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Giubileo “centrifugo”: dov’è il bene comune? – 2

Rileggere la “Caritas in veritate” di Benedetto XVI in vista del Giubileo, permette di richiamare il mondo verso alcune proposte di soluzione legate al problema della realizzazione del “bene comune”

19 Agosto 2024

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Teologia

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Dopo aver visto (qui) l’analisi condotta da Benedetto XVI nella prima parte dell’enciclica Caritas in veritate, proviamo ora a seguire alcune soluzioni che il pontefice tedesco reputa necessarie.

In primo luogo, le scelte economiche devono avere come risultato il non fare aumentare in modo eccessivo le differenze di ricchezza tra gli esseri umani ed è necessario che il primo obiettivo sia l’accesso al lavoro e il suo mantenimento per tutti, con un «giusto salario», «sicurezza» e «dignità» (63; cfr. anche 64 circa il rapporto negazione diritti lavoratori-consumismo). A ben vedere le esigenze di un tale sviluppo non sono solo quelle della giustizia, ma anche quelle propriamente economiche: le ineguaglianze non solo portano a problematiche sociali e a mettere in pericolo la democrazia, ma hanno anche una ricaduta economica con lo spreco delle risorse umane: «l’appiattimento delle culture sulla dimensione tecnologica, se nel breve periodo può favorire l’ottenimento di profitti, nel lungo periodo ostacola l’arricchimento reciproco e le dinamiche collaborative» (32).

Nel terzo capitolo dell’enciclica Benedetto XVI richiama delle prospettive che sembrerebbero “fuori del mondo”, invitandoci a riscoprire, nel campo dell’economia, le prospettive del dono e della gratuità, espressioni della sua dimensione di trascendenza (34). È un errore far coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di benessere materiale. La dottrina teologica del peccato originale è in grado di dare corretta interpretazione alle varie derive sociali, giacché «Ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell’educazione, della politica, dell’azione sociale e dei costumi» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 407; cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 25: l.c., 822-824).

Molto chiaro è anche il giudizio che Benedetto XVI dà del mercato: un luogo di incontro e relazione tra le persone, per confrontare domande e offerte, realizzando la cosiddetta giustizia commutativa quella che regola appunto i rapporti del dare e del ricevere. La dottrina sociale della Chiesa da sempre invita alla realizzazione della giustizia distributiva e della giustizia sociale che propone alla stessa economia di mercato, la quale non deve farsi vincere dalla tentazione egoistica e di sopraffazione (36). Senza le forme di solidarietà proprie di questi due altri aspetti della giustizia, il mercato perde la fiducia da parte degli attori sociali. Lo sviluppo dei “popoli della fame” indicato da Paolo VI, doveva portare ad una gestione più vantaggiosa anche per la stessa economia di mercato (35).

La giustizia deve riguardare tutte le fasi dell’attività economica dalla produzione al consumo, ogni fase comporta scelte le cui implicazioni sono moralmente rilevanti (37). Mi vengono in mente le varie campagne di boicottaggio promosse nei confronti di aziende i cui prodotti erano realizzati con lo sfruttamento del lavoro e in particolare con quello del lavoro minorile. Se nella Centesimus annus Giovanni Paolo II aveva rilevato la necessità di un sistema a tre soggetti: il mercato, lo Stato e la società civile, per Benedetto XVI gli aspetti propri di un’economia della gratuità e della fraternità, realizzate da soggetti che liberamente scelgono di informare il proprio agire a principi diversi da quelli del puro profitto, senza per ciò stesso rinunciare a produrre valore economico, devono essere presenti non solo nella società civile, ma anche negli ambiti del mercato e delle leggi dello Stato: questi aspetti di gratuità, solidarietà e responsabilità per la giustizia e il bene comune possono essere definiti una “democrazia economica” (39).

Benedetto XVI parla dell’impresa, delle problematiche morali legate alla delocalizzazione delle attività produttive, della consapevolezza della necessità di una più ampia “responsabilità sociale” della stessa. L’impresa non può tener conto degli interessi dei soli proprietari ma deve farsi carico anche dei lavoratori, dei clienti, della comunità sociale di riferimento. È fuorviante ritenere che investire sia solo un fatto tecnico e non anche umano ed etico (40).

Fondamentale, poi, è che il fenomeno della globalizzazione, con la sua interconnessione ed interdipendenza di persone ed intere società, sia colto nella diversità e nell’unità di tutte le sue dimensioni, compresa quella teologica. Ciò consentirà di vivere ed orientare la globalizzazione dell’umanità in termini di relazionalità, di comunione e di condivisione (42). Bisogna considerare che è sbagliato attribuire alla crescita demografica la responsabilità prima del permanere del sottosviluppo. I casi dei “paesi emergenti” che hanno grande presenza demografica lo dimostrano. Per cui è importante promuovere la difesa della vita e della famiglia (44). Per quel che riguarda il sistema delle certificazioni etiche, con la finanza etica, il microcredito, la microfinanza è essenziale un discernimento ed un controllo sulla veridicità di ogni realtà che si propone come tale (45).

