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7 ottobre: un anno dopo.

C’è qualche alternativa al conflitto in corso in Medio Oriente?

Ottobre 2024

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Attualità

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Gli eventi nella regione Medio Orientale sono in continuo susseguirsi e chi vi scrive spera di non dover registrare un bombardamento israeliano in territorio iraniano, per altro ormai annunciato e dunque certo nei prossimi giorni.

Se questo dovesse realizzarsi nella data del 7 ottobre, sarebbe senz’altro una risposta “significativa” da parte israeliana, per rispondere alla escalation cominciata esattamente un anno fa ad opera del raid coordinato da Hamas a danno dei coloni ebrei.

Il Viminale si è preoccupato di vietare manifestazioni pubbliche organizzate da associazioni islamiche e dalla società civile in vista del primo anniversario degli eventi e purtroppo il 5 c.m. abbiamo registrato un temuto rivolgersi violento di alcune frange dei partecipanti ad una manifestazione non autorizzata nei confronti delle forze dell’ordine. In tutto il mondo si sono svolte manifestazioni simili, pro o contro Israele, con annesse tensioni.

Facciamo un passo indietro, provando a dare una lettura con lo sguardo di Israele agli sviluppi dell’ultimo anno.

Impressionante la scoperta dei tunnel scavati nella striscia di Gaza da El Fatah e poi da Hamas, dei quali si aveva notizia sin dal 1983, quando furono scoperti nella loro funzione di contrabbando dall’Egitto, e che si stimava fossero 1000-1300, per una ragnatela di circa 500 km. Alti 2 m, larghi 1 m-1,5 m, profondi fino a 45 m ed oltre. Il 17 dicembre 2023 l’Idf ne ha scoperto uno di 4 km, grande abbastanza per far transitare dei veicoli. In questo labirinto sotterraneo, provvisto di corrente elettrica, di luce, minato in diversi tratti e predisposto per far transitare uomini, armi e i prigionieri catturati dopo il raid di un anno fa, si sono svolte gran parte delle attività di Hamas. Israele ha smantellato i tunnel che man mano ha scoperto nell’operazione di terra di quest’anno, pompando in essi milioni di ettolitri di acque reflue dal Mediterraneo, con la conseguenza disastrosa di provocare il cedimento delle fondamenta dei palazzi costruiti sui terreni sovrastanti, a danno della popolazione residente e rendendo non più coltivabili i terreni agricoli.

Questo capitolo è uno di quelli che ha permesso ad Israele di definire la striscia di Gaza come la più grande base terroristica al mondo.

I primi lanci di razzi Qassam dalla striscia di Gaza verso Israele, a seguito dello scoppio della Seconda Intifada, risalgono al 16 aprile 2001. Da allora, il numero di questi razzi lanciati sul territorio israeliano è andata continuamente crescendo negli anni, come riferito dai rapporti di Amnesty International e di Human Rights Watch.

Lo stesso si può registrare per quel che riguarda il fronte con il Libano, invaso già tre volte dalle forze dell’esercito israeliano: nel 1948, dopo l’istituzione dello Stato d’Israele e lo scoppio della prima guerra arabo-israeliana; nel 1978 e nel 1982, quando arrivò ad occupare la capitale Beirut, rea di aver garantito ospitalità al vertice dell’OLP di Yasser Arafat.

È chiaro che, sotto il punto di vista di Gerusalemme, lo Stato ebraico si sente accerchiato e minacciato nella sua esistenza, non riconosciuta dagli Stati confinanti che gli mossero guerra fin dal 1948.

Ad oggi, sono 28 i Paesi su 193 membri delle Nazioni Unite che non hanno riconosciuto lo Stato di Israele. Tra essi, 15 membri della Lega Araba, 10 della Organizzazione della Cooperazione Islamica non Araba e in aggiunta Cuba, Nord Corea e Venezuela. Ricordiamo che Libano, Siria, Iran, Iraq, Arabia Saudita, Oman, Qatar, Kuwait, Yemen, Afghanistan, Pakistan, i paesi dunque confinanti Israele (ad eccezione di Egitto e Giordania) e quelli della penisola arabica e dell’Intero Medio Oriente sono tutti ostili ad Israele.

Gli “Accordi di Abramo” del 2020 prevedevano l’avvicinamento tra l’Arabia Saudita ed Israele, processo bloccatisi con l’attuale escalation.

Nell’ultimo anno il conflitto tra Israele ed alcune di queste Nazioni ha visto gli scenari bellici estendersi oltre Gaza in quanto, quando Hezbollah ha ripreso a bombardare i territori ebraici oltre confine in sostegno di Hamas, l’Iran ha fornito supporto finanziario, militare ed ideologico ai suoi alleati, determinando l’allargarsi del confronto bellico in Libano, in Siria, in Iraq, nello Yemen, nel Mar Rosso.

L’efficacia delle azioni israeliane si è dimostrata vincente nelle azioni belliche oltre confine che hanno portato all’eliminazione del comandante delle forze iraniane Al-Quds, Mohammad Reza Zahedi, con un missile lanciato il 1º aprile sul consolato iraniano a Damasco, di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, il 31 luglio in un attacco aereo israeliano contro la sua residenza a Teheran e di Hassan Nasrallah, il segretario generale di Hezbollah, il 27 settembre, con il bombardamento su alcune palazzine di Beirut dove era stato individuato il suo nascondiglio.

