corso con i muratori all’opera. Qualcuno ha smontato le tazze dei water dai bagni di un’ala della struttura. Cosa è successo?
“Ragazzi, non avete idea – racconta Corrado, il mai dimenticato portiere dello stabile – non si può descrivere cosa significhi andare in prima linea tutti i giorni, rischiare di finire in ospedale o, addirittura, la vita stessa”.
L’8 agosto 1991 la nave “Vlora” sbarca nel porto di Bari. Proviene dall’Albania dove è stata presa d’assalto nel porto di Durazzo ed occupata da oltre ventimila profughi albanesi, imbarcatisi con la forza nell’intento di lasciare il “paese delle aquile” verso “lamerica”, la dolce Italia che loro conoscono attraverso i nostri programmi televisivi.
Non ci saranno nella storia delle immigrazioni nel Bel Paese né prima né ad oggi numeri simili nell’arrivo di immigrati con un solo viaggio.
Le autorità, nell’assolato ferragosto barese, sono colte impreparate. I ventimila vengono condotti e rinchiusi fra le mura del vecchio “Stadio della Vittoria” nell’attesa delle disposizioni che porteranno al forzato espatrio di quasi il 90% dei malcapitati.
Naturalmente sono giorni di stenti e di tensioni che passano dall’iniziale speranza alla rabbia fino alla disperazione quando i protagonisti comprendono che per la maggior parte di loro non ci sarà accoglienza ma rimpatrio. Le strutture dello stadio ne fanno le spese: gradinate, infissi, bagni divelti e devastati dalla rabbia, ringhiere e tubature usate e brandite a mo’ di armi per gli scontri con le forze dell’ordine.
La folla diviene ingestibile e si arriva a decidere di fornire cibo e medicinali catapultandoli per via aerea.
Per prelevare i profughi e imbarcarli su 11 aerei militari C130 e G222, assieme a tre Super80 dell’Alitalia e a motonavi come la Tiepolo, la Palladio e la Tiziano per il rimpatrio, sono necessarie le forze dell’ordine in tenuta antisommossa, che ingaggiano cariche di contenimento e eseguono le direttive per realizzare l’operazione.
Un centinaio di questi militari che provengono da fuori regione trovano appunto ospitalità presso la struttura ricettiva del Seminario Regionale.
I racconti del custode sono densi di particolari: questi ragazzi, giovani come i “naturali” ospiti del “Pio XI”, rientravano la sera dopo ore di corpo a corpo in assetto da battaglia verso una folla inferocita di disperati che doveva essere prelevata con la forza. Molti fra loro sono finiti in ospedale con le ossa rotte.
Quelli che erano presenti all’appello in quelle sere, sfogavano l’adrenalina con mangiate, bevute, feste e bravate come quella che li aveva portati a fare qualche danno anche al “Pio XI”.
Domenica 20 agosto 2000. Oltre due milioni di giovani, provenienti da 163 paesi, hanno appena finito di partecipare alla celebrazione eucaristica presieduta da Giovanni Paolo II al termine della GMG a Roma, su un’area di Tor Vergata, uno dei raduni della cristianità cattolica più numerosi della storia.
Secondo le indicazioni fornite dagli organizzatori sulla piantina dell’area, ciascuno dei partecipanti avrebbe dovuto defluire in orari e da punti diversi a seconda del settore dove si era allocato. Ma coordinare in maniera disciplinata due milioni di persone fu impossibile. Al termine della manifestazione scene che potremmo paragonare a quelle di un “esodo biblico” o comunque a quelle dei profughi che con i loro stracci si spostano a decine di migliaia tra un paese e l’altro del martoriato continente africano in fuga dai vari conflitti intestini si riproposero all’uscita della folla dai prati di Tor Vergata.
I giovani formavano plasticamente un vero e proprio fiume in piena, in alcuni tratti ci si poteva anche lasciar andare, sperimentando che non si sarebbe caduti a terra, perché tale era la ressa che ti comprimeva trasportandoti senza quasi bisogno di alzare i piedi dal suolo.
Ai cigli della strada i volontari della Giornata Mondiale della Gioventù, in T-SHIRT blu con il logo della GMG 2000, innaffiavano a mano con centinaia di litri d’acqua dalle bottiglie di plastica i giovani trasportati da questo fiume in piena, per dar loro sollievo dalla calura estiva del sole di agosto.
In quelle 48 ore, dalla veglia del 19 alla messa del 20, sono stati migliaia gli interventi delle ambulanze che hanno soccorso nell’ospedale da campo e nelle tende del pronto soccorso allestite nei diversi settori vari giovani malcapitati.
Che non ci sia stata, tra quei due milioni, neanche una vittima, potremmo statisticamente oggi definirlo un “miracolo”.
Torino, piazza San Carlo, 3 giugno 2017. Finale di Champions League Juventus – Real Madrid.
I tifosi spagnoli hanno avuto l’opportunità di seguire la partita sui maxi schermi appositamente installati nello stadio “Santiago Bernabeu” a Madrid. Quelli torinesi si sono invece riuniti davanti agli schermi allestiti in piazza San Carlo.
