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Giubileo centrifugo/2 – Rileggendo la PACEM IN TERRIS

Perché la preparazione ad un giubileo che sia “centrifugo” può trovare ancora spunti dall’enciclica
sulla pace di Giovanni XXIII

di Alessandro Manfridi

L’11 aprile 1963, il giovedì della Settimana Santa, papa Giovanni XXIII consegna la sua quarta ed
ultima lettera Enciclica, la PACEM IN TERRIS, che sarà, di fatto, il suo “testamento spirituale” visto
che, già segnato dal cancro alo stomaco, due mesi dopo, il 3 giugno 1963, il pontefice bergamasco
avrebbe concluso la sua esistenza terrena.
Vogliamo rileggerla e cogliere, tra le righe, indicazioni preziose a sessanta anni di distanza.
Le “parole d’ordine” che ritornano continuamente nel documento sono: “Verità, giustizia, amore,
libertà”.
Sappiamo il ruolo determinate di Giovanni XXIII nella risoluzione della “crisi di Cuba” nell’ottobre
1962.
Egli già da tempo aveva concepito e volle realizzare un’enciclica sul tema della pace.
“Con l’ordine mirabile dell’universo continua a fare stridente contrasto il disordine che regna tra gli
esseri umani e tra i popoli; quasicché i loro rapporti non possono essere regolati che per mezzo
della forza”. (n. 3)
Ogni essere umano è persona, soggetto di diritti e di doveri che sono universali, inviolabili,
inalienabili.
Ogni essere umano ha il diritto all’esistenza, all’integrità fisica, ai mezzi indispensabili e sufficienti
per un dignitoso tenore di vita (6) alla libertà nella ricerca del vero, nella manifestazione del
pensiero e nella sua diffusione, nel coltivare l’arte, ad un’istruzione di base (7) ha il diritto di
onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza; ha il diritto al culto di Dio privato e pubblico
(8); ha il diritto alla libertà nella scelta del proprio stato (9); il diritto di libera iniziativa in campo
economico e il diritto al lavoro (10).
“Torna opportuno ricordare che al diritto di proprietà privata è intrinsecamente inerente una
funzione sociale”.
Drammaticamente attuale il richiamo al diritto all’emigrazione e all’immigrazione, con
l’affermazione che ogni essere umano, pur lontano dalla propria comunità nativa, appartiene alla
comune famiglia umana e quindi è cittadino della comunità mondiale (12)
Importanti anche il diritto di riunione e di associazione e quelli relativi alla partecipazione alla vita
pubblica e sociale.
Indissolubile il rapporto fra diritti e doveri nella stessa persona, fondati entrambi nella legge
naturale.

Gli uomini sono sociali per natura, nati per convivere in modo ordinato, cooperando per “operare
gli uni al bene degli altri”, in modo che ci si adoperi perché ciascuno, ad esempio, disponga dei
mezzi di sussistenza sufficienti ad una vita dignitosa (16)
La convivenza fra gli esseri umani, oltre che ordinata, è necessario che sia per essi feconda di
bene.
Da notare:
“Una convivenza fondata soltanto su rapporti di forza non è umana. In essa infatti è inevitabile che
le persone siano coartate o compresse, invece di essere facilitate e stimolate a sviluppare e
perfezionare se stesse”.(17)
Una convivenza fondata nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà.
Tre fenomeni caratterizzano l’epoca moderna: l’ascesa economico-sociale delle classi lavoratrici;
l’ingresso della donna nella vita pubblica
(21-22).
Il terzo fenomeno parla di un passo avanti, dopo la storia del colonialismo, con popoli con sono più
dominati ma indipendenti (23-24).
Purtroppo dobbiamo rilevare che di fatto non è così, perché il cosiddetto “Sud del mondo” è quello
che diventa sempre più numericamente rilevante, con popolazioni intere ridotte alla fame.
Nel capitolo secondo si parla della necessità della preseza di un’autorità che assicuri l’ordine e
contribuisca all’attuazione del bene comune in grado sufficiente
“L’autorità non è una forza incontrollata: è invece la facoltà di comandare secondo ragione. Trae
quindi la virtù di obbligare dall’ordine morale: il quale si fonda in Dio”(27)
“L’autorità che si fonda solo o principalmente sulla minaccia o sul timore di pene o sulla promessa
e attrattiva di premi, non muove efficacemente gli esseri umani all’attuazione del bene comune; e
se anche, per ipotesi, li movesse, ciò non sarebbe conforme alla loro dignità di persone, e cioè di
esseri ragionevoli e liberi. L’autorità è, soprattutto, una forza morale; deve, quindi, in primo luogo,
fare appello alla coscienza, al dovere cioè che ognuno ha di portare volonterosamente il suo
contributo al bene di tutti. Sennonché gli esseri umani sono tutti uguali per dignità naturale:
nessuno di esso può obbligare gli altri interiormente. Soltanto Dio lo può, perché egli solo vede e
giudica gli atteggiamenti che si assumono nel segreto del proprio spirito.” (28).
Naturalmente un’ordine legale che violasse l’ordine che deriva da Dio chiamerebbe ad una
obiezione di coscienza poiché “bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini” (At 5,29).
“Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso
però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza” (30).
La ragione d’essere dei poteri pubblici sta propriamente nell’attuazione del bene comune (32).