Affinché i progetti di sviluppo abbiano successo, è necessario il coinvolgimento dei popoli interessati e delle persone concrete a livello della società civile. Mentre, nella cooperazione internazionale, non possono mancare la solidarietà della presenza, dell’accompagnamento, della formazione e del rispetto. Gli stessi Organismi internazionali dovrebbero interrogarsi sulla reale efficacia dei loro apparati burocratici e amministrativi, spesso troppo costosi (47).

Già per Benedetto XVI era Importante la tematica dell’ambiente naturale, la questione ecologica, essendo la natura «opera mirabile del Creatore, recante in sé una “grammatica” che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario», ma sempre in un rapporto ordinato (teologicamente) con l’essere umano, pena la ricaduta in «atteggiamenti neopagani o di nuovo panteismo» (48). Le problematiche legate all’accaparramento delle risorse energetiche non rinnovabili con lo sfruttamento di materie prime presenti nei paesi poveri e i costi economici e sociali derivanti dall’uso delle risorse ambientali comuni ci deve chiamare a rivedere i nostri stili di vita nel contenimento dei consumi (49), causa anch’essi della «desertificazione e l’impoverimento produttivo di alcune aree agricole» (51).

Nell’ultima parte dell’enciclica, molto interessante l’affermazione di apertura che presenta la solitudine come una delle più profonde povertà che l’uomo può sperimentare. Già Paolo VI affermava che «il mondo soffre per mancanza di pensiero». L’idea che i popoli della terra posano essere accomunati da una fratellanza come un’unica grande famiglia richiede un lavoro di integrazione nel segno della solidarietà e questo comporta l’apporto non solo delle scienze sociali ma anche di saperi come la metafisica o la teologia. In campo cristiano, la teologia trinitaria ispira la chiamata per la Chiesa e la proposta all’umanità di percorsi che promuovano l’unità nella molteplicità (53).

Da notare e denunciare come, accanto alla via delle religioni che insegnano la fratellanza e la pace, risultando di enorme importanza per lo sviluppo umano integrale, «il mondo di oggi è attraversato da alcune culture a sfondo religioso, che non impegnano l’uomo alla comunione, ma lo isolano nella ricerca del benessere individuale, limitandosi a gratificarne le attese psicologiche. È necessario dunque un adeguato discernimento (55).

Si ribadisce che la dottrina sociale della Chiesa invita a lavorare su tutte le dimensioni che riguardano le dinamiche umane: le dimensioni culturale e religiosa, oltre che sociale, economica e politica (56; 59). Molto importante l’utilizzo del principio di sussidiarietà, che va mantenuto strettamente connesso con il principio di solidarietà e viceversa (57-58). Interessante anche la via della cosiddetta sussidiarietà fiscale, che permetterebbe ai cittadini di decidere sulla destinazione di quote delle loro imposte versate allo Stato (60). Così come l’accenno al turismo internazionale che, pur potendo essere fattore di crescita economica e culturale, a volte viene concepito in modo consumistico ed edonistico, con i suoi corollari di sfruttamento, non ultimo quello dovuto al turismo sessuale (61).

Un altro aspetto meritevole di attenzione, trattando dello sviluppo umano integrale, è il fenomeno delle migrazioni, un fenomeno sociale di natura epocale, che richiede una forte e lungimirante politica di cooperazione internazionale per essere adeguatamente affrontato: nessun Paese da solo può ritenersi in grado di far fronte ai problemi migratori del nostro tempo (62).

Fondamentale che la finanza operi eticamente non più e non solo per il conseguimento dei profitti, ma in un’ottica di attenzione al bene comune nella giustizia sociale, nell’ottica di un effettivo sviluppo dei popoli. Sono necessari, quindi, dei controlli che impediscano le scandalose speculazioni, così come è necessaria la difesa dall’usura e la promozione del microcredito (65) o, per educare il consumatore, forme di «cooperazione all’acquisto» (66). Necessario, infine, riconoscere come sia urgente la riforma di una Organizzazione delle Nazioni Unite che possano operare in maniera più efficacie per garantire a livello internazionale la realizzazione reale delle condizioni necessarie ad un autentico sviluppo integrale di ogni uomo e di tutti gli uomini (67).

In chiusura dell’enciclica (68-77), per la prima volta un Pontefice affronta il tema della tecnica e del suo utilizzo inerente allo sviluppo dei popoli. Se volessimo, dopo 15 anni dalla Caritas in veritate, attualizzare questi numeri, potremmo parlare dello sviluppo odierno dell’intelligenza artificiale e del dibattito scientifico che ne sta parlando: «oggi la mentalità tecnicistica fa coincidere il vero con il fattibile. Ma quando l’unico criterio della verità è l’efficienza e l’utilità, lo sviluppo viene automaticamente negato» (70). Per questo l’enciclica si conclude con un’affermazione teologica che riassumeo bene l’approccio seguito e consigliato da Benedetto XVI: «Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato. Perciò anche nei momenti più difficili e complessi, oltre a reagire con consapevolezza, dobbiamo soprattutto riferirci al suo amore. Lo sviluppo implica attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delle esperienze di fiducia in Dio, di fraternità spirituale in Cristo, di affidamento alla Provvidenza e alla Misericordia divine, di amore e di perdono, di rinuncia a sé stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace» (79).

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