Durante la partita, qualcuno tira fuori ed utilizza uno spray al peperoncino. La folla, terrorizzata, inizia a scappare. Le migliaia di bottiglie di vetro presenti tra i tifosi cadono in terra e vanno in frantumi, producendo un tappeto di cocci. Al termine della serata, saranno 1672 le persone ricoverate per ferite da taglio subite dopo essere state travolte dalla folla su questo tappeto tagliente. Tre le vittime.
Stadio Heysel, Bruxelles, 29 maggio 1985. Finale Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool. Sono 39 le vittime tra i tifosi juventini, dovute al cedimento di una gradinata per l’assembramento degli stessi che erano in fuga dai tifosi inglesi.
Questi sono solo alcuni episodi che toccano la nostra storia.
Quando ci sono assembramenti numerosi, le misure di sicurezza possono essere vane, soprattutto se la folla esce fuori da ogni controllo. L’immagine plastica di una mandria di bisonti americani che fugge travolgendo ed uccidendo tutto ciò che incontra ben rappresenta il dramma delle vittime della calca in mezzo ad una folla impazzita.
Nella storia delle manifestazioni sportive abbiamo non solo il caso recente di Malang in Indonesia con oltre 180 vittime il 2 ottobre 2022 ma numeri come quelli di Lima in Perù il 24 maggio 1964 con 320 morti.
Ogni tipo di raduni, da quelli sportivi, ai concerti, a quelli religiosi, possono portare a sviluppi tali se si verificano simili circostanze, come nel caso della festa di Halloween a Seul il 4 novembre 2022 con 153 vittime.
Arriviamo alla cronaca.
Nel conflitto che sta sfociando in un disastro umanitario a Gaza, il 29 febbraio 2024, dopo quattro mesi senza luce, gas e acqua potabile, una folla disperata ha assaltato l’ennesimo carico di aiuti umanitari introdotto via camion, aiuti che che stanno arrivando nella Striscia in maniera totalmemente insufficiente. L’esercito israeliano ha sparato. Risultato: 114 morti.
I palestinesi incolpano gli israeliani. Le autorità ebraiche respingono le accuse: le vittime sarebbero rimaste uccise a causa della calca. Purtroppo molte di esse risultano essere cadute per ferite da armi da fuoco. Vedremo se e quando ci sarà una commissione d’inchiesta che possa riuscire a ricostruire i fatti.
13 aprile 1919, Amritsar, nel Punjab, India.
Il generale Reginald Dyer ordina di aprire il fuoco su una folla di uomini, donne e bambini, senza alcun preavviso, per dare una dimostrazione di forza nei confronti delle manifestazioni non violente promosse da Gandhi e dal Partito del Congresso Indiano contro il Rowlatt Act, una legge promulgata dall’autorità britannica che disponeva l’incarcerazione dei dissidenti senza permettere loro alcun processo. Il 6 aprile erano iniziate le manifestazioni con una giornata di digiuno e di preghiera e con l’astensione dal lavoro di 350 milioni di indiani. Le tensioni avevano portato alla legge marziale nel Punjab il 13 aprile, con il divieto di assembramenti, sfociato nel massacro di Amritsar in risposta alla violazione dello stesso: almeno 379 morti ed oltre 1200 feriti, secondo le fonti ufficiali.
Il generale fu processato e sollevato dal servizio ma non vide il carcere.
L’episodio è rappresentato in modo drammatico nel film “Gandhi” (1982).
Che relazione possiamo leggere tra Amritsar e Gaza?
Certamente nel primo caso l’azione militare si è rivolta contro una folla di civili disarmata, inerme e pacifica, provocando un massacro che è configurabile come un crimine.
Nel caso del massacro di Gaza del 29 febbraio 2024, viceversa, non è provato che l’esercito israeliano abbia sparato contro la folla allo scopo di uccidere. Non possiamo sapere quante tra le 114 vittime siano morte perché travolte nella calca o a causa delle ferite da armi da fuoco. Dobbiamo attendere i risultati di una commissione d’inchiesta, se e quando questa verrà realizzata.
Certamente i paralleli con gli episodi sopra citati sono chiari: la presenza di una folla incontrollata, mossa dalla disperazione, può indurre risposte di forza e finanche di violenza da parte delle forze chiamate all’ordine, come nel caso dei profughi della Vlora stipati nello stadio della Vittoria a Bari nel 1991.
La folla può uccidere. Come all’Heysel, come a Torino, come a Malang, come a Lima, come a Seul. Come ad Amritsar e a Gaza.
Sta poi alle autorità preposte cercare le responsabilità. Che siano autorità nazionali od internazionali, di parte o ancora meglio indipendenti.
Il desiderio dell’antica regola pedagogia rimane però sempre valido ed auspicabile: prevenire sarebbe molto meglio che reprimere.
Perché questo possa realizzarsi a Gaza, c’è bisogno naturalmente che si spinga verso una tregua che impedisca alla popolazione palestinesi di dover drammaticamente scegliere tra il morire di fame o il morire sotto bombe o proiettili.