Publicato su https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/non-sono-responsabile-del-sangue-di-lei/
A un anno dalla scomparsa di Silvestro Montanaro è importante poter raccogliere il suo appassionato grido di denuncia
Quel giorno una folla inferocita stava per produrre un linciaggio, una esecuzione dovuta e voluta.
Una barbarie? Uno scempio? Un’ingiustizia?
No. Per chi conosce la storia delle Religioni e mastica qualcosa a riguardo di codici di comportamento e normative religiose, certi errori (o “peccati” che si voglia) vanno lavati nel sangue.
Nulla di strano. Nulla di incivile. Nulla di ingiusto. Tutt’altro. Solo regole condivise, riconosciute e trasmesse nel nome di una tradizione e dell’identità di un popolo.
Chi si riconosce in una storia (“sacra”), chi si sente parte di una nazione, chi partecipa di una elezione, è chiamato a difendere e garantire tutto questo. Al prezzo della vita.
Entriamo nel racconto descritto nel libro biblico di Daniele, capitolo 13.
Mentre la folla, eccitata negli animi e ardente di zelo per la difesa della Legge stava trascinando la donna peccatrice (chissà perché, nella statistica, il sesso femminile è indicato come più spesso ritenuto fonte delle colpe e dei disastri che produce il genere umano…) verso il suo dovuto destino, ecco provenire dal fondo della scena il grido deciso e fermo di un giovane: «Io sono innocente del sangue di lei!».
Quel giovane fu l’occasione di salvezza per quella donna.
Il suo grido pare in contrapposizione con la parola di un altro personaggio della Bibbia, Caino, che invece si ritiene estraneo al sangue del fratello che dalla terra gridava verso Dio (cfr. Gen 4,10).
I due personaggi ci chiamano a riflettere su due atteggiamenti, quali che ne siano i protagonisti.
L’episodio del dialogo con Caino è paradigmatico non solo e non tanto per una sua colpa diretta, ma soprattutto per quelle parole che sono, da sole, tra le più diffuse nella storia dell’umanità.
«Sono forse il custode di mio fratello?» (cfr. Gen 4,9) ci riporta dunque non tanto al tentativo maldestro del protagonista del nascondere e negare il suo delitto, secondo la lettura dell’episodio biblico; quanto alle parole di tutti coloro che, in ogni dove ed in ogni tempo, si sono lavati le mani davanti ai problemi dell’altro, davanti alle questioni sociali, davanti alle tragedie dell’umanità provocate dalle ingiustizie locali o planetarie.
Se vogliamo raccogliere una frase spesso usata dal vescovo di Roma, possiamo parlare di globalizzazione dell’indifferenza[1].
L’altra frase, pronunciata da Daniele, è scelta qui come titolo a questa riflessione: «Io sono innocente del sangue di lei!».
Nel primo atteggiamento ritroviamo l’indifferenza, il peccato di omissione, il passare oltre voltandosi dall’altra parte (cfr. Lc 10, 31-32).
Il secondo atteggiamento è quello di chi si interessa, di chi si dà cura, di chi vive l’I care della pedagogia di Barbiana[2], è foriero di percorsi di promozione umana, di coscienza civile, di capacità alte e nobili che hanno portato nella storia personaggi-simbolo ed eroi senza nome a rischiare anche la vita per servire le cause della giustizia e della verità.
I nomi sono tanti.
Oggi vorrei ricordare il grande giornalista d’inchiesta Silvestro Montanaro[3], ad un anno dalla sua scomparsa.
Il lavoro di una vita va assolutamente valorizzato, proposto e diffuso, perché le sue ripetute denunce, sempre attuali a tanti anni di distanza, possano trovare ascolto e risposta presso un pubblico sempre più vasto e attento.
«Io sono innocente del sangue di lei!».
Quali sono gli elementi necessari perché un tale grido possa trovare risposta?
È necessario il lume del discernimento, il coraggio della profezia, il riconoscimento dell’autorevolezza, l’impegno fattivo ad affrontare e risolvere le questioni.
Il testo biblico mette in scena la preghiera di Susanna che, ingiustamente condannata, eleva la sua invocazione al Cielo per ottenere aiuto.
L’intervento di Daniele è dunque presentato come la conseguente risposta a questo appello accorato.
Quale che sia l’interpretazione degli avvenimenti, che ci sia un intervento divino, un Fato, una Provvidenza, quali che siano le sliding doors che danno accesso a molteplici scenari ed altrettanto probabili o improbabili epiloghi, la variante è sempre la stessa: anche Dio, per arrivare ai suoi intenti, ha necessità di servirsi dell’intervento degli uomini.
Le nostre azioni faranno dunque di noi degli attori della Provvidenza, dei consapevoli o inconsapevoli collaboratori di trame altre da noi, degli angeli salvatori, dei persecutori indomiti o dei codardi indifferenti che determineranno il bene o il male del nostro prossimo.
Il primo elemento necessario per la denuncia di ogni male è dunque quello di un corretto discernimento e di un onesto riconoscimento dei limiti che ogni sistema umano di convivenza comporta.
