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Io sono la porta, ma anche Colui che bussa alla porta…

di Alessandro Manfridi

Domani, alle 18.30, verrà aperta la Porta Santa di San Pietro a Roma. Attraversarla con un po’ di storia e di esegesi sulle spalle ci aiuterà a farlo con maggiore consapevolezza.

23 Dicembre 2024

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Quella di Mosè è la storia di un uomo comune. Un uomo che avrebbe voluto cambiare qualcosa con le sue forze per giovare alla sua gente ma che ha dovuto fuggire in un paese lontano perché ha fallito nel suo intento e ha dovuto pensare alla sua vita.

Lì ha iniziato tutto da capo, ha messo su una famiglia, si è sposato, ha avuto due figli e ha iniziato a condurre una onesta e quotidiana vita di lavoro, lontano dai fasti e i riflettori della corte del Faraone.

Proprio lui, preso dal suo lavoro quotidiano e ormai lontano dai suoi propositi giovanili, ha vissuto uno degli incontri più intensi che la Bibbia ci racconti.

Quel Dio che si è rivelato a lui in maniera potente, come un fuoco che consuma, che divora, che trasforma in sé tutto ciò che avvolge, e davanti al quale non ci si può avvicinare per curiosità ma bisogna levarsi i calzari, lo ha scelto per liberare il suo popolo dall’Egitto.

E alla richiesta di rivelare il proprio nome, il Dio dei suoi padri si rivelerà con il tetagramma del verbo “Essere” che è la massima rivelazione e al tempo stesso il massimo nascondimento. Dio non “si definisce” con un qualche attributo o una qualche funzione. Lui “è” e non può essere racchiuso in una definizione. Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono!”. E aggiunse: “Così dirai agli Israeliti “Io Sono mi ha mandato a voi”(Es 3,14).

Nel quarto Vangelo Gesù riprende la rivelazione del nome che Mosè ha ricevuto al roveto ardente e lo utilizza sia in senso assoluto: “Io sono” (Gv 8,24.28.58; 13,19) che definendosi nei suoi discorsi teologici. “Io sono il pane della vita” (Gv 6,35); “Io sono la luce del mondo” (Gv 8,12); “Io sono la resurrezione e la vita” (Gv 11,35); “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6); “Io sono la vite vera (Gv 15,1).

Nel capitolo 10 c’è il discorso sul pastore delle pecore: “Io sono il buon pastore” (Gv 10,11). È in questo contesto che Gesù si definisce come “la porta delle pecore” (Gv 10,7). “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo” (Gv 10,9).

Quello della porta è un simbolo potente che attraversa epoche, culture e religioni con il suo significato di passaggio, di iniziazione, di ingresso. La porta evoca, insieme a tanti significati mistici, esoterici e spirituali, in particolare il passaggio e l’ingresso verso “altri mondi” e a quello che accomuna l’esperienza di tutte le generazioni, con il passaggio dalla vita all’aldilà.

Dal 1300, con l’istituzione del Giubileo nella Chiesa Universale con papa Bonifacio VIII il messaggio di liberazione trasmesso dal capitolo 25 del libro del Levitico con l’anno giubilare, fatto proprio da Gesù nella sinagoga di Nazareth (Lc 4, 16-30) entra potentemente nella cristianità.

La prima “Porta santa” della storia del cristianesimo è quella della Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila fondata nel 1288 da papa Celestino V. La prima “Porta santa” legata ad un giubileo è quella della Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma nel 1423. Con papa Alessandro VI si hanno notizie certe dell’inizio del rito di apertura della “Porta santa” nel Giubileo del 1500 nella Basilica di San Pietro.

Nel 1950 viene inaugurata l’attuale “Porta santa” collocata alla destra della facciata della Basilica di San Pietro in Vaticano, realizzata dallo scultore Vico Consorti per la Fonderia Marinelli di Firenze e aperta da Papa Pio XII, ancora oggi raffigurato nell’ultima formella della stessa porta, in un Giubileo che voleva caratterizzarsi come un evento di riconciliazione e di pace, dopo il dramma del secondo conflitto mondiale.

Il rito di apertura della “Porta Santa” la notte del 24 dicembre, a San Pietro, da parte del Papa, inaugura l’apertura nell’anno del Giubileo.

Durante questo anno l’esperienza da parte dei pellegrini di varcare la “Porta Santa” (una tra quelle delle quattro Basiliche Maggiori di Roma) (NB: da queste porte si può solo entrare, non uscire) realizza in maniera plastica quello che è un messaggio evangelico potente.

“Io sono la porta”: ci dice il Signore (Gv 10,9). La “Porta Santa”, dunque, è uno dei simboli che rappresentano il Cristo. Varcare la sua soglia simboleggia l’”entrare” attraverso di Lui.

La Parola però ci suggerisce ulteriori indicazioni e la riflessione sulle formelle della “Porta Santa” della Basilica di San Pietro ci aiuta, ad esempio, ad approfondirle.

“Sto ad ostium et pulso”: con questa parola, impressa nella sua sedicesima formella, viene richiamata la rivelazione che san Giovanni evangelista riceve a Patmos dal Signore: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me “(Ap 3,20).

C’è una raffigurazione pittorica che mostra in maniera suggestiva questo versetto, con il Signore che bussa ad una porta, priva di maniglie: è una porta che può essere aperta solo dall’interno.

Il passaggio della “Porta Santa” significa il nostro impegno a “entrare” attraverso il Signore.

Ma è Lui stesso che, per primo, fa un passo verso di ciascuno di noi, bussando alla porta del nostro cuore, della nostra anima, della nostra vita. Solo noi possiamo decidere se lasciarlo fuori o farlo entrare.

Che questo Giubileo possa essere l’occasione per riscoprire la potenza e la bellezza di questo incontro.

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