“È inoltre un’esigenza del bene comune che i poteri pubblici contribuiscano positivamente alla
creazione di un ambiente umano nel quale a tutti i membri del corpo sociale sia reso possibile e
facilitato l’effettivo esercizio degli accennati diritti, come pure l’adempimento dei rispettivi doveri.
Infatti l’esperienza attesta che qualora manchi una appropriata azione dei poteri pubblici, gli
squilibri economici, sociali e culturali tra gli esseri umani tendono, soprattutto nell’epoca nostra, ad
accentuarsi; di conseguenza i fondamentali diritti della persona rischiano di rimanere privi di
contenuto; e viene compromesso l’adempimento dei rispettivi doveri” (38).
“È perciò indispensabile che i poteri pubblici si adoperino perché allo sviluppo economico si adegui
il progresso sociale; e quindi perché siano sviluppati, in proporzione dell’efficienza dei sistemi
produttivi, i servizi essenziali, quali: la viabilità, i trasporti, le comunicazioni, l’acqua potabile,
l’abitazione, l’assistenza sanitaria, l’istruzione, condizioni idonee per la vita religiosa, i mezzi
ricreativi. E devono anche provvedere a che si dia vita a sistemi assicurativi in maniera che, al
verificarsi di eventi negativi o di eventi che comportino maggiori responsabilità familiari, ad ogni
essere umano non vengano meno i mezzi necessari ad un tenore di vita dignitoso; come pure
affinché a quanti sono in grado di lavorare sia offerta una occupazione rispondente alle loro
capacità; la rimunerazione del lavoro sia determinata secondo criteri di giustizia e di equità; ai
lavoratori, nei complessi produttivi, sia acconsentito svolgere le proprie attività in attitudine di
responsabilità; sia facilitata la istituzione dei corpi intermedi che rendono più articolata e più
feconda la vita sociale; sia resa accessibile a tutti, nei modi e gradi opportuni, la partecipazione ai
beni della cultura” (39).
È importante la divisione dei poteri nelle tre funzioni legislativa, amministrativa, giudiziaria (41).
Fondamentale la regolazione dei rapporti tra i cittadini e l’autorità pubblica, a partire dalla
formulazione delle carte costituzionali (45).
Nel capitolo terzo si affronta i rapporti tra le comunità politiche
“Anche i loro rapporti vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante, nella
libertà… La stessa legge morale, che regola i rapporti fra i singoli esseri umani, regola pure i
rapporti tra le rispettive comunità politiche.” (47).
Nel n. 57 si parla della questione dei profughi politici. Oggi a questi, oltre agli immigrati per fame,
possiamo aggiungere l’enorme numero degli “immigrati climatici”.
Dal n. 59 si affronta la questione della corsa agli armamenti, la deterrenza, le testate nuceari.
Necessaria “giustizia, saggezza ed umanità” che arrivi a mettere al bando le armi nucleari

“Occorre però riconoscere che l’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e,
a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si
procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi
sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica: il che comporta, a sua volta, che al criterio
della pace che si regge sull’equilibrio degli armamenti, si sostituisca il principio che la vera pace si
può costruire soltanto nella vicendevole fiducia. Noi riteniamo che si tratti di un obiettivo che può

essere conseguito. Giacché esso è reclamato dalla retta ragione, è desideratissimo, ed è della più
alta utilità” (61).
“È un obiettivo reclamato dalla ragione. È evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i
rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo
ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella
solidarietà operante.
È un obiettivo desideratissimo. Ed invero chi è che non desidera ardentissimamente che il pericolo
della guerra sia eliminato e la pace sia salvaguardata e consolidata?
È un obiettivo della più alta utilità. Dalla pace tutti traggono vantaggi: individui, famiglie, popoli,
l’intera famiglia umana. Risuonano ancora oggi severamente ammonitrici le parole di Pio XII:
“Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra” (62).
“Si diffonde sempre più tra gli esseri umani la persuasione che le eventuali controversie tra i popoli
non debbono essere risolte con il ricorso alle armi; ma invece attraverso il negoziato” (67).
Nel quarto capitolo si parla dei rapporti degli esseri umani e delle comunità politiche con la
comunità mondiale
“L’unità della famiglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri
umani che sono tutti uguali per dignità naturale. Di conseguenza esisterà sempre l’esigenza
obiettiva all’attuazione, in grado sufficiente, del bene comune universale, e cioè del bene comune
della intera famiglia umana” (69).
“Come è noto, il 26 giugno 1945, venne costituita l’Organizzazione delle Nazione Unite (ONU); alla
quale, in seguito, si collegarono gli istituti intergovernativi aventi vasti compiti internazionali in
campo economico, sociale, culturale, educativo, sanitario. Le Nazioni Unite si proposero come fine
essenziale di mantenere e consolidare la pace fra i popoli, sviluppando fra essi le amichevoli
relazioni, fondate sui principi della uguaglianza, del vicendevole rispetto, della multiforme
cooperazione in tutti i settori della convivenza.
Un atto della più alta importanza compiuto dalle Nazioni Unite è la Dichiarazione universale dei
diritti dell’uomo approvata in assemblea generale il 10 dicembre 1948. Nel preambolo della stessa
dichiarazione si proclama come un ideale da perseguirsi da tutti i popoli e da tutte le nazioni
l’effettivo riconoscimento e rispetto di quei diritti e delle rispettive libertà” (75).
Fondamentale è lo sviluppo integrale degli esseri umani in formazione
“L’istruzione scientifica continua ad estendersi fino ad attingere gradi superiori, mentre l’istruzione
religiosa rimane di grado elementare. È perciò indispensabile che negli esseri umani in formazione,
l’educazione sia integrale e ininterrotta; e cioè che in essi il culto dei valori religiosi e l’affinamento
della coscienza morale procedano di pari passo con la continua sempre più ricca assimilazione di
elementi scientifico-tecnici; ed è pure indispensabile che siano educati circa il metodo idoneo
secondo cui svolgere in concreto i loro compiti” (80).

L’enciclica si conclude con quel richiamo al Principe della Pace il cui mistero pasquale viene
celebrato dalla comunità dei credenti.

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