Nell’episodio narrato le Leggi da rispettare corrono il rischio di essere strumento di ingiustizia nonostante tutto, perché erroneamente applicate.
In un’epoca di fake news ed hate speech chi comanda e dirige l’opinione delle masse è in grado di narrare quel che vuole, come la propaganda di ogni regime pretende. Oggi alle grandi conquiste civili che sono state acquisite negli ultimi due secoli si affiancano in maniera drammatica le sistematiche violazioni dei diritti umani universali che propongono scenari di non ritorno per la stessa sopravvivenza del genere umano sulla Terra[4].
È fondamentale, dunque, operare una lettura degli avvenimenti e delle situazioni che non sia di parte e che sia veritiera e illuminante.
In questo senso, dunque, Daniele è guidato dal santo spirito; come lui, il lume della ragione, della coscienza, dell’onestà intellettuale e dello spessore morale che permette di pesare e distinguere situazioni di bene da situazioni di male accomuna personalità diverse riunite dallo stesso corretto discernimento.
Il secondo elemento necessario: il coraggio della profezia[5].
Quanto più il protagonista è illuminato, è ispirato, è guidato, tanto più egli è trascinato ad andare controcorrente, assumendo dunque il compito ed il rischio di qualsiasi azione profetica.
Il dramma dei vati e dei profeti si consuma a volte in una situazione che li porta non solo ad essere perseguitati e contrastati, ma soprattutto ad essere non ascoltati e non riconosciuti.
Ecco perché il terzo elemento presentato nel racconto è il primo veramente necessario.
La voce degli autentici profeti è rara quanto preziosa; ma solo la disponibilità ad ascoltarla può rivelarsi davvero determinante.
Nell’episodio la differenza la fa proprio la folla, nel riconoscere nel giovane Daniele “lo spirito dell’anzianità”.
Daniele parla con voce profetica e in maniera decisa e tagliente.
Dietro le sue parole e il suo intervento viene riconosciuta una “autorevolezza” che non ha bisogno per imporsi di una certificazione di autorità,
Daniele non potrebbe vantare un’autorità per parlare.
Ma l’autorità gli viene riconosciuta dalla forza della sua testimonianza.
Questo quadro propone due riflessioni.
Primo: la “crisi di autorità” che investe qualsiasi realtà, da quelle istituzionali a quelle naturalmente deputate all’educazione e alla formazione delle coscienze (lo Stato, le Istituzioni, Le Chiese, le Religioni, la famiglia, la Scuola…) è, a ben vendere, prima di tutto e innanzitutto una “crisi di autorevolezza”.
Ogni volta che un’agenzia educativa, una realtà istituzionale, una comunità “educante” si richiama alla sua “autorità”, piuttosto che porsi e proporsi in maniera franca e genuina, corre il rischio di fallire la sua mission.
I giovani e i destinatari in genere di qualsiasi proposta aderiscono lì dove ne riconoscono un’autorevolezza che non è legata ad una autorità ma ad una testimonianza vissuta.
Seconda implicazione: se l’autorità, quando manca di autorevolezza, potrebbe essere controproducente quando viene imposta per proporre una linea che non corrisponda ad una coerente testimonianza è al tempo stesso assolutamente vero il quadro opposto.
Qui però c’è bisogno di un’educazione profonda, di una disponibilità all’ascolto, di una perspicacia nel leggere i segni che vengono posti e della capacità di “dare voce” a chiunque dimostri di avere ragioni da vendere e strumenti per interpretare le situazioni e proporre delle strade da percorrere.
Anche un giovane può essere guidato dallo “spirito dell’anzianità”.
Anche un illetterato potrebbe dimostrare una sapienza maggiore di chi ha un titolo di laurea.
Anche un “diverso” potrebbe indicare la strada a chiunque abbia timore a rinunciare al “pensiero dominante”.
Quarto elemento è poi, quello delle decisioni concrete.
Chi riconosce la bontà e la verità di chi illumina le situazioni di una luce nuova e decisiva, è chiamato ad una scelta di campo.
Citando l’opera e la persona del caro Silvestro Montanaro, auspichiamo che le sue denunce siano sempre più riconosciute ed accolte da tutti coloro che possono e devono sentirsi chiamati a rispondere con la stessa passione per un mondo sempre più vicino agli obiettivi che oggi si è data l’ONU con la sua Agenda 2030[6].
[1] https://www.agensir.it/chiesa/2015/12/15/papa-francesco-no-alla-globalizzazione-dellindifferenza/
[2] https://www.vinonuovo.it/comunita/esperienze-di-chiesa/da-barbiana-al-mondo-intero/
[3] https://www.vinonuovo.it/attualita/societa/leredita-di-silvestro-montanaro/
[4] L’impronta mal distribuita (cnms.it)
[5] http://www.quindici-molfetta.it/a-bari-presentazione-del-volume-cercasi-profeti-di-r-d-ambrosio-_19288.aspx
[6] https://unric.org/it/agenda-2030/