Senza dimenticare la capacità di intercettare le direttive di Hezbollah che aveva ordinato circa 5.000 cercapersone, dopo che proprio Nasrallah aveva messo in guardia a febbraio contro l’uso dei telefoni cellulari, particolarmente vulnerabili per la loro tracciabilità.  Nel primo pomeriggio del 17 settembre, il Mossad riusciva ad servirsi degli stessi dopo essere riuscito a sabotarli, facendo partire un segnale che avrebbe spinto i loro proprietari ad avvicinare i dispositivi al volto, per poi farli esplodere, provocando 14 morti e 2800 feriti e ulteriori 14 decessi il giorno dopo, mercoledì, tramite lo stesso procedimento nei confronti di walkie-talkie.

Il questi mesi nessun tentativo diplomatico volto a portare al “cessate il fuoco” ha visto un successo, né da parte dell’Egitto o del Qatar, né da parte della UE, e men che meno da parte del principale alleato, che si è precipitato a far convergere un terzo delle navi da guerra della sua Marina Militare, posizionate nel Mediterraneo Orientale, nel Mar Rosso e nel Golfo Persico all’indomani dell’azione di guerra israeliana sull’ambasciata iraniana a Damasco il 1° aprile, per proteggere Tel Aviv dalla reazione di Teheran e che a parole chiede a Netanyahu di fermarsi ma nei fatti continua ad armarlo.

Del resto la standing ovation tributata dal parlamento USA il 24 luglio al Primo Ministro della Knesset ben dimostra da che parte stia Whashington, chiunque sarà a sedere nella Stanza Ovale dopo le prossime elezioni del 5 novembre.

Di contro, la Dichiarazione del 20 maggio 2024 del procuratore della Corte Penale Internazionale in cui si richiede mandato d’arresto per Yahya Sinwar, Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri (Deif), Ismail Haniyeh (ucciso dall’Idf il 31 luglio) e per Yoav Gallant e per lo stesso Benjamin Netanyahu, è solo l’ennesima pagina che dimostra come gli organismi sovranazionali, l’ONU su tutti, vengano di fatto delegittimati dagli Stati che ritengono di non ratificare le loro risoluzioni.

Di fatto, lo Stato di Israele detiene un record non toccato da alcuna altra Nazione in quanto a risoluzioni ONU non ratificate, oltre 70, dal 1951 ad oggi: precisamente tutte le risoluzioni che hanno avuto come oggetto il tentativo di dare una soluzione alla ultra settantennale “questione palestinese”.

Nell’ultimo anno, lo scontro tra Israele e l’ONU è stato lampante su tutti i canali, diplomatici e non, culminati con le accuse rivolte da Netanyahu il 27 settembre contro l’Organizzazione guidata da Antonio Guterres proprio nel Palazzo di Vetro, durante il suo discorso nell’Aula delle Assemblee Generali visibilmente svuotata per l’assenza di alcune delegazioni che l’avevano lasciata prima del suo intervento.

Ricordiamo qualche numero: 1139 le vittime israeliane di Hamas nell’attacco ai Kibbuz il 7 ottobre 2023; 251 israeliani rapiti da Hamas nello stesso raid; 131 sono stati liberati, di cui 104 nell’ambito di scambi e prigionieri durante la tregua di una settimana nel novembre 2023; 43 ostaggi sono deceduti per circostanze diverse, uccisi dai loro custodi o sotto i bombardamenti israeliani; 77 sono ancora ostaggi.

41.595 i morti palestinesi, ad oggi, a Gaza. 492 nell’ultimo fronte aperto in Libano contro Hezbollah.

Si calcola che a Gaza siano circa 14mila bambini fra le vittime, 6mila i miliziani, il resto donne e civili.

Posto che i dati sui numeri palestinesi, calcolati dal Ministero della Salute di Gaza, organismo controllato da Hamas, siano evidentemente di difficile verifica dall’esterno e siano dunque contestabili, è indubbio che la catastrofe umanitaria è sotto gli occhi di tutti, denunciata dall’ONU e tragicamente attuata dalle forze dell’Idf.

Si aggiunga che 163 operatori umanitari sono stati uccisi dalle operazioni militarie israeliane a Gaza secondo la denuncia dell’ONU.

Nonostante auspici, richiami ed inviti, da parte del Vescovo di Roma come da parte di altri attori delle diplomazie nazionali, è molto difficile prevedere il termine dell’attuale conflitto.

È molto probabile che ci siano ancora dolorosi capitoli in via di scrittura, che vedranno Tel Aviv e Teheran scambiarsi colpi di missili in maniera letale.

Quel che si può prevedere è soltanto che l’auspicata “risoluzione” della questione palestinese, che per l’ONU e per la maggior parte delle diplomazie nazionali passa da una costituzione di uno Stato Arabo in Palestina e dunque dalla pressione verso un duplice riconoscimento diplomatico da parte di tutte le Nazioni, dello Stato di Israele dopo oltre 70 anni e di uno Stato che abbia verosimilmente in Gaza la sua capitale, non vedrà alcuno sviluppo.

Israele da oltre 70 anni ritiene irricevibile tale soluzione, “a motivo della sua sicurezza nazionale”.

Per i figli di Abramo c’è un’altra soluzione: una seconda e definitiva nakba. In alternativa, uno smantellamento programmato. Se non volete chiamarlo “genocidio”, domandatevi in che condizioni vivano i palestinesi da decenni e in particolare da un anno a questa parte. Per poter annientare Hamas (e a seguire Hezbollah… di Teheran poi si vedrà…) bisogna necessariamente annientare con le armi e con la fame tutta la sua popolazione.

Quel che si è consumato ad Auschiwitz si perpetua oggi a Gaza.

Chissà se il Dio di Abramo approva!

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